Heat è un film quasi perfetto
Quante volte, per descrivere un determinato film, è stato utilizzato il termine “capolavoro”?
Capolavoro significa “opera eccelsa” e, nonostante questo termine sia stato usato spesso e volentieri a sproposito in ambito cinematografico, c’è un film a cui questo termine calza in maniera quasi perfetta: Heat di Michael Mann.
Riassumere Heat in poche righe non è possibile, e non sarebbe neanche corretto. Etichettarlo come un semplice thriller poliziesco a base di rapine e inseguimenti fra guardie e ladri sarebbe riduttivo, e racconterebbe solo la superficie di quello che è il film di Mann.
Heat è prima di tutto la storia di due uomini, che seguono due percorsi diversi ma sono estremamente simili fra loro, quasi due facce della stessa medaglia.
Vincent Hanna (un vulcanico e istrionico Al Pacino) è un duro ed esperto tenente della polizia di Los Angeles, specializzato nel risolvere casi di rapina e smantellare bande criminali, anche quelle più pericolose. Neil McCauley è invece un criminale freddo, lucido e spietato, a capo di una banda di rapinatori fra le più organizzate e preparate. Sono entrambi dediti totalmente al proprio lavoro, quasi fosse la loro unica ragione di vita. Entrambi hanno una vita privata e sentimentale complicata, difficile, fagocitata dalla voracità delle rispettive professioni. Vincent ha due matrimoni falliti alle spalle e anche quello attuale, il terzo, è ormai agli sgoccioli. Il dialogo con sua moglie Justine è inesistente e si ritrova anche a gestire la figliastra problematica Lauren (una giovanissima Natalie Portman), i cui problemi emotivi la portano addirittura a tentare il suicidio. Neil è invece un uomo solitario, senza passato e senza famiglia (non ha più rapporti con il padre e il fratello da anni), e la sua banda è l’unico legame umano che possiede. Secondo lui il mestiere del rapinatore non si sposa con l’avere affetti nella propria vita, anche se l’incontro con la fragile Eady fa crollare le fondamenta della sua filosofia, facendo emergere il desiderio di un legame affettivo autentico.
I due sono destinati inevitabilmente a incrociare il loro cammino, un incrocio che porterà a uno scontro. Neil, dopo diversi colpi andati a buon fine, sta organizzando una rapina in banca colossale che gli permetterebbe di partire con Eady e stare con lei come una coppia normale. Vincent lo vuole catturare ad ogni costo. Fra i due si instaura una stima reciproca e ognuno riconosce nell’altro una sorta di alter ego, seppure si muovano in due direzioni opposte. Entrambi sanno che i legami e gli affetti umani sono per loro un lusso, la solitudine è l’unico modo per sopravvivere, anche se corrode la loro anima. Questa sfida (come da sottotitolo nella versione italiana del film) è necessaria per dare un senso alla loro vita. Uno insegue l’altro per mantenere il controllo su sé stesso, l’altro è pronto a fare il colpo e a scappare per non arrendersi a un destino già scritto, quello del ritorno in prigione o della morte. Entrambi sanno che solo uno dei due potrà vincere, e che uno scontro bagnato nel sangue fra loro due sarà, per dirla alla Thanos, ineluttabile.
Il rapporto fra i due è perfettamente rappresentato nel celebre dialogo al diner. Una calma e rilassata chiacchierata come quelle fra due vecchi amici, prima che, nella sequenza successiva, quella della rapina, tutto esploda in un mare di proiettili e violenza.
Heat è un’autentica altalena di emozioni, fra sequenze in cui calma e silenzio la fanno da padrone, ad altre in cui tutto è adrenalina pura che scorre nelle vene dello spettatore. La rapina in banca è il climax dell’intera pellicola, un punto di non ritorno per entrambi i protagonisti: Neil deve fare il colpo e poi sparire per sempre, Vincent sa che è l’unica occasione per poter fermare la banda. La sequenza della rapina è lunga, sembra quasi interminabile, e la tensione si taglia con il coltello. Neil cerca di mantenere il controllo ostentando calma, mentre Michael Cheritto, uno dei suoi, un cowboy che non sa controllare i nervi, e non esita a usare subito la violenza. Tutto sembra andare per il verso giusto per la banda, vicina a farla franca, quando l’arrivo di Vincent e della polizia scatena una vera e propria guerriglia urbana che mette a ferro e fuoco le strade di Los Angeles. La musica termina lasciando spazio a spari e al rumore dei bossoli che cadono sull’asfalto, ci sono auto crivellate da colpi, rottami e vetri ovunque, quasi fosse la scena di un film post apocalittico. Neil vede metà della sua banda cadere sotto i colpi della polizia, e pur riuscendo a scappare dovrà regolare i conti con chi ha cercato di incastrarlo prima di tentare di scomparire per sempre insieme a Eady.
La parte finale del film, per certi versi, ricorda un’altra pellicola monumentale, Carlito’s Way (sempre con Al Pacino, sarà forse un caso?). Neil, dopo aver mandato al creatore Roger Van Zant e l’ex socio Waingro, responsabili della sua caduta, si lancia in una intensa e disperata fuga verso la libertà proprio come fece Carlos Brigante nella celebre scena della stazione ferroviaria. Nei pressi dell’aeroporto si consumerà il duello finale con Vincent, con quella stretta di mano finale che vale più di qualsiasi dialogo, con quella malinconia di fondo a sottolineare che nessuno ha davvero vinto.
Ma, anche in questo caso, ridurre Heat al solo duo Pacino-De Niro sarebbe riduttivo. Perché ogni personaggio, anche quello che sembra più marginale, ogni sottotrama, è un tassello che si interseca perfettamente nel mosaico generale. Eady, la donna di Neal, così come Justine, la moglie di Vincent, e la figlia Lauren sono persone che condividono con i loro partner un senso di solitudine e insoddisafazione. Van Zant e Weingro, rispettivamente un bieco uomo d’affari e uno squallido criminale dedito a furti e omicidi seriali di giovani prostitute, dopo essere entrati in rotta di collisione con Neal ed essere sfuggiti temporaneamente alla sua vendetta, porteranno lui e i suoi uomini a cadere rovinosamente dopo aver estorto con la forza il piano della rapina da un membro della banda (un allora poco conosciuto Danny Trejo) e aver fornito una soffiata alla polizia. La sottotrama più malinconica ed emotivamente coinvolgente è quella legata a Donald Breedan, ex detenuto che cerca di reinserirsi nella società e guadagnarsi la vita onestamente, supportato dalla compagna Lilian. Dopo aver subito le angherie del nuovo datore di lavoro, decide di ribellarsi e abbandonare la ricerca di un riscatto fin troppo difficile e tornare alla sua vecchia vita, partecipando alla rapina di Neal e morendo brutalmente sotto una pioggia di proiettili, con Lilian che scoprirà della sua morte guardando casualmente il notiziario in un bar. Un gruppo di anime sole e alla deriva.
E poi, sarebbe impossibile non menzionare la città di Los Angeles, quasi una vera e propria protagonista aggiunta. Un palcoscenico spesso buio, freddo, composto da cemento, metallo, grattacieli, lampioni di luci fredde e autostrade, Fotografia e musica contribuiscono a delineare il teatro che fa da sfondo al duello fra guardie e ladri. La stessa Los Angeles sarà protagonista, con la stessa cornice e la stessa intensità, in un altro film di Michael Mann, Collateral.
Heat è un film per molti versi inarrivabile, ancora oggi. Ogni suono, ogni silenzio, ogni respiro, ogni linea di dialogo, anche quello più piccolo, è un mattone senza il quale la casa costruita da Michael Mann non starebbe in piedi. Sotto la coltre del poliziesco urbano c’è un dramma vivo e pulsante, un racconto di vite parallele che si intersecano fra loro, un’escalation di emozioni che alterna calma, silenzio, frastuono e rabbia. In tanti hanno cercato, nel corso del tempo, non dico di replicare ma quantomeno di avvicinarsi alla pellicola di Mann: da The Town di Ben Affleck (forse il tentativo più riuscito, anche se di gran lunga inferiore), a Inside Man di Spike Lee, fino al più recente Nella Tana dei Lupi. Persino Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan ha preso spunto da Heat (William Fichtner, interprete di Van Zant, è stato ingaggiato da Nolan per interpretare il direttore della banca rapinata dal Joker all’inizio del film, come omaggio alla pellicola di Mann). Il personaggio di Neal McCauley è stato fonte d’ispirazione per la realizzazione di Michael De Santa, protagonista di Grand Theft Auto V. Heat, a sua volta, deve sicuramente qualcosa a pellicole come Point Break, sia per le rapine che per il rapporto fra i due protagonisti.
Sì, Heat è un film quasi perfetto. Sostengo “quasi” perché verso la fine del film succede qualcosa che mi ha lasciato basito. Chris Shiherlis, braccio destro di Neal, rimane gravemente ferito durante la rapina, e prima di scappare cerca di ricongiungersi con la moglie Charlene, che nel frattempo decide di collaborare con la polizia per salvaguardare sé stessa e suo figlio. Quando Chris si presenta da Charlene, lei gli fa un segno dal balcone per indurlo ad andarsene. Chris viene fermato poco dopo dalla polizia, ma viene lasciato andare. Ora, nonostante si sia tagliato la coda di cavallo e tinto i capelli, passando da un biondo chiaro a castano scuro, come ha fatto la polizia a non riconoscerlo? Pur usufruendo di un documento falso, il viso è rimasto lo stesso. Un neo, forse piccolo, in un film magistrale.
A Heat sono affettivamente legato per diversi fattori: mi ricordo ancora, a distanza di anni, la domenica pomeriggio in cui andai a vederlo al cinema, con la sala gremita di gente. Era il film del momento, quello che univa due dei più grandi attori americani di quella generazione (i due avrebbero lavorato ancora insieme nel 2008 In Sfida senza Regole, film purtroppo poco riuscito). Di Heat comprai prima la VHS e poi il DVD, e avevo quasi perso la speranza di una pubblicazione in Blu-ray con audio in italiano, poi finalmente arrivata.
Heat compie questo mese la bellezza di trent’anni e fa parte di quella dozzina di film che conosco praticamente a memoria ma che, per un motivo o per l’altro, non mi stanco mai di guardare, persino quando passano in televisione imbottiti di pubblicità.
Proprio di recente è stato annunciato Heat 2, adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato nel 2022 e scritto dallo stesso Michael Mann, che funge sia da prequel del primo film che da seguito dello stesso, esplorando il passato dei personaggi chiave e ciò che è successo ai sopravvissuti. Tra i nomi che circolano, Leonardo Di Caprio, Adam Driver, Bradley Cooper e Christian Bale.
Pur confidando nella bravura di Michael Mann e in un cast che si preannuncia stellare, temo sempre di potermi ritrovare, quando uscirà, nell’ennesimo prodotto fuori tempo massimo, ma la speranza è sempre l’ultima a morire.




