Super Nintendo estivo
Quando s’è deciso di fare la Cover Story a tema spiagge, ho immediatamente pensato che avrei potuto scrivere delle mie esperienze estive impegnato a cercare giochi arcade vagando fra i vari stabilimenti balneari, ma l’avevo sostanzialmente già fatto quando ho scritto di Wonder Boy. Ho pensato anche che avrei potuto scrivere del gironzolare in cerca di sale giochi, ma quella roba l’ho infilata quando ho scritto di Ninja Warriors. Vogliamo allora parlare di quella singola volta estiva specifica in una qualche pizzeria di provincia abruzzese (credo) appiccicato a Jungle Hunt che identifico (forse erroneamente) come mia prima esperienza videoludica? Già dato. E quindi? E quindi stavo per lasciar perdere, ma poi m’è venuta voglia di scrivere due righe su quell’estate trascorsa appiccicato al Super NES dell’amico, anche perché mi suggerisce uno spunto per riallacciarmi all’attualità con slancio atletico. Procediamo.
Io, l’ho scritto e detto non so quante volte, in tutti questi anni di Outcast, un Super Nintendo non ce l’avevo. Ora ce l’ho, perché me lo sono comprato in età adulta, usato, assieme a un po’ di cartucce, e ho felicemente recuperato un po’ di giochi, ma all’epoca, “live”, non ce l’avevo. Negli anni degli 8 e 16 bit, dalle mie parti si giocava su computer Commodore (e poi su PC) e su console Sega. Alla roba Nintendo ci giocavo a casa dell’amico che aveva tutto. E un anno, suppongo nel periodo in cui l’epoca 16 bit era in procinto di concludersi, o forse si era già conclusa, quell’amico mi prestò molto generosamente il suo Super Nintendo, che mi portai in vacanza in Abruzzo.
Non ho la minima idea di quanti giochi io mi sia portato nel borsone fin su su a Contrada Colle Imperatore, azzardo che fossero una dozzina, ma nei miei ricordi, sostanzialmente, quell’estate si riduce a Super Mario All-Stars e Assault Suit Valken. Poi, probabilmente (sicuramente), ho giocato anche ad altro, e del resto a quei tempi non è che ci si facessero molti problemi di screen time, men che meno quando stavi a casa della zia che non capiva manco cosa stessi combinando con quel coso attaccato alla TV. E quindi mi appiccicavo lì in cucina suppongo per ore. Facevo anche altro, eh, andavo in spiaggia, giravo in bicicletta, ascoltavo musica e leggevo. Posso sbagliarmi ma credo sia la stessa estate in cui ero talmente isolato e immerso nel fancazzeggio che riuscii a leggere It e Il signore degli anelli nel giro di due settimane. Però, ecco, sicuramente giocai un sacco. Giocai di mattina. Giocai di pomeriggio. Giocai di sera.
E quel bel cartuccione che conteneva i remake di tutti i Mario classici del NES costituì un’occasione per recuperare una serie a cui non avevo mai avuto modo di dedicarmi sul serio. Erano tutti giochi bellissimi, e che amavo, ma a cui avevo giocato solo saltuariamente, quando se ne presentava l’occasione a casa dell’amico in questione. E onestamente non ricordo se prima di quell’estate avessi mai visto la fine di uno di quei giochi. Ma in quelle settimane mi ci dedicai violentemente e riuscii a portarli a termine tutti e quattro. E sì, lo so che non era esattamente come giocare agli originali, che erano un po’ più facili e bla bla bla. E cacaci il cazzo!
Eppoi c’era appunto Assault Suit Valken, in versione giapponese, che io non avevo idea di cosa fosse, nel senso che non sapevo che fosse in realtà il prequel di Assault Suit Leynos, gioco che per altro conoscevo. Per me era solo quella ficata con la grafica pazzeschissima in cui andavi in giro a far casino col mech, distruggevi tutto, facevi un macello. Mamma quanto mi gasava Assault Suit Valken. E mamma quanto mi sembrava difficile. Suppongo fosse una questione di ingenuità e scarsa dimestichezza con certe meccaniche, perché è un raro caso di gioco d’azione dell’epoca che ricordavo tostissimo e invece, quando c’ho rimesso mano in età adulta, ho completato senza grossi problemi. Di solito succede l’esatto contrario.
Ho un bel ricordo di quell’estate, e soprattutto me la ricordo come una cosa che oggi è un po’ difficile da fare. Voglio dire, non dico che sia impossibile, ma insomma, pigliare su una PlayStation 5 (ma pure 4) e portarla in Abruzzo per attaccarla alla TV piccina di zia non è esattamente comodo e semplice come fu all’epoca tirar su un cosetto di plastica e una manciata di cartucce. Ed è forse anche molto meno sensato, considerando quanto ne uscirebbe sacrificato l’output audiovisivo della console. In questo senso, forse, Nintendo è l’unica che in qualche modo ha portato avanti la possibilità di fare una roba del genere e ho l’impressione che proprio l’idea di portarsi comodamente dietro la console sia una cosa che hanno sempre avuto in testa, fin da quando infilarono quella specie di maniglia sul retro del GameCube. A conti fatti, anche nell’ultimo decennio o giù di lì, Nintendo è l’unica che sembra aver ragionato in questi termini, anche se poi vai a sapere se l’han fatto apposta.
A scanso di equivoci: non sto parlando di videogioco portatile. Il videogioco portatile non ha mai smesso di stare bene, grazie a Switch, a Steam Deck e ai loro emuli. Poi si può discutere di quanto siano effettivamente portatili quegli aggeggi, se messi al fianco delle macchine portatili Nintendo di una volta, dei vari Game Gear, Lynx, Neo Geo Pocket, Wonderswan, tutto sommato anche di PSP e PS Vita. Ma insomma, non è troppo rilevante e comunque, se vuoi videogiocare in maniera davvero tascabile, c’è pur sempre lo smartphone.
No, io sto proprio parlando dell’atto di prendere una console “da casa”, infilarla in borsa e portarsela dietro per attaccarla alla TV anche un po’ di fortuna che sta da qualche parte altrove, a casa dell’amico, dalla nonna, in vacanza, magari perfino alla TV in camera d’albergo. Quella cosa lì, mi sono reso conto negli ultimi anni, è innanzitutto una roba che è comodissimo fare con le tanto bistrattate retro-console in miniatura, che son proprio comode da portarsi dietro per avere una bella svaligiata di giochi, per altro spesso semplici, croccanti e adattissimi alla partitina svagata estiva. Console in miniatura che, non dimentichiamocelo, le ha rivitalizzate e ridefinite Nintendo quando ha lanciato la sua riedizione del NES. E poi ci sono i due Switch che, certo, sono un po’ più incasinati da portarsi dietro in modalità casalinga, perché serve pure il dock, ma tutto sommato ti permettono di avere facilmente nello zaino una roba che si attacca alla TV e ti lascia giocare chiuso in casa in quegli orari in cui se esci prendi immediatamente fuoco.
Frega qualcosa a qualcuno, di questa roba qua? Non lo so, ma quello del Super Nintendo portato in Abruzzo è un ricordo indelebile di una delle mie estati “giovani” e per me è ormai abitudine abbastanza fissa trascinarmi dietro Switch nel periodo estivo. Ed è bello avercelo lì, attaccato alla TV. Tra l’altro quest’anno mi porto pure l’Amiga Mini, ché devo giocare ai Lotus per Retroutcast.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle spiagge, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.