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Ci sono ancora le mezze stagioni - Playdate Season 2

Ci sono ancora le mezze stagioni - Playdate Season 2

Il 3 luglio, con la pubblicazione di Black Hole Havoc e Taria & Como, si è chiusa la seconda stagione di Playdate. Non vi sto a fare il pippone su cosa sia una stagione per l’accrocchio di Panic, fatemi un favore, leggetelo qui. Ciò su cui vorrei puntare i riflettori è invece il risultato, confrontato col pacchetto software che graziò l’esordio della console nel 2022.

I freddi numeri registrano 12 giochi + 1 contro i 24+2 della precedente stagione, così come freddo è il ricordo che mi porto dopo la sua conclusione. Guardando la pura matematica non lo si direbbe, anzi la S2 è, nel mio personale Metacritic, superiore, con una media di 6,9 contro un 6,6 della S1 (sì, tengo traccia dei titoli che gioco con tanto di voto, lasciate fare, ne parliamo un’altra volta). Andando a scartabellare nei dati, gioco per gioco, si evince che tale differenza è dovuta a una maggiore compattezza delle ultime uscite, con meno cadute ma, ahimè, altrettanti meno picchi. Un campione scostante contro un solido gregario, insomma. Ciò non significa che non ci siano stati degli acuti, questi nuovi giochi hanno anzi consolidato lo stato di salute dello sviluppo su Playdate, con un focus meno insistito su sparatutto spaziali e un paio di tocchi di classe che hanno spinto la consolina ai suoi limiti.

In tutta onestà Reel Steal e Recommendation Dog non dovrebbero far parte della S1. Il resto è pura maniacalità catalogatoria.

Guardando alle tendenze, c’è da segnalare come, al netto di alcuni sorprendenti esperimenti scaricabili da Catalog (o Itch.io), la proposta rimanga orgogliosamente bidimensionale e come la manovella venga veramente sfruttata in maniera imprescindibile solo da una frazione dei titoli (1 su 3 circa). La nuova infornata di proposte ha inoltre puntato su un buon mix di strutture ludiche, facendo centro in più di un’occasione. Fanno per esempio il loro esordio i roguelite con Fulcrum Defender e Catchadiablos. Personalmente ho qualche problema con gli epigoni di Rogue, eppure Catchadiablos mi ha stregato. Ha la capacità di dare un senso alla manovella (difficile pensarlo su un'altra console), propone il giusto tasso di sfida e imperscrutabilità e riesce pure a essere originale. Che sia divertente manco ve lo sottolineo. Nella sostanza, si muove questo essere col quale racchiudere all’interno di un cerchio vari mostri svolazzanti in modo da poterli eliminare. Come in ogni roguelite che si rispetti, sono i potenziamenti e la loro imprevedibilità ad essere il sale di ogni run. Il gioco è caotico ma compassato, mettendo a schermo un peculiare mix di pianificazione e improvvisazione. Su tutto, il sistema di controllo distintivo che permette di spostarsi unicamente in forme circolari. Una roba così complicata a parole che manco mi metto a spiegarvela, tanto questa non è una recensione e me la sculo così. Anche l’altro roguelite, Fulcrum Defender, è un campione dell’utilizzo della manovella, ma i ritmi bradipici iniziali e un’essenzialità estetica troppo spinta lo tengono lontano dalla grandezza.

Non spiega le sue meccaniche, Catchadiablos. Scoprirne segreti e struttura è parte del suo fascino.

Dig Dig Dino non ti capaciti di come possa funzionare. Non c’è sfida alcuna, in questo gioco di scavare e recuperare fossili, eppure è magnetico. Si passano minuti a picchiettare sul terreno per trovare ossa e artefatti e tanto basta. Rilassante è l’unico altro aggettivo che gli si può affiancare.

Se si parla di presentazione, Black Hole Havoc, una sorta di Puzzle Bobble per la generazione Playdate, non ha concorrenti. Le sue scenette animate, l’idiozia dei personaggi e la cattiveria slapstick che producono in ogni vignetta sono motivi sufficiente per dargli una chance, per poi scoprire che la sua giocabilità non è da meno.

Altri meriterebbero una menzione veloce, come il sistema di controllo di Tiny Turnip (che però risulta alla lunga fin troppo laborioso) o la puccettosità del breve Long Puppy.

Dunque, perché la S1 mi è sembrata migliore? La mera mole di giochi è indubbiamente un fattore. Se è vero che i disastri non si scordano, i titoli sufficienti passano nel dimenticatoio e rimangono impressi i giochi di personalità. Zipper, Omaze, Questy Chess, Cranky-sbagliosempreilnome, Flipper Lifter, Hyper Meteor, Ratcheteer, manco devo andare a rileggerli per ricordarmeli. Da quest’ultima stagione mi porto dietro il sorprendente Blippo+, i citati Catchadiablos, Black Hole Havoc e in maniera minore Dig Dig Dino e Taria & Como. È un rapporto quasi matematico tra le due season, in effetti, ma in numero assoluto è naturale che la mole di titoli della S1 vinca.

L’aria più sbarazzina di queste uscite del 2025 è un altro elemento da considerare. Non che tutto debba essere sangue e merda, tuttavia ho sentito la mancanza di quel mondo misterioso, sul limitare della Twilight Zone, che vedeva nella distopia di Echoic Memory e Questy Chess o nell’esoterismo di Demon Quest ’85 o ancora nel nichilismo di Saturday Edition o nella disperata lotta solitaria di Zipper quasi un filo comune. Giochi che distillavano una straniante sensazione di fare un passo in luoghi sconosciuti e pericolosi. L’alfiere di questo approccio nel 2025 avrebbe potuto essere Shaodwgate PD, un’esperienza con un’atmosfera densissima. Avrebbe potuto. Invece la scelta scellerata di replicare con ottusità tutte le spigolosità dell’originale NES, rendendolo anzi ancora più imperscrutabile, lo affossa. I passaggi segreti, essenziali per proseguire e che nella versione originale erano sottilmente individuabili, sono qui quasi completamente celati. Il giocatore si trova a dover cliccare a caso, sperando di incrociare quel determinato pixel. Il fatto stesso che l’incipit del gioco consigli la consultazione di una guida è una resa che lascia spazio alla frustrazione, gettando alle ortiche l’atmosfera così difficoltosamente costruita.

Essendo un port, non c’è da stupirsi del fondamentalismo nell’aderenza al materiale d’origine. Un approccio che, sposato alle limitazioni della piattaforma di sviluppo Pulp, ha gravato sul risultato finale.

Il peso del lato narrativo è dunque sobbarcato dal disperante The Whiteout, che è un po’ The Road (il romanzo di McCarthy) in salsa 1-bit, nel quale la flemmatica deambulazione renderà pure il lento incidere dell’inverno ma non gli fa favori in tema di godibilità dell’esperienza. Più leggero è il piacevole Chance’s Lucky Escape, anche se è sorprendentemente Taria & Como, di base un platform sotteso alla fisica ondulatoria, a farsi carico di tematiche di inclusione e di realizzazione del sé toccando bullismo e resistenza sullo sfondo di una critica sociopolitica alla tecnocrazia, ai sistemi sanitari e alla loro commistione col capitalismo. Una mole di questioni enorme per un contenitore fin troppo piccolo. Ciò che sicuramente rimane è una visione toccante della disabilità, senza alcun pietismo.

A incidere su un giudizio disincantato delle nuove dodici (più una) proposte è il fatto che il tempo è passato. E a passare sono state anche sorpresa ed entusiasmo, lasciando la solidità di un ecosistema che sta rifinendo meccaniche e tematiche, sorprendendo a tratti, ma con la comprensibile difficoltà di trovarsi a camminare sulle proprie gambe. Una volta assimilato l’amore per un gioiellino di design estetico così coraggioso (e giallo), ci si deve confrontare con la realtà. Un po’ come quando all’uscita del DS ogni gioco che sfruttava il pennino pareva magia, ma a mente fredda il ricordo di titoli come Project Rub o Pac-Pix non può che essere sbiadito da un bagno di sano realismo. Se il DS, però, è un termine di paragone ficcante, Playdate potrebbe ancora giocare delle carte pesanti.

Autunno marrone | Cover Story

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