Di patch, guide e sapere proibito
Finalmente ho chiuso l’ultimo lavoro di un lungo periodo ricco di impegni, eventi e incastri improbabili. Stanco nel corpo e nell’anima, accendo la console ormai impolverata, collego il mio fido arcade stick e avvio uno dei tanti picchiaduro moderni a cui non riesco a dedicarmi con la costanza che vorrei. Un messaggio mi informa che “è necessario un aggiornamento”. OK, ci può stare. Non lo avvio da mesi e visti i ritmi con cui i giochi moderni vengono cambiati, corretti e ritoccati, è normale che gli sviluppatori ne abbiano approfittato per rinfrescare l’esperienza ed evitare la migrazione dei giocatori verso altri lidi. Finisco di scaricare il corposo pacchetto digitale, completo l’installazione e, finalmente, avvio il gioco per recuperare un po’ di serenità ai danni degli avversari virtuali. A quanto pare, però, l’aggiornamento non è un semplice intervento per aggiungere nuove sfide giornaliere o qualche oggetto. Si tratta di una patch molto corposa. Avendo perso da mesi il contatto con i miei passatempi preferiti, vengo travolto dalla mole di novità snocciolata da un documento di testo interminabile.
Intravedo meccaniche inedite, modifiche al sistema di gioco e, come se non bastasse, stravolgimenti al mio personaggio preferito. Per un attimo, l’idea di dover ricominciare a studiare le combo, i setup e il gioco neutrale mi getta nello sconforto, poi però mi faccio coraggio e salto nel tritacarne delle partite classificate. La prima mezz’ora è un dramma in quattro atti. L’approccio che usavo fino a qualche mese fa è completamente inutile, le tempistiche sono tutte diverse e le nuove meccaniche interferiscono con il mio solito ritmo. Considerando anche la ruggine dovuta ai mesi di inattività, non devo ripartire da zero, ma poco ci manca.
Quando ricarico un qualsiasi picchiaduro della mia adolescenza, mi sento subito a casa. Al netto della manualità da recuperare, ogni singolo elemento è ancora lo stesso di 20-30 anni fa.
Possibile che basti allontanarsi da un gioco per un breve periodo, per sentirsi un perfetto estraneo una volta tornato sul ring? Le patch sono utilissime, sia chiaro, ma proprio non riesco ad apprezzare la soluzione dei giochi “fluidi”, che cambiano pelle con regolarità solo per non far annoiare (o lamentare) l’utenza. Le patch per correggere i bug? Indispensabili. Quelle per aggiungere nuovi personaggi? Fantastiche! Ma non posso fare a meno di sentire la mancanza dell’epoca in cui venivano pubblicate più versioni dello stesso gioco. Negli anni 90, quando un’azienda di sviluppo voleva modificare il proprio titolo, generalmente pubblicava una nuova versione con tutti gli interventi del caso e, dovendo giustificare la spesa per l’acquisto di un gioco completo, tendeva ad arricchire il tutto con nuove illustrazioni, personaggi extra, modalità inedite.
Era senza alcun dubbio un’operazione studiata a tavolino per monetizzare, dal momento che l’obiettivo ultimo era sempre il guadagno economico, ma se non altro permetteva a chiunque non apprezzasse la nuova incarnazione della serie, di tornare su quella che amava di più. Oggi, a meno di non essere “smanettoni” che giocano su PC e che sanno dove mettere le mani, al massimo si può giocare alla versione Vanilla (quella disponibile al lancio, recuperabile giocando offline senza aggiornare nulla), o a quella legata all’aggiornamento più recente. Le tappe di mezzo sono un indefinito magma di dati su cui gli utenti “normali” non possono mettere mano.
A partire da The World Warrior, uscito in sala giochi nel 1991, di Street Fighter II sono state pubblicate innumerevoli versioni, ognuna con modifiche più o meno importanti a frame, sprite, velocità, meccaniche, personaggi selezionabili, colori, arene, illustrazioni, musiche e via dicendo. Oggi, potete giocarle TUTTE.
Per fare un esempio concreto, la community mondiale di Street Fighter III 3rd Strike: Fight for the Future ha disconosciuto l’ultima revisione del gioco, in cui Capcom aveva corretto alcuni bug e fatto qualche ritocco. La stragrande maggioranza dei giocatori è rimasta legata alla versione 990512 (sigla che indica anno, mese e giorno di pubblicazione). Trovo affascinante che, all’epoca di Third Strike, fu la community a scegliere su quale versione si sarebbero svolti i tornei futuri. Oggi una cosa simile non sarebbe possibile, dal momento che i giocatori DEVONO seguire i ritmi dettati dalle case produttrici e dai rispettivi tornei milionari, anche a costo di avere a che fare con un’esperienza meno piacevole e divertente della precedente. A volte, inoltre, gli utenti subiscono passivamente le patch, rischiando ad esempio di ritrovarsi di fronte a modifiche importanti a una settimana scarsa da un torneo importante.
Oggi la versione di 3rd Strike più usata è la 99.05.12. creata dalla community stessa. Si tratta di una variazione della 990512 originale, dove è stato risolto il bug tra Ken e Makoto che causava un softlock del gioco. Un enorme ringraziamento a Fede e Tauri dello Studio Ashirikubi, per tutte le conferme del caso!
Anche se molte persone sono convinte del contrario, le patch esistevano anche in passato, quando Internet non aveva ancora un ruolo preponderante nelle nostre vite e quando i giochi venivano distribuiti tramite supporti fisici chiusi e non modificabili, senza alcuna versione digitale. Quando le sale giochi erano ancora luoghi di ritrovo vivi e vibranti, gli sviluppatori le consideravano un ambiente ideale per i test su larga scala. Anche se i tester dell’azienda avevano passato mesi a scovare eventuali bug o problemi del titolo, infatti, il passaggio in sala giochi permetteva al team di sviluppo di alzare ulteriormente il livello di stress a cui veniva sottoposta la propria creatura.
Quando ogni genere di giocatore, dal pianista al lab master, fino ad arrivare al fan della “mitologia” e degli easter egg, giocava per ore e ore a un titolo cercando di sviscerarne ogni segreto senza sprecare gettoni preziosi, le probabilità che saltasse fuori qualcosa che i tester non avevano notato erano altissime. Proprio per questo motivo, in sala giochi poteva capitare di imbattersi in revisioni diverse dello stesso titolo. In Giappone le aziende che sviluppavano videogiochi erano costantemente in contatto con i gestori delle sale arcade, da una parte per fornire assistenza, dall’altra per piazzare i prodotti appena usciti. Questo dialogo costante permetteva di avere sempre il polso aggiornato della situazione e di venire a conoscenza di eventuali bug o problematiche passate sotto traccia al momento dell’uscita, e potenzialmente in grado di rovinare l’esperienza dei giocatori.
La serie “All About” di Studio Bent Stuff era una miniera d’oro di informazioni per chi amava studiare a fondo i giochi arcade. Quando una di queste bibbie approdava in Italia attraverso la “via della seta”, poteva stravolgere gli equilibri di qualsiasi community arcade.
Nel 1996, per esempio, Capcom pubblicò una versione migliorata di Street Fighter Zero 2, uscito solo pochi mesi prima, chiamata Street Fighter Zero 2 Alpha. Si trattava in tutto e per tutto di una ricca patch, che modificava il bilanciamento del gioco, cambiava gli input di alcune tecniche e aggiungeva succosi segreti extra. Oggi, verrebbe pubblicata online e andrebbe a sovrascrivere la versione precedente. Andando in una sala arcade giapponese nel 1996, invece, era possibile imbattersi in entrambi i titoli, scegliendo liberamente dove investire il proprio prezioso gettone. La cosa divertente è che, quando ci si trovava per la prima volta alle prese con la variante Zero Alpha, non si poteva tirar fuori lo smartphone per consultare online le modifiche legate alla patch. Ripartiva così l’inarrestabile tradizione orale, grazie alla quale le scoperte dei giocatori più abili e pazienti (o magari di qualche fortunato che aveva incrociato gli sviluppatori per qualche sfida, rubando la sapienza direttamente alla fonte) si diffondevano a macchia d’olio tra i frequentatori dei Game Center.
Tuttavia, anche nei lontani anni ‘90 esistevano delle fonti dirette dove reperire ogni dettaglio di queste “patch”. Uscivano infatti riviste specifiche pensate per mettere a nudo ogni elemento dei singoli titoli, con tanto di confronti fotografici tra il gioco originale e la versione “aggiornata”. Queste piccole bibbie erano tesori preziosi per chi voleva imporsi sui rivali della sala giochi di quartiere, dal momento che offrivano spunti perfetti per elaborare nuove strategie, inventare nuove combo e, soprattutto, selezionare le versioni alternative (e segrete) di alcuni personaggi. Ecco, quindi, che l’uscita di una semplice patch poteva trasformarsi in un’esperienza elettrizzante, a maggior ragione per gli appassionati che vivevano in Europa o in America, che magari venivano a conoscenza di parte delle nuove informazioni solo anni dopo, quando gli imbattibili giocatori giapponesi li asfaltavano male nei rari tornei internazionali, a colpi di “tecniche segrete”.




