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Amato, odiato, mai dimenticato: Dragon's Lair

Amato, odiato, mai dimenticato: Dragon's Lair

I più attenti sapranno che abbiamo già parlato di Dragon's Lair in occasione del suo quarantesimo anniversario, con un podcast che potete riascoltare qua sotto. Ma questo articolo è un'analisi più amplia sul ruolo avuto dalla creatura di Don Bluth e Rick Dyer nei videogame, da quando arrivò in sala giochi nel lontano 1983.

Nemmeno allora, al di là dell'enorme impatto visivo, fu accolto con grande entusiasmo dalla stampa specializzata, per i motivi che ormai conoscono tutti. Trattandosi sostanzialmente di un film travestito da videogame, l'interazione offerta all'utente era quasi nulla. Questo semplice particolare spinse, già ai tempi, una buona fetta della critica a massacrare l'ultimo arrivato.


Il pubblico? Lì fu tutta un'altra storia. Ci furono code infinite al debutto del cabinato originale, solo per osservare una partita dal vivo. La "grafica" semplicemente clamorosa, in un'epoca nella quale i quadrettoni dominavano la scena, colse totalmente di sorpresa la massa giocante. Peccato che durò quanto un fulmine a ciel sereno, per varie questioni che andavano dai costi del coin-op per gli operatori arcade (sia di acquisto che di manutenzione), al fatto che i guadagni venivano annullati quando i giocatori memorizzavano tutte le mosse necessarie a finirlo.

Ci volle poco, insomma, perché i ragazzi di allora capissero che stavano solo controllando un film in maniera alternativa (al telecomando). Benché l'ordine delle sequenze venisse "randomizzato", il modo per completarle restava lo stesso. Una prova di riflessi e coordinazione sopra a tutto, più divertente per uno spettatore che per chi giocasse (in quanto troppo concentrato sui comandi).

Eppure Dragon's Lair, si odi o si ami, è stato una pietra miliare dei videogiochi per diversi motivi che abbracciano tutti i punti cardine di questo settore, dalla tecnologia all'innovazione.

Ha reso popolare il Laser Disc, antenato analogico dei supporti ottici senza il quale non avremmo visto DVD o Blu-ray. Ha introdotto il concetto di "quick time event" cioé controllare le scene animate con rapide sequenze di tasti. Ha anche creato la sottocategoria dei titoli a metà tra gioco e film, mai tramontata grazie a successi come Heavy Rain o Until Dawn. Una volta c'erano le animazioni disegnate a mano, ora i poligoni, ma il concetto rimane lo stesso.

Aveva dei difetti? Sicuramente, iniziando dal fatto che non fosse nemmeno un videogame in senso stretto. Don Bluth, per sua stessa ammissione (e basta recuperare qualche vecchia intervista per confermarlo) voleva sfondare nella nascente industria arcade con qualcosa di nuovo, sfruttando la sua esperienza nei cartoni animati. Come avviene spesso quando un outsider è particolarmente ingegnoso, i risultati lo hanno premiato oltre ogni aspettativa. Mentre tutti cercavano di combinare al meglio quattro colori e un pulsante, lui portò nelle sale giochi un vero e proprio kolossal.

Ed è proprio il lato visivo ad essere, ancora oggi, l'aspetto migliore di Dragon's Lair. Lo stile inconfondibile dei disegni, la qualità delle animazioni e la simpatia dei personaggi non sono invecchiati nemmeno dopo quattro decenni abbondanti. Tant'è che il sottoscritto, amante dell'interattività sopra ogni cosa, ancora si concede una partita di tanto in tanto. Solo per risentire le stesse "vocine" esagerate dei nemici o riguardare l'ottima introduzione.

L'unicità dell'intera opera è dimostrata dal poco successo raccolto dai sequel. Dopo l'originale, pochi seguiti o riedizioni hanno ottenuto la stessa attenzione dal pubblico o simili risultati di vendite. Ed era ovvio che sarebbe andata così, dato che l'idea alla base dell'intero progetto resta molto limitata (la sorpresa creata dal primo episodio era assente nei seguiti). Anche il tentativo di riproporlo con un impianto di gioco tradizionale, meglio noto come Dragon's Lair 3D, è fallito miseramente.

Un discorso a parte merita l'incredibile conversione per Amiga, una sorpresa immensa quando uscì a fine anni '80. Randy Linden, lo stesso "guru" dietro a Doom per Super Nintendo e all'emulatore Bleem, fece veramente un miracolo. Ricopiando (insieme a un team di grafici) tutti i fotogrammi del laser disc, riuscì a portare nelle case l’esperienza del cabinato con pochi compromessi. Infatti, ancora oggi, viene ricordata come una fra le conversioni arcade/home più riuscite di sempre.

Proprio ripensando alla versione Amiga e ai suoi floppy ad alta densità (un formato creato ad hoc per limitare la pirateria), si capisce come l'eredità di Dragon's Lair sia non solo tecnologica ma anche di pura innovazione. Sempre criticato, giustamente, per i suoi difetti congeniti, deve anche essere celebrato per l'impatto che ha avuto sull'intero settore dei videogame. Praticamente costituì una finestra in anteprima su quanto sarebbe diventato standard da lì a una ventina di anni.

In ordine sparso: le sequenze filmate, con attori o meno; il doppiaggio e le musiche di qualità cinematografica; il design affidato ad artisti celebri (Don Bluth arrivava dalla Disney); l'umorismo in stile Looney Tunes ripreso da tutti i giochi di piattaforme; la cura dedicata alle animazioni, diventata segno distintivo degli stessi platform game... Potrei andare avanti, ma come "prove a carico" dovrebbero bastare.

Oltretutto, quando si fa del sarcasmo sulla mancanza di interattività di Dragon's Lair, bisognerebbe allargare il discorso ad altri generi e titoli ben più recenti. In fondo, le tante fasi "guidate" dei giochi moderni, in cui si ascoltano i personaggi ma non si può fare niente, non sono molto diverse. Il fatto che la grafica sia tutta gestita in tempo reale non cambia la sostanza.

Se è facile definire Dragon's Lair come un semplice film interattivo, in quanto è esattamente la sua qualifica, è scorretto vederlo solo come la tipica stravaganza degli anni '80. Lo dimostrano tutti gli elementi che sono stati ripresi, aggiornati o solo copiati nei successivi quarant'anni, e anche il fatto che i giochi moderni sono spesso più film che videogame, ma senza lo stesso appeal per quanto riguarda trama e protagonisti.

Con quest'ultima, atavica, riflessione vi lascio per tornare al castello del drago Singe. Sarò un vecchio senza speranza ma ancora mi diverto a rivivere tutte le scene, cercando di sbagliare meno mosse possibile.

Tojima vuole essere Kamen Rider, io voglio essere Tojima

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