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Xbox Live era meglio dell’eroina

Xbox Live era meglio dell’eroina

Quando Microsoft lanciò Xbox Live a novembre del 2002, non è che il multiplayer online non esistesse già da un pezzo. S’era visto su altre console, in certi casi con risultati assolutamente decorosi, ed era ovviamente una realtà bella solida in ambito PC. Epperò, quello che fece Microsoft fu standardizzarlo e renderlo semplice, alla portata di tutti, in un contesto, appunto quello console, dove era importante che le cose funzionassero a quella maniera. Era un terreno su cui negli anni aveva provato già a spingere Sega in più di un’occasione, quella più “convinta” con l’adattatore di rete del Dreamcast, ed è infatti uno dei tanti motivi per cui Xbox venne vista da chi amava la casa del porcospino come una sorta di erede spirituale della console bianca con la spiralina colorata.

Io non ricordo di preciso quando acquistai Xbox ma ricordo nettamente che questa cosa di Xbox Live mi attirava un sacco. Intendiamoci, faccio parte di quel gruppo di persone che già giocava abbondantemente online su PC, e quindi capivo in un certo senso chi liquidava Live come una cosa da poco, ma non lo condividevo. Il bello di Live, l’ho scritto sopra, era la standardizzazione, che non dubito avesse anche i suoi lati negativi, ma significava mettere i possessori della console tutti sullo stesso piano. Chiunque accedesse a Live aveva lo stesso controller (più o meno), lo stesso setup hardware e soprattutto lo stesso headset, con quelle cuffiette + microfono che ancora ho qui sventrate in uno scatolone dell’Ikea sotto alla scrivania. Per non parlare, poi, dell’introduzione di una lista amici integrata con l’interfaccia e i vari giochi. La disponibilità e pervasività dell’online su console cominciò davvero lì, nonostante le sperimentazioni precedenti menzionate sopra e alla faccia di Sony che si ritrovò ad inseguire con l’adattatore di rete per PlayStation 2. Se quanto fatto in precedenza da Sega e pochi altri era l’equivalente di Wolfenstein 3D, Xbox Live fu Doom. Segnò un prima e un dopo. E segnò per me qualche anno di dipendenza.

Fra i, ripeto, tanti motivi per cui Xbox venne vista come erede del Dreamcast, c’era anche la presenza dei giochi sportivi di Sega, che poi sarebbero diventati di Take 2, in un momento in cui, per gli appassionati di sport digitale a tutto tondo, quella linea proponeva quasi sempre il top. E sì, il calcio migliore stava su PlayStation (non a caso avrei poi comprato l’adattatore di rete PS2 per giocare a PES online), ma sulle altre discipline sportive Xbox aveva poco da temere, non solo grazie ai titoli 2K ma, per esempio, pure per mezzo di robe meravigliose come furono Amped 2 e Top Spin. Io, in quel periodo, ero sotto di brutto con lo sport in pixel, negli anni della prima PlayStation m’era definitivamente esploso l’embolo atletico-digitale che comunque era sempre stato parte di me e giocavo veramente a qualsiasi cosa. E infatti, in quel periodo, la mia Xbox venne semi-monopolizzata dallo sport. Un po’ contribuì il fatto che per lavoro ero sempre appiccicato a PS2, quindi tendevo a smaltire il desiderio di giochi “non sportivi” in quella direzione, ma sì, accendevo Xbox quasi solo per quello. Quasi, eh, perché poi a Halo e a Buffy ci ho giocato, per dire, ma insomma.

Ricordo con grande affetto anche il tempo trascorso sul multiplayer asimmetrico di Splinter Cell: Pandora Tomorrow, comprato solo ed esclusivamente perché mi gasava quell’idea di multiplayer, senza alcuna intenzione di giocarci in singolo. Che bomba.

Me lo ricordo chiaramente: ogni volta che usciva un gioco sportivo a cui tenevo, me lo procuravo e per il mese successivo non facevo praticamente altro che giocarci online. Non è vero, portavo magari anche avanti un campionatino offline, ma la base era quella, l’online. Ed era uno spacco. Adesso non vorrei fare il vecchietto che ricorda i bei tempi in cui si stava meglio quando si stava peggio, ma in un certo senso, l’Xbox Live di quegli anni corrispondeva un po’ a quell’immagine nostalgica che molti hanno di Usenet (OK, sto facendo il vecchietto). Sì, era per molti versi un sistema primitivo e primordiale, ma proprio a causa di questa sua barriera all’ingresso, c’era un certo livello di selezione, nel bene e nel male. Quel che sto dicendo è che, in quei primi anni di gioco online con gente a caso su console, mi capitarono pochissime brutte esperienze, e anzi, gran parte del piacere stava proprio nella bellezza dell’avere quelle cuffiette. Specie, poi, giocando ai titoli sportivi che ti piazzavano lì per un bel po’ di tempo a causa della durata delle partite. Ricordo veramente con grandissimo affetto un sacco di lunghe chiacchierate con gente a caso mentre correvo per i campi virtuali di NFL 2K. E si creavano piccole connessioni, gente che ti piazzava davanti il matchmaking e con cui poi ti ritrovavi a giocare spesso, tipo quel bambino siciliano che mi chiedeva consigli, o quel tizio gallese dall’accento criptico. Tra l’altro, a ripensarci, quanto è surreale l’idea di un italiano e un gallese che giocano a football americano?

E poi ci fu anche quel momento in cui Microsoft provò a lanciare la sua linea XSN Sports. I giochi erano di qualità altalenante, anche se ho già menzionato quelle bombe di Amped 2 e Top Spin e mi viene in mente pure l’ottimo Rallisport Challenge 2, ma il punto di XSN era il servizio trasversale, che permetteva l’organizzazione di tornei e campionati tramite l’interfaccia web integrata coi giochi. I tabelloni online, gli inviti per i match, gli insulti e le imprecazioni quando qualcuno non si presentava e la vittoria veniva assegnata col tiro di moneta… Ah, che bellezza.

Oggi, gran parte delle innovazioni di Xbox Live è diventata standard offerto da tutti e là dove non arriva la proposta di base ci pensano soluzioni alternative ben più pratiche e accessibili di quanto non lo fossero nel 2002. Ma all’epoca, venne davvero segnato un prima e un dopo. E quando poi Microsoft lanciò Xbox 360, ovviamente Xbox Live era già lì bello pronto con la quinta già ingranata e io continuai a starci appiccicato come un pazzo per svariati anni, entrando nel gorgo dei tornei organizzati con comunità varie su internet. Senza contare, poi, che col passaggio a Xbox 360 Microsoft lanciò definitivamente quell’idea con cui aveva già sperimentato sulla prima Xbox dei piccoli giochi scaricabili, dando vita a Xbox Live Arcade e piazzando un contributo enorme sull’esplosione della scena indie. Ma di questo credo che ne scriverà Stanlio altrove.

Un’altra novità di Xbox 360 fu la possibilità di conservare il tuo account come “attivo” anche se non continuavi a pagare l’abbonamento. Il problema è che io, prima che venisse introdotta questa cosa, avevo smesso di pagare l’abbonamento per troppo tempo e il mio Gamertag era finito bloccato e non recuperabile. E infatti è per quello che su Xbox non sono giopep ma VIT_giopep, come potete ammirare in questa immagine dalla conferenza Xbox dell’E3 2011. Gli venisse un accidente.

Comunque, il mio stare appiccicato a Live perdurò ma pian piano iniziò a scemare, affogato negli impegni, nella perdita graduale d’interesse, nell’incapacità di dedicarmi in maniera totalizzante ai giochi sportivi come prima. Ma quella lunga parentesi a base di gioco online rimane un momento fondamentale nella mia storia di videogiocatore.

(Si capisce molto che questo articolo l’avevo concepito per la Cover Story sul multiplayer ma non ho fatto in tempo a scriverlo e quindi l’ho riarrangiato in maniera un po’ goffa per quella su Xbox 360?)

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai vent’anni di Xbox 360, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

Autoanalisi Videoludica™, caso zero: Space Harrier

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