E adesso... pubblicità! - Volume 3: credersi adulti
Ci sono caduto anch’io nel falso mito del videogioco adulto. Ci hanno illusi perché staccavamo spine dorsali in Mortal Kombat e avevamo sedici anni. Lo stesso trucchetto lo hanno usato una generazione dopo, stavolta ventenni e abbindolati da musica da club, horror e sci -fi. Non lo capivamo ma il marketing ci stava semplicemente cullando, allevandoci come bestiame, assecondando i nostri istinti, abbagliandoci con quello che bramavano essere: adulti legittimati. Perché, diciamocelo, abbiamo un po’ sempre sofferto sentendoci inferiori. Quasi vergognosi, se non di fronte ai nostri pari, nel dichiarare che il nostro hobby fosse il videogioco; anzi impauriti nell’ammetterlo, perché sembrava in realtà una colpa, qualcosa di cui provare imbarazzo. Ricordo che spesso nascondevo il mio amore per i videogame dietro un “sono appassionato di tecnologia”. D’altronde non ci credevamo nemmeno noi che i giochi elettronici fossero un passatempo da adulti. Ne coglievamo il potenziale in certi aspetti, ma poi le vedevamo tutte quelle mascotte saltellanti o le meccaniche fatte di sola distruzione. In questo, i pubblicitari sono stati un po’ i nostri portabandiera: hanno messo l’hobby sotto il riflettore ammantandolo di un’aura da giocattolo per grandi, facendoci credere che il videogioco fosse cresciuto e noi con lui. Per suggellare il tutto, i copywriter continuavano a promuovere questo mondo di teste mozzate, armi più realistiche e trame costantemente all’insegna del viaggio dell’eroe buttandoci dentro il sesso. Che quello va sempre bene; che quello è sempre indice di roba per adulti.
E così anche questa volta, dopo il volume 1 e il volume 2, sono riuscito a trovare l’aggancio per riparlare di tette e culi. Ma con un taglio diverso. Oggi, signora mia, ci dedicheremo agli ammiccamenti, ai doppi sensi, scoprendo che non sempre le cose sono andate come avrebbero dovuto.
Se avete letto alcuni dei miei precedenti articoli su Outcast, avrete forse notato che non riesco a resistere all’idiozia di un doppio senso. Non sono evidentemente l’unico, considerata la mole di spot allusivi che hanno imperversato su pagine di riviste e tubi catodici. Cercando di unire i puntini di questa specifica produzione, è possibile ravvisare alcuni tratti comuni. A grandi linee, da un punto di vista tematico, le affinità arrivano a profilare quattro principali raggruppamenti: l’onanismo, gli attributi maschili, il sesso di coppia e l’onnipresente corpo femminile.
Non so se sia più inquietante l’istigazione al tradimento su basi estetiche o l’espressione della modella sulla destra.
1) Il fai da te (l’onanismo)
Fino all’arrivo dello split-screen multiplo e dell’online, il videogioco è stato prevalentemente un passatempo solitario. Come le pippe. Non stupisce dunque che qualche pubblicitario particolarmente in vena abbia collegato le due attività. Forse non una decisione così lungimirante, visto che, scolpiti da secoli di religione cattolica e machismo collegato, frustarsi il cobra non è mai stata considerata un’attività di cui farsi vanto. Nondimeno l’onanismo ha, a conti fatti, più di un punto in comune con il gaming: come già accennato, è un atto fondamentalmente solitario, fa perdere diottrie (stando al parroco del mio paese), dona soddisfazione e si pratica stringendo oggetti duri e di forma tubolare (l’imperversare dei joypad, contrapposti ai fallici joystick, potrebbe aver messo in crisi quest’ultimo termine del paragone). Con questo bagaglio di similitudini, in Sega (nomen omen) devono aver pensato che Panzer Dragoon Zwei potesse beneficiare dell’accostamento. Nell’immagine qui sotto, la modella, con tuta aperta sul decolté, che non sia mai che ci facciamo mancare qualcosa, è visivamente scornata per essere stata messa da parte in favore del seguito del gioco di Team Andromeda. Per suggellare il tutto, la descrizione chiude con “un gioco con le palle”.
Il bianco e nero conferisce quel tocco di autorialità che manca a tutto il resto. Come manca un nesso logico tra copy, immagine e prodotto.
Il filone del videogioco che irretisce così tanto da farlo preferire a ciò-che-tira-più-di-un-carro-di-buoi è abbastanza trito. Nel precedente articolo ci eravamo imbattuti, tra le altre, nella campagna di Battlecruiser 3000 AD, che batteva sui medesimi tempi. L’agenzia utilizzata da Sega non seppe evidentemente pensare a qualcosa di meglio. Guizzo di creatività di cui non hanno invece difettato le pagine su carta stampata dedicate all’uscita su PC di Earthworm Jim che, al netto delle perplessità dell’accostamento fallo-verme (non l’essere nerboruto per eccellenza), risulta essere uno spot ben riuscito. Mi scuserete se un tale umorismo pecoreccio mi strappa un sorriso. D’altra parte, come recitato dall’inserzione, “It can get distracting”.
Per una volta non si tratta di mero pretesto: lo sposalizio tra il folle immaginario del gioco e la benevola stupidità della pubblicità collimano.
Non sempre i piani vanno come si spera, lo si scriveva anche in apertura. Ne è testimone l’ufficio regionale di Sony responsabile per il Belgio e il Lussemburgo. Nel 2014 creò una clip per promuovere la funzionalità di riproduzione remota di PsVita ma ebbe vita breve. Il video su YouTube fu rimosso dai responsabili di Sony Europe in quanto ritenuto inappropriato. Il monologo pronunciato da una provocante dottoressa era sfacciatamente ammiccante e spingeva, evidentemente, un po’ troppo oltre nel suggerire un accostamento con l’atto masturbatorio. “So che lo avete già fatto oggi”, “Avete il timore di farlo troppo spesso? Sotto le coperte o in bagno…” queste alcune delle frasi pronunciate dritte in camera con sguardo voglioso, suggellate da un “lo fanno tutti”. Il formato non è dissimile a quello utilizzato per Call of Duty: Modern Warfare 2 che vedremo più avanti. Nel caso PS Vita è il contesto da film porno, con tanto di dottoressa sexy, ad aver fatto considerare ai capoccia di Sony Europe che si fosse varcato un limite (l’apice è probabilmente la frase “e lo potete fare anche con me”). È un esempio interessante (e non l’unico su queste pagine) nel quale si ravvisa come il diverso trattamento, nella scelta di chi è il portatore del messaggio e del contesto, possa portare a effetti sensibilmente diversi pur maneggiando materiale molto simile.
2) Grossi calibri (gli attributi maschili)
Dalla masturbazione agli attributi maschili, anche da un punto di vista meramente anatomico, il passo è breve. In quanto culturalmente spesso associati alla potenza, il loro connubio con una tecnologia che punta a superarsi costantemente per stupire l’utenza pareva, ai tempi, un matrimonio celebrato in paradiso. Non c’è dunque da stupirsi nel trovarsi un Rayman che davanti a un orinatoio ammutolisce tutti per le sue “huge features” o Simon the Sorcerer 3D che gioca la carta della magia, della bacchetta e dell’ambiguità del termine “wand”. College humor, indubbiamente, che era però quasi fisiologico: i giochi erano creati da team di poco più di ventenni, c’è da immaginarsi che i reparti marketing incaricati delle loro campagne non fossero da meno. Si sfornavano meme prima dei meme, con pubblicità che tendevano a prendere in giro, a pretendere attenzione, a titillare più l’ego del creativo che a trovare una reale connessione col prodotto. Si viveva in una sorta di far west, in un mercato non più così piccolo da non far rumore ma neppure così ingessato da essere diventato corporate. Al contempo il videogame, che si rivoluzionava nella forma (il 3D) e nell’utenza, viveva una crisi d’identità. Le vecchie strategie comunicative fatte di famiglie intorno al focolare catodico (prima) e di ragazzini esaltati (dopo) non definivano più il medium e non ne contenevano le ambizioni. PlayStation stava per prendere il largo e i vecchi leader si agitavano tra crisi di identità (Nintendo) e aspettative infrante (Sega). Dove c’è caos, la volgarità crassa e le batture da osteria prosperano. Così il joystick, simbolo fallico d’elezione (con la “L”), già latore a partire dalla sua denominazione di doppi sensi da darsi di gomito, diventa facile vettore di allusioni. Il “bastone che dà gioia”, dunque, viene celebrato anche da un’insospettabile Nintendo (che negli anni ’90 si trovò costretta a inseguire Sega e Sony sul campo della provocazione) con la prima console della storia ad avere di default un pad con leva analogica integrata, il Nintendo 64.
Devo essere sincero, non sono sicurissimo che questo non sia un falso. Quella scritta “Me standard analogikò joystick” oltre a farmi scompisciare mi mette un attimo in allerta.
In un momento storico del genere c’è quasi da scusare chi, insignito del compito di promuovere titoli basati sulla pesca sportiva, si sia lasciato tentare dalle suggestioni sessuali che pesci, canne da pesca e dimensioni potevano evocare. Per non parlare dei produttori di periferiche o ancora del Nokia NGage, così dirompente che mostrato nella nudità di uno spogliatoio creava scompensi negli avversari. Un bell’armamentario di membri e virilità suggerita, insomma, sulla cui messa in scena c’è poco da disquisire, se non sul coraggio di aver effettivamente messo in opera tale immaginario.








3) Uno sport di contatto (Il sesso)
Il sesso è anche e soprattutto uno sport a due, come dimenticarlo. Se è vero che giocare sul target group maschile offriva spazi di comicità legati a un’autoreferenzialità dell’utenza e a un certo senso di cameratismo da spogliatoio, le occasioni offerte dal rapporto di coppia non erano da trascurare. Specie se si poteva introdurre una relazione saffica (sulla quale il gioco stesso spingeva pesantemente) come in Fear Effect 2 Retro Helix. E così, le due protagoniste mettono “ass” nella parola “assassina” e la storia promette 13 climax diversi. Fa quasi tenerezza leggere le didascalie che invece cercano di darsi un contegno, sottolineando elementi più puramente tecnici. Fear Effect 2 è scomparso senza lasciare traccia, le sue pagine pubblicitarie son tutto ciò che ci resta.
Il selling point della serie erano le sue protagoniste e i fondali realizzati in full motion video, opposti alle immagini statiche di Resident Evil ed epigoni. Il primo Fear Effect rivedrà la luce venendo ripubblicato proprio quest’anno.
Il tema della coppia ha anche ispirato pubblicità meno sfacciatamente titillatorie, che sfruttavano il doppio senso con un pizzico di intelligenza in più, quale la divertente campagna stampa di Micro Machines V3. Codemasters si trovava nella difficile situazione di avere per le mani un brand forte ma legato a doppio filo con la preadolescenza: Micro Machines come i modellini d’auto de facto per l’infanzia e Micro Machines come caposaldo del multiplayer proveniente da una generazione precedente. Generazione che, con l’arrivo del poligono, sembrava ad un’era geologica di distanza. L’allusione al farlo sul tavolo da cucina o in giardino giocava con guasconeria sull’equivoco, marcando la differenza di attitudine con gli episodi a 16 bit e cercando di destare l’interesse del pubblico post-Wipeout.
Un titolo come MMV3, ancora in bilico sul passato ma a un crocevia generazionale, era forzato ad osare qualcosa di diverso per legittimarsi con il profilo più cool del fruitore PlayStation.
La tecnica fu poi ripresa in tempi ben più recenti, ma con mire diverse, da Call of Duty: Modern Warfare 2. “Everyone is doing it” era celebratorio di un brand che era diventato pervasivo. Era un invito a non restare fuori, a essere parte di un fenomeno culturale. Se in 12 milioni lo fanno e tu no, se non partecipi, sei fuori dal trend. La rivelazione arriva alla fine della lunga lista di soggetti che lo fanno nelle maniere più disparate. Lo spot colpisce nel segno. Spiazza quindi la successiva caduta di stile col video virale Fight Against Grenade Spam, il cui acronimo è latore di evidenti connotazioni omofobe.
Crash Bandicoot non è il primo personaggio che assocerei al sesso, men che meno ad una reverse gangbang. Eppure, forse inseguendo il consumatore che il peramele lo vide nascere e che all’epoca del Gamecube si supponeva cresciuto, Universal Interactive pensò bene che uno slogan come “se le fa tutte” fosse coerente. Su console Nintendo. Per un gioco PEGI E (per tutti). Pubblicizzando anche una versione per GBA... Di primo acchito potrebbe sembrare che a Universal sia slittata la frizione. La dissonanza tra il marchio e il suo mercato obiettivo pare palese. In realtà, per quanto non lo riesca a considerare un buon esempio promozionale (non foss’altro perché graficamente pigro e artisticamente osceno), c’è un senso dietro a questa apparente scelta scellerata. È vero che il messaggio deve essere in target col prodotto, ma lo deve essere anche con il mezzo che lo veicola e in questo caso lo era. Trattandosi di riviste di settore con un pubblico adolescenziale, puntare allo shock, allo scarto brutale tra il personaggio e l’atto del sesso di gruppo poteva gettare nuova luce su un titolo che il teenager di turno avrebbe potuto bellamente ignorare. Una mossa disperata, pur non priva di raziocinio.
Al giorno d’oggi diremmo che l’ha disegnato un’I.A.
Decisamente di più facile associazione con il relativo marchio sono i rimanenti esempi riportati nella carrellata che segue. Da Everquest che apriva nuovi mondi (interpretazione libera), ai doppi sensi tra il sesso a tre e le possibilità offerte dalla connettività on the move di altrettanti NGage, a Diablo III che non si accontentava di un threesome ma aggiunge un quarto giocatore nella gag cliché dei rumori ambigui provenienti dalla stanza di sopra (ripresa anche da Decathlon), passando per la protagonista di Gauntlet che portarsela a casa pareva fosse uno spasso, fino ad arrivare al finto equivoco sul chiodo fisso degli uomini: il calcio, ovviamente. Ribaltamento di ruoli invece per Haven: Call of the King, un gioco che aveva qualcosa per ognuno e che grazie all’ecletticità del suo gameplay prometteva di soddisfare tutti. Con buona pace dei finti orgasmi femminili e di ego maschili spezzati.





L’eleganza non è stata la cifra distintiva di questo articolo. Nonostante ciò, anche in un campionato così agguerrito, ci sono partecipanti che riescono a vincere per distacco. La doppia pagina pubblicitaria per Test Drive 5, così come accaduto per Micro Machines V3, accennava al sesso senza esibirlo. Peccato che al contrario di quella studiata per il titolo Codemasters, quella per il racer di Accolade fosse sguaiata e decisamente volgare. Qui non ci si scandalizza di nulla, sia ben chiaro, è piuttosto la mancanza di stile di una scelta che appare decisamente indolente e becera ad irritare. È quell’approccio a metà tra Il Bagaglino e Colorado Cafè che, forse sarò puzzonasista io, manca di qualche chilometro il bersaglio minimo di far quantomeno sorridere.
Come nelle vignette della Settimana Enigmistica: “senza parole”.
È nuovamente la campagna per Micro Machines, questa volta per il quarto episodio del 2006 (V4 nella sua versione USA), a mostrare un angolo un po’ diverso, suggerendo piuttosto che sventolando grossolanamente. “Everywhere is a racetrack”, si riappropriava dell’idea di correre in ogni luogo così come nella campagna del 1997. Sarebbe bello vederci un rimando alla pubblicità precedente, tuttavia c’è da dubitarne, considerati i nove anni che separano i due titoli. È interessante invece notare come il taglio e il gruppo destinatario della comunicazione rimanessero identici, con la medesima intenzione di vendere il racer (anche) ai grandi facendo leva certamente sul sesso ma anche sull’iconografia delle Micro Machines. Esse erano una pietra miliare degli anni ’80 e dunque parte integrante della cultura del pubblico di riferimento, che nel frattempo era cresciuto e quindi non vedeva più in quelle macchinine qualcosa da cui allontanarsi ma un passato nostalgico di cui riappropriarsi. Con tale mossa, in sintesi, si univa il giocattolo degli ex bambini al gioco dei grandi, in un cortocircuito perfetto.
Accendete i fari, non si sa mai dove potreste finire.
4) Body shock (il corpo femminile)
Nel rinnovato allargamento degli orizzonti ad altri aspetti della sfera sessuale, il buon vecchio porto sicuro del corpo femminile non era stato accantonato. Un rapido excursus delle immagini riportate più avanti mette subito in chiaro un aspetto: il mondo maschile si divide tra chi preferisce una parte anatomica rispetto ad un’altra. Lo stesso Focus si è interrogato sull’argomento. Chi erano, dunque, i pubblicitari per non chiederci di schierarci tra i butt guys o i boob guys? (per la cronaca, statisticamente gli italiani indicano una preferenza per il sedere).
Scelsero così le terga per Neo Geo Pocket, il misconosciuto Kinetica e Shark Attack. Quest’ultimo è un caso raro, in quanto si tratta di una delle poche (o meglio, l’unica) pubblicità B2B di questa selezione. Dedicato non all’utente finale bensì ai gestori di sale giochi, il calembour verte sulla conclusione (“the bottom line”) a cui portano i vari vantaggi nell’installare un cabinato Shark Attack nel proprio esercizio commerciale. Con questi presupposti, come farsi mancare un bel culo (che per infognarsi ancora di più nei giochi di parole sfoggia una scritta “mordi la mia esca”), dopo peraltro aver già messo ben in mostra la sorridente modella in bikini?
Kinetica, di cui scopro l’esistenza solo ora, era invece un candidato naturale sin dal principio. Un titolo dove probabilmente la campagna marketing ha guidato l’ambientazione stessa del gioco, che quasi non riesci a colpevolizzarla per aver intrapreso la strada della glorificazione delle natiche. Le partecipanti a questo racing futuristico, quando non sono alieni, sono infatti quasi tutte donne intente a mostrare il filo interdentale oggetto dello slogan. Per non impensierire il pubblico, che si supponeva prevalentemente etero orientato, uno dei due uomini controllabili addirittura non viaggiava nemmeno in quella peculiare posizione stile pecorina semisdraiata alla quale venivano sottoposte le altre concorrenti (pensate di correre con una AB Wheel imbullonata alle mani e sarete vicini a comprendere meglio la posa). Da lì a G-string/G-force il passo è stato breve. Meglio forse ricordare Kinetica per essere stato il primo ad utilizzare l’omonimo engine, che avrebbe mosso negli anni titoli ben più celebri tra i quali God of War, Jak and Daxter e Ratchet and Clank.
Meno immediato è il legame, usato da SNK, tra la modella a 90 gradi e il cofano di un’auto, se non nell’ottica dell’antico connubio donne e motori. Però se la battuta doveva essere “metti un po’ di colore sulle tue guance” una ragazza che si truccava utilizzando lo specchietto retrovisore sarebbe stata più coerente (piegata naturalmente che non vogliamo mica urtare la sensibilità dei maschilisti). Poi che in un mondo contemporaneo, in cui le batterie delle console portatili hanno una durata di 3 o 4 ore, io di tutta la pubblicità venga rapito dalla scritta “40 hours of continuos playtime” la dice forse lunga sull’intorpidimento generato dall’esposizione prolungata alle foto che ho dovuto scovare per questa serie di articoli. Cosa non si fa per la ricerca…




Si schierarono invece in favore della ghiandola mammaria Everquest, Virtual Pool 2 e NARC. Quest’ultimo (altro titolo di cui vengo a conoscenza in quest’occasione) è graziato da una pubblicità che potrebbe in realtà fungere da ponte tra la categoria del sesso e quella del corpo femminile, dato l’implicito riferimento a una fellatio. Di base tutti e tre non inventano nulla di nuovo, neppure da un mero punto di vista di messa in scena, con forse la sola eccezione di Everquest che, per espressa volontà di un grafico particolarmente ispirato o per mancanza di capacità dello stesso, propone un’elfa che pare più incazzata che sexy, finendo per fare comicamente a pugni con il tema natalizio.



Per la paginata usata per promuovere in Francia PlayStation Vita, l’agenzia parigina TBWA, puntò anch’essa sulle tette. Sia lo schermo sia il retro della console erano sensibili al tocco e utilizzabili come metodo di input (un’ideona peraltro quasi mai sfruttata dagli sviluppatori che fece inutilmente lievitare il costo produttivo della console). Toccare piace, toccare è bello, toccare al maschio diverte. Se il “du gust is megl che uan”, che ha lanciato la carriera di Stefano Accorsi, funzionava, perché non raddoppiare anche le tette? Et voilà un’immagine che le sbaglia tutte: nella sua estraneità all’anatomia umana, non è eccitante; nel suo raffigurare solo il busto femminile escludendone il viso, oggettifica il corpo più di quanto il claim già non faccia di suo, mettendo la donna sullo stesso piano di uno strumento di gioco; infine, si concentra su una caratteristica certamente unica ed esclusiva, ma in sintesi di poco conto. Una pubblicità dannosa per promuovere una caratteristica inutile, cosa si può voler di più da una campagna pubblicitaria disastrosa?
Di sicuro colpisce l’attenzione, che non sia divertente, intelligente o sexy è altrettanto certo.
Il vero capolavoro me lo gioco in chiusura, perché è una roba che è così oltre al trash da fare il giro e suscitare meraviglia.
Per la promozione del suo impressionante Neo Geo, la prima console che dava un senso all’espressione “arcade perfect”, il reparto marketing di SNK optò per andare all-in. Non so nemmeno se commentarla, perché le parole non sono abbastanza. Il genio è dappertutto. È nel copy che ha passaggi epocali e scelte di termini perfette come “I scream but he doesn’t hear above 15 channels of pulsating stereo sound” oppure “other systems don’t even come close… and lately neither does he”. È nella bellissima modella in lingerie che per una volta non serve nemmeno più di tanto a solleticare gli istinti ma per lo più a sorreggere la narrazione e a rendere ancora più epico il vero fulcro dell’immagine: il nerd sulla destra in posizione leggermente arcuata, con mano sul controller a mio’ di raspa e con il pube che combacia esattamente dove inizia (su schermo) un mostro protuberante che dona nuovo significato al termine fallocefalo. Dio mio, pure la tipologia di sparo selezionata è quella “bazooka”! C’è la provocazione, c’è la gnocca, ci sono i doppi sensi, il richiamo al sesso e alla masturbazione. In più, sul lato prodotto c’è la potenza della macchina, c’è il focus, una volta tanto, sull’esperienza grafica reale del videogioco, c’è un protagonista che inquadra perfettamente il mercato obiettivo di un articolo così costoso, cioè l’adulto economicamente arrivato (e i cinefili non avranno mancato di notare somiglianze con il Christian Bale di American Psycho). C’è semplicemente tutto. Lo spot SNK riesce in un colpo solo ad unire tutte le 4 categorie trattate finora, rendendo vano qualsiasi approccio critico che non sia lo scrosciante applauso con cui si omaggia l’eccellenza, quello che si dedica a chi sa andare oltre la figura di merda, compiendo un vero capolavoro. Uno spot per domarli, uno spot per accomunarli e con un’immagine annichilirli.
Nel caso ve lo steste chiedendo, quello a schermo è il run and gun Cyber Lip.
Ci si vede per il volume 4.