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Demonschool è promosso (ma col debito in scrittura)

Demonschool è promosso (ma col debito in scrittura)

È dura farsi notare alla GDC, specie in quegli eventoni stampa con decine di giochi da provare a cui io e giopep andiamo sempre perché sì, belli i giochi da provare, ma anche perché c’è cibo e bevande gratis che nella costosa San Francisco sono sempre benedetti.

Eppure Demonschool c’era riuscito a farsi notare, con la sua palette di colori ultra-saturi, del dithering usato con giudizio e un character design particolarmente ispirato. Mi aveva colpito molto anche il suo combat system tattico a turni che però, una volta cogitate le mosse migliori, si trasforma in un florilegio di acrobazie coreografate. Il creatore del gioco presente al tavolo della demo, un tizio simpatico e tatuato che sorseggiava IPA, era stato molto fiero di dirci, in quanto italiani, che il suo gioco era ispirato ai film di Dario Argento.

Come fai a non notare una roba così…

Avendo avuto il gioco finito fra le mani nelle scorse settimane, posso confermare quasi tutto sulle prime impressioni, tranne la parte su Dario Argento che davvero non so come gli sia venuta. Forse era una trovata ruffiana (e infatti sono qui a parlarne) o forse non conosco abbastanza la filmografia del maestro del brivido, visto che mio padre ebbe la brillante idea di provare a farmi guardare Profondo Rosso che avevo forse dodici anni e quindi ho più traumi che cultura sull’argomento.

Demonschool concede al giocatore dieci settimane di tempo per fermare un apocalisse demoniaca globale che sta per scatenarsi a partire da un liceo sperduto su un'isola maledetta. Il trend di Personificazione, nel senso della serie Persona, miete anche qui un’altra vittima, ne parlavamo proprio a quella GDC con giopep, vista la mole di titoli provati che ne mutuavano in qualche modo le meccaniche. In questa scuola demoniaca si ammazzano demoni, sì, ma si creano anche rapporti e amicizie, forse l’unico vero incubo che uno studente liceale vive nella propria vita. Quindi giù di subquest per migliorare l’affiatamento dei personaggi o per esplorarne il passato. Sarà un po’ abusato, sarà anche cliché ma funziona quindi perché cambiare. A essere troppo originali a tutti i costi si fanno le peggiori cazzate.

In realtà funziona abbastanza tutto, del gioco. Il combattimento è un tattico a turni su griglia con vari ritocchi che lo rendono particolarmente originale. Innanzitutto è completamente deterministico: le azioni che fanno i nemici al loro turno sono indicate graficamente o semplicemente raccontate nella loro descrizione. È quindi molto più simile a un Into the Breach che a un XCOM, più puzzle che spara e prega. Pone una particolare enfasi sull’utilizzare le abilità dei personaggi in modo da allineare i nemici in file verticali o diagonali per poterli colpire tutti insieme con potenti attacchi combinati. Ci sono ovviamente poteri speciali, avanzamenti (da sbloccare anche approfondendo i vari legami) ed equipaggiamenti. Bella anche la trovata di avere uno spawn infinito di nemici, ma con la possibilità di sigillare la zona, e quindi chiudere l’incontro, una volta superata una soglia di uccisioni e raggiunta la parte opposta del campo di battaglia. Quando poi vedi eseguite in maniera molto coreografica le azioni che hai preparato meticolosamente durante il tuo turno, si prova una certa goduria. Forse è la parte più soddisfacente del gioco.

Che figata quando incaselli combo, attacchi ed abilità speciali in queste coreografie assurde.

Demonschool colpisce forte anche dal punto di vista artistico, con i suoi ambienti isometrici realizzati in una pixel art immacolata e con i suoi omini colorati senza faccia come avatar per le parti esplorative. A questi si contrappone il fascino inquietante del low poly da prima PlayStation, con tanto di uso calcolato del dithering, che si fa strada negli ambienti demoniaci quando è il momento di menare mazzate. Molto ispirati anche il character design dei personaggi e le animazioni introduttive. Belle anche le musiche, molto Persona anche qui, e non ho davvero niente da ridire a riguardo. Ad avercene.

Certi ambienti son belli da sembrare sfondi del desktop per giochi mai esistiti.

Dove però il gioco toppa, e in maniera piuttosto sorprendente, è nella scrittura. Fin dall’introduzione è chiaro che Demonschool non si prende molto sul serio, e la cosa mi va anche bene, considerando che non sono esattamente un tipo abituato alle tinte horror. Sì, sono un discreto cacasotto. Mi va benissimo che la protagonista sia una bizzarra stramboide un po’ tocca che spara battute nonsense appena può. Il problema è che poi ti rendi conto che tutto il gioco è così: tutti i personaggi, giocanti o non giocanti, sembrano buffi bot che devono dire a tutti i costi qualcosa di bizzarro o buffo o strambo o assurdo. TUTTI! 

Non fraintendetemi, ci sono siparietti e dialoghi sinceramente divertenti e mi sono trovato a ridere ad alta voce più spesso di quanto mi piacerebbe ammettere, ma nel momento in cui il bizzarro diventa la normalità, smette di essere divertente e si fa solo ripetitivo e fastidioso. A volte pare di leggere dialoghi in cui l’autore si è auto imposto di far ridere ogni tre battute, non di più, col risultato che la gran parte risulta forzata e non necessaria, un po’ come certi film della Marvel non particolarmente illuminati.

Gli zoom sui personaggi quando fai le combo sono molto efficaci e permettono uno sguardo sull’ottimo character design diverso dai soliti pupazzetti senza faccia.

L’assurdo e il bizzarro funzionano quando hanno qualcosa con cui fare contrasto. C’è un motivo se nelle commedie c’è quasi sempre una “straight woman” o uno “straight man”: serve ad ancorare lo spettatore alla realtà mentre tutto il resto va fuori giri. Qui quell’ancoraggio manca e si sente. Poi vale come sempre il discorso che è una questione di gusti, o magari la mia età anagrafica comincia a farsi sentire, chissà. Magari comincio a essere scollegato come Nonno Simpson.

Stessa delusione per quanto riguarda la crescita dei personaggi, che è praticamente assente per tutta la durata del gioco: il pirla rimane pirla, il depravato rimane depravato, il nerd rimane nerd. Le meccaniche à la Persona servono anche a giustificare questo tipo di evoluzione, a dare una traiettoria ai personaggi, ma qui, almeno nella mia percezione, è completamente assente. Rimangono solo un modo per avere un pizzico di background in più e sbloccare qualche abilità.

Per essere un gioco che punta tanto su personaggi e narrazione, Demonschool delude proprio su questo fronte, che è un peccato, visto che il resto è stato realizzato davvero con molta cura. Chissà, magari sono io e non è lui. Ma resta la sensazione di un gioco lucidissimo in tutto ciò che riguarda stile e meccaniche, che però non riesce mai davvero a darti qualcuno a cui tenere mentre fai a pezzi demoni a ripetizione.

Adesso va tutto bene!

Adesso va tutto bene!