Bonanza Bros., un heist-movie a 16 bit
Siamo quasi in dirittura d’arrivo per la next big thing di Nintendo, ovvero Donkey Kong Bananza, un gioco che promette di portare per l’ennesima volta una rivoluzione dei propri personaggi da parte della casa di Kyoto, sperando magari nello stesso trattamento ricevuto dalla saga di The Legend of Zelda con Breath of the Wild, capace di elevare una IP già celebre allo status di “must-have”.
Donkey Kong Bananza è tra i giochi più attesi dell’anno, tanto che qualcuno è disposto a follie pur di accaparrarselo, come dimostrato nell'asta videoludica di rinforzo 2025.
Ma appena annunciato il nuovo titolo sul gorilla cravattato, ecco che per i vecchi come me, cresciuti a pane e SEGA, è balzato subito in mente uno di quei vecchi cult, un gioco che ai tempi mi sembrava un passo avanti a tutti, quel Bonanza Bros. protagonista di molti pomeriggi del dopo scuola. La sua grafica era qualcosa che difficilmente si vedeva all’epoca, un 2.5D molto pulito e nitido, in cui tutti i personaggi venivano rappresentati in maniera minimale, plasticosa e con un design dal corpo fluttuante ma senza gambe, solo con delle scarpe che seguivano perfettamente il resto del personaggio, un po’ come poi fece Ubisoft con Rayman.
Vorrei spendere due parole su che cosa fosse Bonanza Bros per quelli che non lo dovessero conoscere: il gioco vede protagonisti due fratelli intenti a saccheggiare diversi edifici o luoghi (come case, musei, navi, banche, piramidi, ecc.) e l’obiettivo consiste nel, oltre a recuperare gli oggetti ben contraddistinti sulla mappa, non farsi beccare dai vari guardiani e poliziotti presenti nel livello, pena un allarme generale in cui l’NPC che ci ha beccati richiama l’attenzione dei colleghi suonando un fastidiosissimo fischietto. Una volta arraffato tutto (sottolineato sempre con una risata soddisfatta dei protagonisti) bisogna raggiungere il tetto per venir poi recuperati da un dirigibile, un po’ come succede in Momoko 120%. Non so quanto questo riferimento possa essere esauriente, ma ho trovato la similitudine meritevole di essere evidenziata.
Ve lo ricordate quel vecchio telefilm ambientato nel West? Ma alla fine cosa vuol dire Bonanza? Sebbene il significato letterale indichi un termine usato nei paesi di lingua spagnola e negli Stati Uniti per definire un giacimento di minerali come oro e argento, può essere utilizzato anche per suggerire un periodo di grandi opportunità e prosperità, una botta di fortuna. Umberto Smaila avrebbe detto “COLPO GROSSO!”.
Cos’era però che rendeva questo gioco così speciale? Qual era la caratteristica principale che non lo accomunava a nessun altro gioco fino a quel tempo? O almeno per me?
L’anno in cui ci giocai per la prima volta fu il 1992: ricordo come ieri che a casa mia arrivò il Mega Drive, comprato usato da un amico di famiglia con minimo una ventina di giochi annessi. Mio padre aveva dovuto trasferirsi a Ravenna per lavoro e decise di portarsi dietro il Master System, dato che i tempi sarebbero stati lunghi, e allora scelse di supplire alla nostra mancanza d’intrattenimento casalingo sostituendolo con la nuova ammiraglia di casa SEGA. Inizialmente non fui contento, tutti i miei giochi preferiti erano lì sulla vecchia console, ma appena attaccato il Mega Drive, il mio malumore sparì, lasciando spazio solo a meraviglia a 16 bit.
Rovistando nello scatolone dove erano stipate tutte le confezioni delle cartucce, ovviamente, i miei occhi prima vennero attratti da giochi come Sonic, Golden Axe II e Altered Beast, ma non rimasero indifferenti al box di Bonanza Bros, forse perché la copertina mi ricordava molto dei pupazzetti della LEGO. Gialli, stondati, minimali, insomma per un bambino di sei anni non è che ci fosse tanta differenza, soprattutto a quei tempi.
Quella cover, quella maledetta cover. Poi con quella descrizione, come resisterle?
Dopo varie prove coi giochi nuovi, arrivò il suo turno, che non mi conquistò immediatamente, devo essere onesto, vista la sua natura stealth che richiede molto più ragionamento rispetto a un platform o a un beat ‘em up; ma quando iniziai a capirlo, anche vedendoci giocare mia sorella, iniziai a studiarlo e a prendere coraggio, imparandolo praticamente a memoria. Oltretutto il gioco prevede il multiplayer con una modalità co-op split screen, perciò ognuno poteva starsene per i fatti suoi e non nella stessa schermata, evitando di intralciarsi o rallentarsi creando quelle tipiche dinamiche tra fratelli e sorelle che sfociano in un litigio bambinesco.
Di giochi stealth ai tempi non ce n’erano molti, era nata da pochi anni la saga di Metal Gear, ma chi ce l’aveva un MSX in casa? E la versione apocrifa per NES non l’avevo mai nemmeno sentita nominare, perciò l’immersività di questo gioco mi pareva qualcosa di un livello superiore agli altri, avendo un’interattività non comune rispetto a Sonic, Super Mario Bros. o Tetris.
Il gioco offre una serie di possibilità veramente notevole, tipo nascondersi dietro ad angoli o sporgenze (perché aveva un minimo di profondità negli ambienti, nonostante fosse 2D), mettersi di soppiatto contro una porta per poi spalancarla spiaccicando il malcapitato dall’altra parte contro il muro, sfruttare oggetti come bicchieri o lattine per far scivolare i nemici (o cadere a propria volta), ma soprattutto in certi livelli puoi sfruttare scorciatoie: indimenticabile quella del secondo livello, dove si può utilizzare un cavo con carrucola per sfondare la parete dalla parte opposta del cortile, saltando così una pletora di guardie pronte a catturarci.
Inutile dire che è presente pure un sistema che fa intuire agli avversari che si sta facendo rumore, soprattutto quando si appisolano durante il loro turno di sorveglianza, svegliandosi di soprassalto e avvertendo gli altri. Abbiamo a disposizione anche una pistola per difenderci, un’arma capace di stordire per qualche secondo i nemici, tanto per sottolineare quanto questo gioco non si prenda sul serio, ma rimanga sempre molto divertente e ridanciano, con reazioni sopra le righe di ogni personaggio.
Uno split screen salvifico, soprattutto per le faide tra i più piccoli!
Ecco, proprio questa mancanza di serietà me lo fece amare dal primo istante, perché smorzava del tutto la tensione che si creava nel dover stare attenti a ogni propria mossa, e per un bambino il riuscire a giocare senza agitarsi, soprattutto sotto pressione, era veramente raro, ai tempi. Se qualcuno mi chiedesse un gioco per far vedere ai propri figli “come erano i giochi di un tempo” forse questo sarebbe un indiziato perfetto, col suo misto di comicità e co-op. Se invece dovessi descriverlo con la consapevolezza di ora, lo definirei un “heist-movie game”, con lo stesso mood di un Ocean’s Eleven misto a La pantera rosa, più quel pizzico di The Blues Brothers, ma con le ovvie limitazioni del 1990; proprio la parte cinematografica è un aspetto importante del gioco, con intermezzi che vedono i due protagonisti studiare il prossimo colpo tramite un proiettore che mostra il livello che si deve affrontare.
Un proiettore, due fratelli, un piano perfetto e tre minuti per svaligiare lo stage. Niente di più semplice!
Questo è quello che per me è stato Bonanza Bros, un gioco seminale per quanto riguarda la mia formazione di videogiocatore inconsapevole, alla scoperta di nuove esperienze ludiche. Divertente, cazzone ma non stupidone, un gioco che a mio modestissimo avviso è invecchiato benissimo.
Giocateci e, se potete, fatelo anche con i vostri figli. O nipoti. O con chiunque voglia divertirsi.