Minecraft è il Parco Sempione dei videogiochi
Ho sempre avuto grande rispetto per Markus Persson, in arte Notch. Ha dato vita a un fenomeno a nuance di verde e marrone. Una roba esteticamente oscena, ma così ben strutturata da aver catturato l’attenzione del mondo. Non solo, la sua opera è risultata immune al passare del tempo e ai numerosi imitatori. Chi ha provato a scalfirne la gloria, chi ha provato a spodestarlo, è tornato a casa leccandosi le ferite. E questo prima ancora di avere dietro una grossa corporation (o magari proprio in virtù di ciò). Tutto ciò nonostante Minecraft sia davvero poco intrigante da vedere e sebbene l’attenzione del suo pubblico sia stata corteggiata, negli anni, da mostri sacri quali Fortnite e Roblox.
Ora, io sono pigro, la cosa più ardita che ho costruito in vita mia, per pura necessità, è stata la libreria sulla quale sfoggiare la mia collezione. È un’indolenza che si manifesta pure nei videogiochi. In passato sono stato rapito dall’entusiasmo di poter creare su schermo ma poi con il S.E.U.CK. per C64 ho solo modificato uno degli sparatutto inclusi sostituendo l’astronave con un pene volante (credo che sia da quel momento che lo si è iniziato a chiamare uccello); con Music per PlayStation ho generato un giro di basso e già alla batteria ero passato ad altro; con Dreams su PS4… ho completato il tutorial. Tuttavia, Minecraft è entrato in casa mia. Non per me, per mia figlia. Lo abbiano pure comprato due volte. La prima su PS4 e poi su PC, perché là era più ricco, perché si poteva contemporaneamente chattare su Discord, per le mod.
Eccolo qui, il Parco Sempione.
Guardandola giocare ho scoperto molte cose, sia su Minecraft, sia su come gli adolescenti approcciano il videogioco. Oggi, guardando le classifiche di vendita non mi stupisco più della loro staticità. O meglio, mi stupisco ma comprendo il fenomeno. Impreco sempre come il vecchio scorreggione che sono, quantomeno però con cognizione di causa.
Quello che da adulto videogiocatore cresciuto con il mito della potenza grafica inizialmente mi colpiva, era come una cosa fatta di blocchi marroncini potesse avere così tanto successo. È uno shock al quale ho dato una collocazione velocemente. A una certa età, per una specifica fascia di pubblico, una grafica così è quasi un plus: lascia spazio alla fantasia, è funzionale alla costruzione. Nonostante i pixel grossi come caselle del calendario dell’avvento; malgrado tutto quel marrone imperante.
Centinaia di Euro in schede grafiche e poi a video va… questo.
Il laboratorio sociologico vero è stato poi vederlo in moto, vederne fruire. Dell’avventura e della storia striminzita, a mia figlia non poteva fregare di meno. Sì, certo, al drago dell’Ender ci è arrivata, ma anni dopo, più sulla spinta della curiosità instillatale dai suoi compagni di ventura che mossa da una reale necessità. Tutto quello che per me è essenziale in un videogioco, un’ambientazione, uno scopo, un arco ludo/narrativo, per lei era accessorio.
Inizialmente stava lì e costruiva cose un po’ a casaccio. Pure oscene, diciamocelo sinceramente. Però dai, era ancora alle elementari e ogni cosa per papà doveva essere bella. Come quel porta biro a forma di coccinella realizzato all’asilo. Quello, con il muso da maiale, che avevi bisogno di una bussola per capire quale fosse il lato “giusto”; quello con i buchi così poco profondi che le penne il più delle volte cadevano. All’iniziale fase di impresario edile si è affiancata la scoperta dei minigiochi online, il cui scopo, di nuovo, non era tanto la competizione. La scusa era quella; il fine, tuttavia, era la socialità.
Una socialità un po’ monca, visto che mia figlia non usava chat vocali e di tastiere manco a parlarne. Quella messa a schermo era una buffa interazione alla Incontri ravvicinati del terzo tipo, si procedeva per comportamenti da imitare, simbologie a me astruse, ma funzionava. Gran parte della comunicazione si svolgeva nella lobby in attesa dell’inizio della competizione. Era lì che si formavano alleanze e simpatie. Partivano da quanto fosse attrattivo il soprannome, dai quanto gentili o buffi i comportamenti, da quanto affine l’avatar scelto dalla controparte… la grammatica era fatta di movimenti privi di alcun senso per un adulto. Era però affascinante, una volta spiegato. Una serie di squat, per esempio, equivaleva a un saluto. Risultava davvero demenziale vedere queste danze di personaggi cuboidi che sembravano dover scappare da un momento all’altro per fare quella grossa. E invece si stavano salutando, stavano stringendo patti che avrebbero (forse) mantenuto sul campo (una battaglia sincopata a palle di neve). Gente che saltava senza motivo in lungo in largo poteva indicare un partner particolarmente utile nella foga della battaglia. Essere fissati dall’altro capo della stanza poteva significare un certo interesse (questo a volte funzionava pure in discoteca).
Una volta nell’arena, la ricerca di un contatto, piuttosto che uno scontro, era ancora più percettibile. Ci si combatteva, è chiaro, ma senza rompere le alleanze. E se a finire tra gli ultimi due sopravvissuti erano due amici, spesso si sceglieva il suicidio contemporaneo, proprio in virtù di quella neonata amicizia. Mi son sempre chiesto come sarebbe stato il finale di Double Dragon in mano a questi preadolescenti. Probabilmente Billy e Jimmy Lee sarebbero morti di vecchiaia, o d’inedia.
Il probabile finale di Double Dragon secondo la Minecraft generation.
Passati su PC, grazie anche al supporto di Discord, il gioco si trasformò in un vero spazio sociale. Il mondo di Minecraft come un contenitore; un falò virtuale dove trovarsi e raccontarsi storie; dove invitarsi nelle rispettive case; dove tramandare trucchi e strategie per costruzioni e macchine infernali a base di pietre rosa. E poi da lì sconfinava: le letture su internet, le riviste, i video... Ancora ho nella testa la sempre troppo acuta voce di Lion (uno che con i filmati su sto gioco ha fatto i soldi veri). Per dio, mia figlia su Minecraft ci ha conosciuto il suo primo ragazzo! Uno che ha convinto i genitori a farsi qualche centinaio di chilometri per venirla a trovare (poi, per la serenità del papà, la cosa è finita molto presto).
Risulta chiaro al lettore il motivo per cui Minecraft sia il Parco Sempione dei videogiochi; non solo per la sua colorazione peculiare, ma perché terreno di scontro, dove ai bonghi si sostituisce una visione altra del videogioco, e incontro, perché come un vero spazio fisico diventa sociale.
Son racconti da vecchi per vecchi, ne convengo.. Esperienze che mi han dato la comprensione di un divario incolmabile. Ora ho cementato la convinzione che non esiste più IL videogiocatore, ma varie sfaccettature. So che esistono i giocatori (non i VIDEOgiocatori) di Minecraft così come esistono quelli di FIFA (FC, scusate). Utenti per i quali il mezzo non è importante come lo è per noi, per i quali è un tramite per un mondo e per quello solo. Sono esperienze che mi han fatto capire che c’era ben di più dietro quel velo di marrone imperante.
Questo articolo fa parte della Cover Story marrone, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.