Gamespotting: la dipendenza da collezionismo
Scrivo queste righe a mo’ di terapia e monito. Serve a me, servirà a voi. Potreste essere nella mia situazione e allora mi capirete. Potreste essere tentati e allora ne starete lontani, forti dell’esperienza di chi ha sbagliato prima di voi.
Nella vita sono un collezionista di videogiochi. Ma ho anche dei pregi. Però ‘sta roba di riempirmi la casa di ciarpame proprio non me la tolgo di dosso. Ho iniziato, come molti, intorno ai vent’anni. È stato un acquisto innocente, tanto per provare, con la volontà di recuperare qualche emozione del passato. Non ricordo il cosa, probabilmente qualche cassetta per C64, ma ricordo il momento. È stato una manciata di mesi dopo l’arrivo di Internet in casa mia: ISDN, bollette esose e la scoperta di Ebay. Era il 1998, in seguito a quel primo incauto acquisto, in meno di due settimane, bruciai un intero stipendio. Che mi importava, studente lavoratore a casa con mamma e papà, non avevo bollette, mutui o viveri da acquistare. Potevo dedicarmi alle spese importanti, quelle con la “S” maiuscola. Mi si era aperto davanti un portale su ricordi di infanzia da riacquistare, titoli che mai avevo trovato nei negozi della zona, console che avrei voluto possedere da piccolo.
Me l’avevano detto: se lo fai una volta sarà per sempre. Non ci credevo. E invece la scimmia mi urla nel cervello da quel dì. Prima giocavo, rivendevo e non mi guardavo indietro. Ora la plastica, il cartone, l’aggancio a un ricordo, la rarità, son tutte molle che mi fanno aprire il portafoglio per un’ennesima dose. Le troverei facilmente in digitale, tutte queste cose. Spenderei di meno e non promuoverei un’industria di oggetti di plastica. Aiuterei persino il pianeta, anche se, da quando Greta Thunberg è diventata una figura divisiva, questo pare importare un po’ meno a tutti.
Ho passato varie fasi, come me molti. Cambia magari l’oggetto del desiderio ma la parabola è comune.
Un estratto da Price Charting dei giochi più cari per N64. Come si può notare, valore e qualità non sono esattamente imparentati.
Fase 1: l’infanzia
Nella prima fase, la patologia si sviluppa in maniera subdola. La spinta è il riappropriarsi della propria infanzia. Poco informati e guidati dalla sola passione, non si bada molto alla qualità. Scatole, manuali, soprattutto nel caso di console o computer, non paiono importanti. Si spendono soldi in maniera disinvolta e disinformata. Diciamocelo, si prendono pure delle sole, con il sorriso irresoluto di uno a cui è appena caduta la saponetta e che realizza troppo tardi.
Spinti dal fuoco sacro di un mondo di oggetti a portata di mano, si rischia pure la minchiata grossa. Ricordo vividamente un episodio del luglio del 1998. A quei tempi su Ebay non esistevano i rilanci automatici, se il venditore era tarato su un fuso orario diverso ci si doveva adeguare. Puntai dunque la sveglia alle tre del mattino alla scadenza di un’asta per un cabinato di Dragon’s Lair. Era un annuncio di uno statunitense, uno di quelli che vivono negli Stati Uniti, con merce da vendere dagli Stati Uniti, quelli che stanno dall’altra parte dell’Atlantico. Un cabinato in Iowa e un acquirente fesso in Piemonte, cosa poteva andare storto? Mi sono studiato gli Incoterms, ho cercato come organizzare un groupage. Forse devo a quello il fatto di essere, oggi, un export manager. Ve l’ho detto che il collezionismo mi ha rovinato.
Arrivai a puntare due milioni di lire, ai quali avrei dovuto aggiungere costi di trasporto e sdoganamento. Per un oggetto delicatissimo. Che avrebbe viaggiato su gomma centinaia di chilometri e sarebbe poi stato stipato in un container via mare. Col caldo, la movimentazione portuale diversamente attenta… un vero deficiente. Per fortuna non vinsi.
Anni dopo mi rifeci. Sull’onda dell’entusiasmo per un weekend lungo in Europa, convinsi mia moglie che Londra era sicuramente la meta preferibile. Avevo visto che la mini-replica di Dragon’s Lair che bramavo da tempo, e che online trovavo solo a prezzi improbabili (dai 500 euro in su), era disponibile a poco più di cento sterle presso la catena Game, nel negozio di Piccadilly Circus. Valeva il viaggio. Ho studiato meticolosamente come farlo entrare nel bagaglio a mano, ho valutato quale fosse il minimo sindacale di vestiario da portarmi appresso e oggi è a casa mia. Una vacanza che ruota intorno all’acquisto di un oggetto da collezione, a questo riducono le dipendenze.
Dragon’s Lair X Replicade in tutto il suo splendore. All’intero ci sono pure la mini-replica del lettore CD (non funzionante) e dei gettoni lillipuziani. Come fai a non desiderarlo?
Fase 2: la consapevolezza
Man mano che si inizia ad accumulare e si confrontano i prezzi, si intuisce che la saponetta la si deve tenere salda o perlomeno raccoglierla come un tennista. Si scopre l’opzione “oggetti venduti” di Ebay per meglio calibrare le offerte massime, si decifrano termini che paiono categorie del porno ma invece no: CIB, NIB, mint… Le foto vengono scandagliate in cerca di imperfezioni e si annusano le trappole (foto singola? Scappa via; prezzo troppo basso da venditore professionale? Dubita; condizioni troppo perfette? Riproduzione). La collezione si allarga, tuttavia si rimane ancora nel campo dei best seller evitando i titoli troppo dispendiosi. D’altra parte, il mare è pieno di pesci e voi avete appena iniziato a pescare. O a fare da esca.
Purtroppo, noi italiani ci facciamo spesso riconoscere. Non fa eccezione Subito, con alcuni utenti rei di annunci scalcagnati e richieste economiche da far riconsiderare Ebay.
Fase 3: la collezione
Se inizialmente è solo ciò che ha valore sentimentale ad essere accumulato, poco alla volta si scorgono i buchi nella collezione. Ci si disfa di qualche sola a prezzo di realizzo e si concentrano gli sforzi.
Si entra nella fase acuta.
Se prima Sonic 3 non interessava perché ai tempi la saga aveva già ampiamente rotto i coglioni, ora bisogna averli tutti. Se di Resident Evil si apprezzava, pure giustamente, solo il primo, il secondo e il quarto, ora si deve avere pure Nemesis e Code Veronica poiché non è tollerabile una serie incompleta. Un’altra perversione è quella de “la storia dei videogiochi”. Di Xenogears, in tutta onestà, non ve n’è mai fregato nulla, altrimenti ci avreste giocato ai tempi. Ora però lo volete possedere. Che collezione di giochi PlayStation sarebbe senza di esso? Senza un gioco così venerato dai “veri” giocatori?
Il momento, tuttavia, in cui si comprende che non si tornerà più indietro ha un nome ben preciso: vetrinetta. Quando dagli scatoloni i videogiochi finiscono a decorare una stanza, siete finiti.
Mentre lo si monta, quel mobile in truciolato pure un po’ sghembo, ci si immagina l’orgoglio che si proverà. Non solo perché la seconda attività più vicina alla falegnameria svolta fino a quel momento è stata piantare un paio di chiodi il cui muro ancora chiede vendetta attraverso le sue crepe. Crepe per le quali vostra figlia, allora in odore di elementari e oggi diciannovenne, tuttora vi prende per il culo. Non solo per quello ma perché, tra una martellata e una bestemmia, ci si prefigura quanto sarà figo ammirare i propri pargoli tutti in fila e quanto orgoglio si proverà nel mostrarli a famigliari e amici. Sappiate che una delle due cosa è una pura illusione. Un po’ come quando ci si iscrive in palestra immaginando quanta gnocca apprezzerà la propria forma fisica. Leggete il labiale: pura – illusione. Anche i sodali più nerd guarderanno con distratte occhiate la copia di Odama completa di microfono o la rara versione su floppy disc di Spy vs Spy.
A mobiletto finito, potrebbe venire voglia di avviare il Pc e catalogare il tutto. Lo farete, oh se lo farete!
Eccolo il totem con parte della collezione! Ho ancora molta strada da fare, mobili da assemblare, oggetti da recuperare…
Fase 4: la rarità
Imboccata la via della perdizione, si passa a roba più pesante. Si entra nel pozzo psicologico del desiderio di distinzione. La massa ha NBA Jam ma là fuori c’è Nightmare Circus per Megadrive che è rarissimo! Manco sapete che cazzo sia Nightmare Circus, ma è introvabile, tutti lo cercano, lo vorreste anche voi. Poi considerato il prezzo scenderete a più miti consigli e magari tornerete a casa con il ben più meritevole Ranger X. Sempre un centello di euro ma almeno è una roba degna.
La ricerca diventa spasmodica. Ogni occasione è buona per rintracciare un negozio di retrogaming. C’è Ebay, certamente, ma per qualche motivo ci si convince che negli esercizi commerciali in giro per il globo si potrà trovare l’offertona. Personalmente, mi sono illuso che ogni capitale, per piccola che fosse, potesse contenere magici luoghi di rivendita. Cercavo su Reddit prima di ogni partenza, che fosse Skopje o Atene, Seoul o Bangkok. Inevitabilmente rimanevo insoddisfatto: o non esisteva giustamente nulla, oppure mi scontravo contro la realtà di Boulevard Voltaire a Parigi, una Akihabara all’odor di baguette con i prezzi di Ebay. E per andarci, lì, ho pure preso un aereo che atterrava tre ore prima. Ore tolte al sonno, alla famiglia, alla comunità, a pratiche più edificanti.
E che dire dei mercatini? Passeggiate infinite cercando di fregare qualche bimbo con scarsa conoscenza del valore dei propri vecchi titoli. In genere anche qui la delusione è cocente: tie-in, console troppo poco vetuste, condizioni pietose. E allora si torna ad allargare la rete nella rete (quanto mi piacciono i calembour). E via di Vinted, Subito e marketplace vari. I giovani soccombono all’infinite scrolling dei social, voi avete la lista dei desideri a drenare vita e diottrie. Le sessioni sul trono di ceramica si protraggono, le azioni di Pornhub si svalutano causa perdita di affezionati utenti. È una catastrofe. Eppure non è il fondo. Si inizia a scavare…
Nightmare Circus, misconosciuto gioco brasiliano pubblicato da Funcom. Stando a Price Charting vale 650 €. Stando alle recensioni è una mezza cloaca.
Fase 5: il valore
Un malaugurato giorno ci si interroga sul valore della propria collezione. Ciò porta a due conseguenze: una a breve (altro tempo dedicato alla classificazione), l’altra con effetti più duraturi (si cementa il fervore collezionistico).
La scoperta di Price Charting è stata per me un passo nell’abisso. Mi ha spinto lungo un ulteriore processo di catalogazione. Il mio file Excel era la fotografia del mio tesssoro, certo, ma qui siamo in un’altra lega: lo si può facilmente condividere con la comunità, comprende le wishlist e soprattutto ci sono le valutazioni! Scoprendo il valore di alcuni oggetti ho addirittura monetizzato qualcosina, ma l’effetto più subdolo è che la collezione si è trasformata nella massimizzazione del feticcio numerico. Come in una costante sessione a Borderlands in cui cercare armi più potenti per godere dei numeretti che salgono, come in un Universal Paperclips fatto di cartucce e dischi, ogni acquisto avvicina al prossimo traguardo monetario, a un incremento di valore. È una forma letterale di ludopatia.
Universal Paperclips è un browser game creato da Frank Lantz nel 2017 e ispirato a un esperimento del filosofo Nick Bostrom, che immagina un'IA programmata per massimizzare la produzione di graffette. Il giocatore viene ipnotizzato dai numeri che salgono, pur non ricavandone un vero godimento. Una sorta di versione intellettualmente onesta degli achievement/trofei.
Ora facciamo un attimo un passo indietro. In tutto questo excursus si è evitato di nominare il vero paradosso dell’accumulo seriale. Lo so io ed è bene che ne prendiate coscienza pure voi: tutta questa paccottiglia non verrà usata mai. Già lo avreste dovuto intuire quando avete assemblato il mini-PC per il MAME. O perlomeno avreste dovuto capirlo dal cabinato pieno di polvere di quel vostro amico fraterno. Tutte porte di accesso al retro giocare ben più comode del real hardware. Vi siete comunque illusi ripetendo la litania che “oh, a questo prima o poi ci gioco di sicuro”. Sappiatelo, state comprando scatole. Belle, fascinose, colorate scatole. Verranno risposte sul malfermo scaffale e lì rimarranno per essere saltuariamente ammirate (in realtà mi meraviglio di quanti minuti passi imbambolato di fronte alla mia collezione, con la medesima espressione di proiezione verso il futuro che ha il mio cane quando fa quella grossa). Ricordate il Replicade X di Dragon’s Lair, quello preso a Londra? A un anno e mezzo dall’acquisto è ancora nel cellophane, mai nemmeno estratto dal suo loculo di cartone.
Eppure, ciò non vi fermerà, anzi raddoppierete la posta in gioco. Mi sono trovato a maledire di non aver sfruttato meglio i numerosi viaggi in Giappone, quando titoli blasonati costavano una manciata di yen. Al posto del Biff Tannen di Ritorno al Futuro, io con i soldi delle scommesse ricavati dall’almanacco sportivo ci avrei comprato cartucce, altro che costruire un impero.
L’ultima fase, quella alla quale ancora mi sottraggo, è quella dei giochi nuovi o valutati. È la droga pesante definitiva, il fentanyl del retro-collezionista. Non mi avrà, ma nemmeno riesco a ripulirmi. Amo quello che faccio. Amo il mio mondo di scatole. Prendete tuttavia queste mie parole come monito, se siete in tempo non diventate come me. Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxi-televisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Perché da questa dipendenza, pur nella consapevolezza della sua futilità, non ve ne potrete e vorrete mai staccare. Io ho scelto di non scegliere la vita, ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni, quando si ha il retrogaming.
“They tried to make go to rehab but I said nooo nooo no.”