La mia schiavitù
Ho un problema, uno dei tanti che sto esternando, un pezzo alla volta, in questa sessione di terapia che è per me Outcast: soffro di un qualche forma di disturbo ossessivo-compulsivo. Mi porta a collezionare, mi porta a cercare di coprire un argomento dalla A alla Z e mi porta a catalogare.
Dal 2019, dietro incauto suggerimento avuto sul forum di TFP, mi son messo a tener traccia, su un file Excel, del mio backlog e dei titoli giocati ogni anno, con tanto di valutazione finale. Mi rendo conto che sia una roba un po’ da maniaco, ma se così non fosse non si definirebbe ossessione.
Vista da fuori potrebbe pure sembrare una stramberia innocua. Certo a uno che cataloga i videogiochi non mi ci siederei accanto su una panchina, che non si sa mai, ma finché parla da solo e dà da mangiare ai piccioni, che male fa?
Sulla panchina c’è posto, se vi volete accomodare
Il file della vergogna ha in realtà i suoi lati positivi: con la vecchianza che avanza, mi aiuta a tenere traccia dell’incedere della vita. Mi ricorda a cosa ho giocato e quando. Senza di esso, di tanti titoli minori rischierei pure di perdere traccia. È un po’ il diario della mia esistenza da giocatore. Trattandosi della mia più grande passione, tale approccio ha pure un senso.
Questo è il lato pubblico e spendibile, quello che mi racconto per autoassolvermi ma nei suoi recessi statistici è il male. Si trasforma in un metagioco: come il budget annuale, come le statistiche mensili di vendita nel mio lavoro, il delta rispetto all’anno prima dei titoli completati o la qualità del giocato dettata dalla media voto rischiano di prendere il controllo. Mi trasformano nell’area manager di me stesso, dove io divento venditore e compratore, fornitore e mercato, in un cortocircuito dannoso…. È la gamification di una roba che già di suo si chiama videoGIOCO. Un paradossale circolo vizioso di cui sono socio e tra i cui liquami annaspo faticosamente per non affogare.
Ho un backlog, come molti di voi, ma spesso non lo affronto scegliendo ciò che è più nelle mie corde, ma basandomi magari sul tempo di completamento richiesto perché in quel mese sono un po’ indietro sul numero dei titoli giocati; oppure prendo in considerazione i giochi dal valore teoricamente più alto perché la media voto generale è sotto a quella dell’anno prima. È la schiavitù del delta e mi genera ansia, mi presenta gli arretrati da smaltire come un lavoro e un ritmo di completamento serrato come un imperativo. Eppure, vi assicuro che ha un valore poter ripercorrere la propria storia da videogiocatore. Ricordarmi di R-Type Dimensions, che giocai nel gennaio 2019, durante la convalescenza da un febbrone preso al ritorno dall’Estremo Oriente; di Pikuniku, i cui livelli multigiocatore completai con mia figlia durante il primo lockdown; di Doom Eternal, che in maniera liberatoria suggellò nel marzo 2024 la firma del mio nuovo contratto lavorativo, dopo tre mesi di stressante ricerca. Tutto questo andrebbe perso come lacrime nella pioggia, o giù di lì.
Ecco il mio 2024: una media voto ragguardevole (la migliore da quando ne tengo traccia) dovuta ad alcuni picchi e a un giocato di qualità media solida. È stato, d’altra parte, l’anno in cui ho tentato di cessare l’acquisto di indie a pochi spicci per la sola ragione che fossero in offerta. Si nota.
Guardo dunque anche con indulgenza a questa mia schiavitù, perché è altro rispetto a quella foga da trofei che si impossessò di me, fortunatamente per poco tempo, qualche anno fa. In questa deriva storiografica c’è la voglia di tracciare un percorso, di definirmi come videogiocatore. Con tutti i caveat, forse lo consiglio pure a voi.
Quindi, la prossima volta che mi vedrete su una panchina con delle briciole in mano, non esitate a parlarmi. Posso sembrare strano, ma ho molto da raccontare. Sempre che mi si apra il file su Google Drive.




