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Samurai Shodown: trent’anni di tradizione, rabbia e inglese maccheronico

Samurai Shodown: trent’anni di tradizione, rabbia e inglese maccheronico

Ormai è un classico. Quando si avvicina l’anniversario di una saga di picchiaduro, Andrea viene a bussare alla porta della mia cella frigorifera come faceva la povera bottiglia innamorata nella vecchia pubblicità del whiskey MacAllan. Mi piace essere contattato per queste cose. In un modo o nell’altro, mi ricorda l’amore profondo che ho sempre provato (e che provo ancora!) per i giochi di combattimento e mi permette di alimentare un fuoco che, dopo tanti anni, non accenna ad affievolirsi.

Questa volta l’anniversario riguarda una serie che ho sempre portato nel cuore nonostante i numerosi passi falsi fatti nel corso della sua lunga storia. Sto parlando di Samurai Shodown, che in un mercato di saghe troppo simili tra loro ha saputo distinguersi grazie a un’atmosfera unica e a un approccio intenso e passionale.

Il mio primo incontro con SamSho fu sempre a GiocaGiò, la saletta dove passavo più tempo in assoluto (e dove ho consumato il maggior numero di “primi gettoni” nell’ambito dei giochi di combattimento). Chi mi conosce sa quanto abbia sempre adorato i samurai. Essendo cresciuto con il mito di Sasuke, del leggendario Sanpei Shirato, ho sempre avuto un debole per i ninja e i samurai e quando scoprivo un videogioco ispirato a quei personaggi affascinanti lo provavo senza pensarci due volte.

Fu così che, dopo aver guardato la splendida presentazione in cui Haomaru affettava due lanterne e un grosso albero con la propria arma, feci scivolare il gettone nel cabinato per affrontare il mio primo duello all’ultimo sangue. All’epoca Mortal Kombat aveva già sdoganato i contenuti violenti nei giochi di combattimento, ma le sensazioni trasmesse dal titolo SNK erano molto diverse, più intense e raffinate.

L’idea originale di Samurai Spirits ruotava attorno a un picchiaduro a scorrimento con i mostri, di cui il malefico Genan Shiranui sarebbe dovuto essere uno degli antieroi protagonisti.

Bastarono pochi round per realizzare quanto in quel gioco fosse pericoloso abbassare la guardia. Rispetto a quanto accadeva in altri titoli del genere, gli attacchi potenti erano in grado di ridurre drasticamente la barra della salute, a maggior ragione quando la pelle del personaggio che sferrava il colpo assumeva la sfumatura rossa tipica di chi era pazzo di rabbia.

L’indicatore “Rage” (o POW, nelle versioni occidentali del gioco) era un elemento mai visto prima in altri picchiaduro. Si caricava gradualmente e, una volta pieno, aumentava per alcuni secondi i danni inflitti con ogni attacco. Anche se non amavo vedere i personaggi colorarsi di rosso durante il duello, adoravo la tensione che si creava quando uno dei due lottatori aveva la barra completamente carica.

La prima reazione di chi doveva gestire la furia virtuale dell’avversario era quasi sempre di genuino panico, che degenerava in fughe scomposte all’interno dell’arena, nel tentativo di non subire colpi fatali. Ovviamente, l’approccio dei giocatori esperti era più pacato e ragionato, ma in sala giochi capitava spesso di vedere i novellini restare di sasso dopo aver perso più di metà della salute con un unico fendente ben piazzato.

Adoravo il modo in cui i programmatori di Samurai Shodown erano riusciti a trasmettere i peso dei colpi più violenti. Il trucco era l’uso esagerato dell’hitstop, una tecnica che, sospendendo brevemente un’animazione al momento dell’impatto, permette di rendere tutto molto più “fisico” e potente. Giocando a Mortal Kombat, vi è mai capitato di pensare che gli attacchi fossero troppo leggeri, quasi come se tra i combattenti non ci fosse una vera interazione? Nei giochi di NetherRealm Studios l’hitstop è spesso assente o ridotto all’osso, rendendo le collisioni poco credibili e creando effetti blandi e poco soddisfacenti.

Durante lo sviluppo dei vari episodi di Samurai Shodown, il team ha avuto un rapporto (inconsapevole) di mutuo scambio di idee con artisti importanti legati al mondo dei manga e degli anime. Date un’occhiata al manga Ruroni Kenshin o al leggendario Ninja Scroll, dello studio Madhouse! Nobuhiro Watsuki, il papà di Kenshin, ha perfino contribuito alla creazione di alcuni fra gli ultimi personaggi della serie!

Gli attacchi potenti di Samurai Shodown erano caratterizzati da un hitstop prolungato, che congelava l’azione nel momento in cui l’arma avrebbe dovuto tagliare pelle, muscoli, tendini e ossa. Il risultato finale era incredibile e dava a ogni combattimento un ritmo drammatico immediatamente riconoscibile. Non a caso, nei picchiaduro moderni questa tecnica scenografica è stata ripresa e rielaborata in mille modi per accompagnare le tecniche più potenti.

Oltre a sfoggiare queste caratteristiche intriganti, Samurai Shodown emergeva dalla massa grazie alle ambientazioni raffinate, alla presenza di un arbitro che seguiva gli incontri assegnando i punti ai combattenti, ai bonus casuali lanciati dai personaggi sullo sfondo e, soprattutto, alla splendida colonna sonora che mescolava musiche tradizionali a pezzi più moderni.

Nel corso degli anni, la saga ha vissuto alti e bassi piuttosto significativi, passando dall’amore incondizionato per quel capolavoro di Samurai Shodown II (ancora oggi tra i miei picchiaduro preferiti, accompagnato sempre da un aroma di salsedine e “ciabatte sudate”. Ma questa storia ve la racconterò un’altra volta) all’imbarazzo nei confronti dei capitoli 3D, caratterizzati da una realizzazione tecnica deludente e da scelte di gameplay approssimative, o troppo elaborate per conquistare i giocatori.

Ispirandosi parzialmente al film Makai Tenshō, in particolar modo per il design di Jubei Yagyu, Samurai Gumi ha scritto una trama legata a personaggi realmente esistiti, creando un’atmosfera a metà tra il romanzo storico e il racconto folkloristico. Il risultato finale ha convinto e appassionato milioni di giocatori in tutto il mondo.

Parlare di tutti i titoli usciti sarebbe piuttosto complicato (e la scadenza per la consegna dell’articolo è imminente), quindi mi limiterò a dire una cosa: nel corso della sua lunga storia, Samurai Shodown non ha mai rinunciato a sperimentare, proponendo idee e soluzioni coraggiose per stuzzicare l’interesse dei fan.

Nel corso degli anni la serie ha proposto fatality, supermosse segrete, la possibilità di bloccare a mani nude l’arma dell’avversario (con il giusto tempismo!), la presenza di stili differenti per ogni personaggio (con tanto di modifiche agli sprite), attacchi devastanti che sacrificavano la barra Rage, parate in aria e clash tra due attacchi contemporanei, che costringevano i giocatori a premere selvaggiamente i pulsanti di attacco per disarmare l’avversario, e molto altro ancora.

Ogni episodio della serie ha portato con sé nuove idee e tecniche inedite da approfondire. Come accade ogni volta che ci si mette in gioco per innovare, ovviamente, il rischio di fallire era dietro l’angolo, motivo per cui i vari capitoli della saga sono stati accolti in modo altalenante dai fan.

L’edizione giapponese del gioco si chiama Samurai Spirits, ma in occidente il titolo è stato cambiato in Samurai Shodown (sbagliando lo spelling di Showdown) per sfruttare l’assonanza con il popolare film Shogun. Oltre al titolo, anche le traduzioni all’interno del gioco erano caratterizzate da errori grossolani.

La mossa più coraggiosa in assoluto, tuttavia, fu quella di trasformare la serie in un GdR tradizionale, un’operazione che richiese a SNK uno sforzo titanico, sia in termini economici che di sviluppo vero e proprio. La compagnia era specializzata nella creazione di giochi d’azione o di combattimento. Gettarsi a testa bassa in un genere tanto diverso solo per spingere lo sfortunato Neo Geo CD fu un vero azzardo, e alla fine l’azienda fu costretta ad annunciare anche le versioni Saturn e PlayStation, rinunciando all’esclusiva per la propria console con supporto ottico. Ben più sensata (ma anche meno interessante) fu la visual novel dedicata a Nakoruru, pubblicata su PC e SEGA Dreamcast nel periodo in cui SNK era stata acquisita da Aruze.

La compagnia di Osaka cercò anche di portare la sua popolare saga di cappa e spada nel solido mondo delle tre dimensioni, senza però raggiungere i livelli di eccellenza toccati nel 2D. Pur sfoggiando qualche idea interessante, come le arene su più livelli (poi riprese da Dead or Alive) o il passaggio fluido tra il 3D e le illustrazioni tradizionali, Samurai Shodown 64 non riuscì a convincere gli appassionati e, come molte altri progetti portati avanti in quel periodo da SNK, assestò un duro colpo alle finanze dell’azienda.

Dopo una lunga pausa legata alle vicissitudini della compagnia e ai numerosi cambi di proprietà, Samurai Shodown tornò a essere protagonista con l’annuncio e la pubblicazione di Samurai Shodown V, che avrebbe dovuto sancire a tutti gli effetti la resurrezione della serie. Lo sviluppo del gioco venne affidato a un’azienda che, fino a quel momento, non aveva avuto alcuna esperienza con i giochi di combattimento. Nonostante le rassicurazioni e gli sforzi di marketing da parte di SNK Playmore, il risultato non fu all’altezza delle aspettative.

Il gioco presentava nuove meccaniche e nuovi personaggi, ma aveva gravi problemi di bilanciamento, animazioni altalenanti, ed era stato brutalmente censurato, rinunciando così a parte del fascino della serie. Fortunatamente gli sviluppatori aggiustarono il tiro pochi mesi dopo con la pubblicazione di Samurai Shodown V Special, una versione riveduta e corretta dell’uscita precedente.

Nel corso degli anni, la serie di SamSho è andata incontro a diverse censure. A volte è stato cambiato il colore del sangue, in altri casi sono stati eliminati gli effetti di smembramento. La versione moderna, uscita nel 2019, torna all’approccio originale e accompagna gli scontri con una buona dose di violenza digitale.

Con un nuovo bilanciamento, nuove animazioni, nuove arene e il ritorno di alcuni personaggi storici, delle fatality e delle tecniche più brutali, il gioco fece felici gli appassionati di vecchia data, ma suscitò uno scalpore tale da costringere gli sviluppatori a optare per un’autocensura nella versione casalinga. Un intervento che, sfortunatamente, portò con sé diversi bug che costrinsero l’azienda a ritirare le cartucce vendute, per sostituirle con delle versioni patchate a dovere.

Samurai Shodown V Special è stato l’ultimo gioco pubblicato ufficialmente per NeoGeo AES, anche se, in realtà, era già stata completata un’altra revisione, giunta in fase di location-test e poi annullata in fretta e furia da una SNK Playmore ormai pronta per il lancio del sesto capitolo. La versione definitiva del titolo, chiamata Samurai Shodown V Perfect, è stata pubblicata solo nel 2020, all’interno della Samurai Shodown NeoGeo Collection. Da bravo fan della saga ho recuperato all’istante una versione MVS cinese, così da poterci giocare sul cabinato in soggiorno.

La fine dell’era NeoGeo non ha decretato la morte del picchiaduro di Haomaru e compagni. SNK ha infatti continuato a sviluppare giochi spostandosi su Atomiswave, dove ha pubblicato Samurai Shodown VI. La potenza del nuovo hardware era superiore a quella del vecchio NeoGeo, motivo per cui gli sviluppatori avevano optato per un approccio misto, con fondali in 3D e personaggi in 2D (sì, proprio come Marvel Vs Capcom 2). Dal punto di vista del gameplay, il gioco aveva perso il carattere unico della serie, uniformandosi agli altri giochi di combattimento in circolazione. Con grande disappunto dei fan storici (me compreso), i danni esagerati e l’approccio metodico che avevano sempre caratterizzato gli scontri all’arma bianca della saga erano spariti, lasciando spazio a incontri più banali e scontati.

Tra le mille conversioni pubblicate nel corso degli anni, quelle per Game Boy sono particolarmente degne di nota. Ovviamente la grafica è molto diversa da quella originale, ma l’essenza del gameplay è rimasta la stessa.

Dopo l’ennesimo passaggio di consegne di SNK Playmore e con il ritorno al nome classico, SNK si è impegnata per riportare in auge la serie di Samurai Shodown. Per farlo, ha sviluppato un gioco 2.5D, con grafica poligonale e gameplay classico in due dimensioni. Pur non essendo tecnicamente all’altezza dei picchiaduro delle case rivali, il reboot di SamSho del 2019 si distingue per un piacevole ritorno alle origini. Il gameplay deve molto a Samurai Shodown II, mentre la direzione artistica pesca a piene mani dallo stile pittorico usato da Capcom in Street Fighter IV, rivelatosi perfetto per Haomaru e compagni.

Ragionandoci con calma, è davvero un miracolo che un gioco simile sia uscito nel mercato attuale. Alcune delle sue caratteristiche peculiari sono così sbilanciate da non essere compatibili con l’approccio equilibrato e “sicuro” delle aziende ossessionate dagli eSport. Quando venne sviluppato il primo SamSho, il settore era in forte crescita e i videogiochi, da sala o per console, generavano profitti notevoli. Il processo di sviluppo era ancora piuttosto libero e questo permise a Yasushi Adachi, il creatore della serie, di ignorare le direttive dei dirigenti SNK, secondo cui avrebbe dovuto ridurre il danno di alcuni attacchi.

Facendo valere la propria visione creativa, Adachi ha creato una serie iconica che ha fatto la storia dei giochi di combattimento. La sua impostazione unica e peculiare ha spinto l’attuale SNK a fare un salto della fede e a pubblicare un reboot che ha mantenuto gran parte delle caratteristiche originali, con una fedeltà sconcertante a dinamiche e valori poco in linea con il mercato moderno.

L’accoglienza da parte del pubblico è stata entusiastica e ha premiato il coraggio dell’azienda di Osaka. Pur non potendo rivaleggiare con le serie progettate appositamente attorno alle esigenze degli eSport, il nuovo Samurai Shodown ha conquistato un posto di rilievo nei tornei internazionali più importanti, offrendo un’esperienza diversa da quelle proposte dalla massa.

Si tratta di una vittoria importante per una visione d’altri tempi, una sorta di sudata vittoria della katana contro gli archibugi occidentali. Nonostante le profonde differenze del mercato odierno, l’idea originale di Yasushi Adachi ha saputo farsi strada spinta dall’amore degli appassionati, portando avanti una tradizione che sembrava ormai perduta. Un gran bel traguardo, per un franchise che originariamente sarebbe dovuto essere un picchiaduro a scorrimento basato sui mostri!

Settembre 1971: Videogiochi all’università

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Giugno 2013: Settemmezzo

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