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Le migliori sparatorie al cinema

Le migliori sparatorie al cinema

Tempo fa, parlando con dei conoscenti, uno di loro mi chiese quale fosse l’elemento imprescindibile che per me rende interessante un film. Senza pensarci troppo, risposi che un film, per quanto possa essere debole a livello di trama e per quanti difetti possa avere, risulta sempre interessante da guardare se ci sono delle sparatorie o delle scene di combattimento ben fatte, capaci di coinvolgere ed esaltare lo spettatore. Le sparatorie, soprattutto, le ho trovate sempre fondamentali in qualunque film thriller o d’azione, perché rappresentano il punto di massima tensione del film, il punto in cui buoni e cattivi (ma anche cattivi e cattivi) regolano i conti fra loro. Bossoli che cadono a terra, caricatori svuotati, fori di proiettili ovunque, sangue e corpi feriti. Protagonisti che cercano un riparo in attesa di ricaricare l’arma per poi ricominciare e tensione alle stelle sono le caratteristiche principali di una sparatoria ben riuscita. Le pellicole che ho preso in esame in questo pezzo appartengono a un periodo abbastanza vasto, che va dai primi anni Novanta fino al 2011, anno più anno meno, e seguirò appunto l’ordine cronologico relativo all’anno di uscita del film, perché farne una sorta di classifica la trovo una cosa sostanzialmente inutile.

Scarface, pellicola che ha recentemente tagliato il traguardo delle quaranta candeline, si conclude con una sparatoria che definire epica è troppo poco. Tony Montana rientra a Miami da New York, si trova in stato confusionale dopo che, a causa di un raptus, ha ucciso il socio e amico fraterno Manny, che ha scoperto avere una relazione con la sorella Gina, per la quale prova un affetto oltre i limiti del morboso, e aver irrimediabilmente rotto i rapporti d’affari con il trafficante colombiano Alejandro Sosa. Il boss cubano si rifugia nella sua lussuosissima villa sniffando quantità industriali di cocaina e ubriacandosi di whiskey per soffocare il dolore. Una volta resosi conto che la sua villa è invasa da sicari boliviani inviati da Sosa per ucciderlo, Tony imbraccia un mitragliatore e resiste stoicamente alle ondate di nemici, anche grazie all’alcool e alla droga che ne hanno anestetizzato il corpo. Ma, alla fine, colpito alle spalle da uno dei sicari, cederà anche lui, il numero uno dei boss, e cadrà nella piscina della sua villa, deceduto. Una sparatoria “uno contro tutti”, molto simile a quelle viste in un qualunque capitolo di Grand Theft Auto.

Un elemento ricorrente delle pellicole che ho preso in esame sono le rapine in banca. Per i rapinatori va sempre tutto liscio fino a quando, ovviamente, non ci si mettono di mezzo i poliziotti. Come in Point Break, quando l’agente speciale Johnny Utah è costretto suo malgrado ad unirsi alla banda degli ex presidenti per evitare che la sua ragazza, Tyler, venga barbaramente uccisa. Il capobanda Bodhi, questa volta, decide di non accontentarsi degli spiccioli ma di ripulire anche il caveau, ma qualcosa va storto: un coraggioso poliziotto in borghese decide di intervenire e riesce a ferire quasi tutti i membri della banda e a ucciderne uno, ma la lentezza nel ricaricare la pistola permette a Bodhi di eliminarlo con un colpo in pieno petto.

Passiamo da sparatorie “uno contro tutti” a “uno contro uno” con un film action ambientato in un futuro che onestamente spero di non vedere mai: Demolition Man. Nel 2032, in una società priva di qualsiasi forma di violenza – ma anche di qualsiasi elemento anche solo lontanamente divertente, l’istrionico criminale Simon Phoenix, ibernato per ben trentasei anni, torna in circolazione seminando caos e terrore nel complesso cittadino di San Angeles (la ex Los Angeles). L’ex agente John Spartan, interpretato da un pompatissimo Sylvester Stallone, viene scongelato per arrestarlo, dato che proprio lui l’aveva catturato molti anni prima. Il primo incontro fra i due nella nuova realtà avviene all’interno di un museo, non certo per ammirare opere d’arte, quanto perché le armi da fuoco sono state bandite e gli unici esemplari si possono trovare solo lì. Fra un proiettile e l’altro, non manca qualche scambio di battute nello stile smargiasso degli action anni Novanta, con Phoenix che esterna a Spartan il desiderio di ammazzarlo da quarant’anni e Spartan che lo invita a continuare a sognare. Lo scontro fra i due si sposta in una riproduzione urbana delle strade del ventesimo secolo. Phoenix, dopo aver utilizzato una sorta di fucile laser (d’altronde siamo nel futuro) viene sorpreso da Spartan e inizia un’epica scazzotata fra i due, con il poliziotto in evidente difficoltà, che riesce però a cavarsela stordendo il criminale con una scarica elettrostatica, rimandando la resa dei conti fra i due alla fine del film.

Tornando agli scontri “uno vs molti”, abbandonando però momentaneamente il genere thriller/action, un’altra sparatoria che ogni tanto amo riguardare su Youtube è quella presente nel film Il Corvo, fantahorror con il compianto Brandon Lee come protagonista. Eric Draven, dopo aver eliminato quasi tutti gli assassini dell’amata Shelley, si reca nel covo del boss criminale Top Dollar per uccidere l’ultimo che gli è rimasto, Skank. Ma il boss, interrotto durante una riunione di lavoro con la peggior feccia criminale esistente, si rifiuta di consegnare il suo scagnozzo e il nostro vendicatore triste, dall’alto della sua invincibilità che lo rende immune ai proiettili, non esita a fare piazza pulita, servendosi anche di una katana, presente fra le armi bianche della “collezione” di Top Dollar, il tutto in un tripudio di pallottole, dollari che svolazzano da una parte all’altra e musica techno assordante. Poi fa fare a Skank un simpatico volo dalla finestra, esattamente come quello che avevano fatto fare a lui quando l’hanno ucciso.

Se Eric Draven non ha lesinato in termini di pallottole, ancora meglio ha fatto Thomas Anderson, il Neo di Matrix, che condivide con lui la passione per i soprabiti neri. Lui e Trinity si apprestano a salvare Morpheus, catturato e messo sotto torchio dall’agente Smith, e si presentano nella hall dell’edificio federale con un intero arsenale addosso (tant’è che, quando l’arma che stanno usando si scarica, la gettano via e ne prendono un’altra), e, fra un caricatore e l’altro, non mancano le acrobazie sui muri e le capriole che tanto hanno reso celebre questa scena. Naturalmente né lui né lei si sono fatti un graffio.

Rientro nel contesto “rapine in banca” citando un film che amo particolarmente e che riguardo almeno una volta all’anno: Heat, film di Michael Mann del 1995. Al Pacino e Robert De Niro, rispettivamente il tenente Vincent Hanna e l’esperto rapinatore Neil McCauley si sfidano lungo tutto l’arco del film. Lo scontro fra i due è inevitabile, entrambi lo sanno e viene di fatto preannunciato durante la celebre scena della chiacchierata davanti al caffè. La scena della rapina e della successiva sparatoria, lunghissima, è già carica di tensione fin dai primi istanti: Neil e la sua banda danno il via alle danze con i clienti della banca visibilmente spaventati. Neil, dall’alto della sua lunga esperienza in fatto di rapina, ostenta sempre calma e sicurezza, mentre uno dei suoi, Michael Cheritto, uno dai nervi facili, non esita a colpire chi non lo asseconda. Il tenente Hanna, appena ricevuta la soffiata, si precipita sul luogo del crimine con i suoi per cercare di fermarli. I rapinatori sono già in macchina pronti a partire, credendo di averla fatta franca, quando la visione di uno degli agenti da parte dei criminali dà il via ad un vero e proprio Far West urbano nelle strade di Los Angeles. La musica di sottofondo termina e si sente solo un incessante e interminabile rumore di spari e bossoli che cadono sull’asfalto. L’autista della banda – tra l’altro coinvolto nella rapina per caso – muore sotto i colpi della polizia e la banda è costretta a fermarsi, anche a causa di un posto di blocco della polizia, che non consente loro di andare oltre. La sparatoria prosegue, ci sono auto crivellate dai colpi e vetri in frantumi ovunque. I rapinatori hanno la peggio, con Neil che scappa insieme a uno dei suoi, ferito gravemente, rubando un’auto. Cheritto invece ha la peggio, ricevendo una pallottola in fronte da parte del tenente Hanna. Una sequenza ancora oggi inarrivabile a livello di adrenalina e tensione.

C’è chi ha cercato di replicare la stessa scena, facendo un buon lavoro ma non certo dello stesso livello di quello di Michael Mann. In The Town, Ben Affleck e la sua banda, dopo aver ripulito “La Cattedrale di Boston”, si apprestano a scappare a bordo di un’ambulanza fingendosi dei paramedici, quando la polizia interviene, pronti ad arrestarli, ovviamente non prima di aver scatenato una pioggia di proiettili. Uno dei criminali ci lascia le penne, mentre un altro si sacrifica scappando con l’ambulanza per attirare i poliziotti – sapendo che sarebbe morto - per poter permettere agli altri due di fuggire.

Nel frattempo gli altri due criminali – interpretati da Ben Affleck, il capobanda Doug MacRay, e Jeremy Renner, il suo braccio destro James Coughlin, camuffati da poliziotti stile Agente 47 della serie Hitman, tentano di fuggire a piedi. Ma il detective Frawley, a capo dell’indagine, riconosce Coughlin e lo insegue fino a quando il criminale non si ritrova circondato dalle auto della polizia, senza più via di scampo. Coughlin, piuttosto che tornare in prigione, decide di farsi uccidere dalla polizia.

La sparatoria, di per sé, che sia uno contro uno o uno contro molti, che veda una pioggia di proiettili o solo pochi colpi sparati, che sia un conflitto a fuoco “puro” o che continui sotto forma di scontro fisico, è soprattutto uno scontro di ideologie, di filosofie di vita, di personalità. Criminali che non vogliono sottostare alle regole imposte dalla società e cercano la via del denaro facile, e poliziotti che hanno giurato di proteggere i cittadini da tali individui. Ci sono i poliziotti duri e puri che disprezzano i criminali a cui danno la caccia (come Frawley di The Town ma anche e soprattutto John Spartan), chi invece li stima (Vincent Hanna di Heat) e chi addirittura ne subisce il fascino (come Johnny Utah di Point Break). Chi era intento a vivere la sua vita, come Eric Draven, e ha dovuto abbracciare il proprio lato oscuro per ottenere la tanto agognata vendetta, e chi, come Tony Montana, ha perso tutto proprio per averlo temporaneamente abbandonato. Ma a noi semplici spettatori, in fondo, poco importa: non conta chi la spunta fra le due fazioni, ma quanto ci divertiamo vedendone lo scontro a fuoco.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Doom, agli sparatutto e alle sparatorie, che potete trovare riassunta qua.

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