Rock Band è un multiplayer mediocre
Scuserete il titolo sensazionalistico dell’articolo, ma “anatomia di un prodotto multigiocatore aspirazionale” vi avrebbe fatto voltare, virtualmente, pagina. Che poi dai, ammettiamolo, se ci si ferma alle sole meccaniche di gioco, Rock Band è effettivamente un titolo multiplayer mediocre. Si tratta in estrema sintesi di premere a tempo tasti seguendo uno spartito virtuale a video. Ognuno è responsabile del proprio strumento (chitarra, basso, batteria voce e nelle ultime iterazioni, tastiera) e la sola cooperazione possibile è costituita dal salvare un compagno poco performante attraverso l’overdrive (una barra che si riempie mano a mano che si suonano le note giuste), stesso overdrive che, se invece attivato da tuti i componenti all’unisono, permette di avviare un moltiplicatore di punteggio. Per il resto è pratica solitaria, quasi onanistica.
Ma Rock Band… beh Rock Band è molto altro ed è forse meglio fare prima un piccolo passo indietro per dare giusto due nozioni sul gioco.
A onor del vero, nei primi Rock Band c’erano timide modalità versus: uno scontro per il miglior punteggio (e dunque privo di una vera connessione tra i concorrenti) o uno scambio sullo stesso pezzo alla Mississippi Adventure (il film, quello con la battaglia a colpi di chitarra con il diavolo).
Nato da Harmonix, creatori insieme a RedOctane di Guitar Hero, gioco che a sua volta aveva fatto evolvere e ripulito la struttura di Guitar Freaks, la serie bemani di Konami, Rock Band è al contempo naturale evoluzione e follia visionaria. Se in Guitar Hero si chiedeva all’utente di acquistare una chitarra di platica e far finta di suonare seguendo un pattern di icone a schermo, l’idea che qualcuno fosse così folle da mettersi in casa batterie, aste per microfoni e plasticame vario pareva suicidio commerciale. Invece, supportato dai costi ridotti permessi dalla fabbrica del mondo cinese e dalle ampie metrature delle case americane, il gioco fu un successo. Al punto che anche Activision, titolare del marchio Guitar Hero (nel frattempo affidato allo sviluppatore Neversoft), si convinse a seguirne la strada l’anno successivo, nel 2008. Una rivalità che diede vita a uno dei periodi di genere più inflazionati della storia, con espansioni, evoluzioni e nuovi episodi in costante uscita che portarono i giochi ritmici a collassare su loro stessi in poco più di un lustro.
Questo l’inquadramento storico. Il simulatore di Harmonix è stato però per molti, me compreso, un portale verso un sogno. E uso il termine “simulatore” senza troppo imbarazzo. Perché, se simulare è approssimarsi per quanto possibile alla realtà restituendo in virtuale le sensazioni precipue della relativa azione nel mondo reale, Rock Band ne è un esempio. Anzi, forse è L’esempio, con l’articolo determinativo. Al di là delle evoluzioni avute con il “pro mode” di Rock Band 3, dove effettivamente gli strumenti potevano essere suonati con una buona approssimazione di realismo, quello che la serie si propone è restituire la sensazione di essere una rock star, e dio se ci riesce bene. Attenzione: per farlo richiede un’ambientazione consona, la medesima, manco a dirlo, richiesta per provare con una vera band, ovvero un locale dove sparare il volume al massimo. In un tale contesto dimenticherete di essere in un seminterrato a fissare un 55 pollici, sarete su un palco.
Ricordo ancora il mio primo “vero” incontro con questo approccio liberatorio: la tavernetta dei miei genitori, in attesa dell’arrivo di quelli che sarebbero stati i miei compagni di ventura nei successivi dieci anni circa di strumentazione di plastica. Cantante per ambizione, per qualche motivo avevo deciso che il varo sarebbe dovuto avvenire in solitaria, alla batteria. Running Wild, degli AC/DC wannabe Airborne, il brano prescelto, forse perché sapevo che non avrei mai potuto cantarlo decentemente, più probabilmente perché era uno dei primi in ordine alfabetico. Nel flusso di un 4/4 cadenzato, semplice e trascinante al limite del devastante, mi sentivo lì, a pestare duro, esaltato dalla folla. In quell’istante, solcato da un sorriso ebete, capii che l’investimento negli strumenti plasticosi sarebbe stato ampiamente ripagato. Lì capii che il viaggio fatto in giornata sotto la neve e senza penumatici adatti verso i Magazzini Merula, per comprare un’asta per il microfono, era stato una bellissima follia. Nascevano i Perle ai Porci, la cui formazione sarebbe variata leggermente nel tempo, ma le cui donne e uomini del nucleo centrale sarebbe rimasti, entusiasti come la prima volta. Mai veramente interessati al punteggio bensì alla performance, alla fantasia di essere una band. Perché, è bene ribadirlo ancora una volta, è possibile dedicarsi a ripulire le proprie capacità, concentrarsi sul non mancare nemmeno una nota in modalità esperto, ma l’energia vera arriva dal posare come una rockstar, dall’abbassare di quel poco che basta l’asticella della difficoltà per potersi inginocchiare durante un assolo, per improvvisare un vocalizzo che esca dal seminato, per roteare nel peggiore dei momenti le bacchette. Non è un caso che nelle battaglie delle band nate in vari locali e pub in giro per il mondo all’uscita del gioco, le valutazioni venissero attribuite solo in parte basandosi sul punteggio ottenuto a schermo, ma andassero anche a comprendere l’attitudine, il modo di stare sul palco, il coinvolgimento che si era capaci di generare negli astanti.
Un parterre non è comunque necessario, la magia del titolo Harmonix è ringraziare un’audience inesistente alla fine di un’esibizione riuscita, è far partire l’overdrive sollecitando con un “tutti insieme!” un coro di spettatori virtuali, è inveire con “siete un pubblico di merda!” quando il codice rumoreggia dopo che il batterista ha scazzato più del dovuto.
C’è un motivo per cui è stabile tra i miei videogiochi preferiti di sempre: ha su di me un effetto terapeutico. Una sessione particolarmente trascinante reca con sé una dose di adrenalina e autostima indicibile. Il vero multiplayer di Rock Band è quello che sta fuori dallo schermo. Quello fatto di coreografie improvvisate, di appalusi reciproci a fine brano, di insulti goliardici a chi nella foga si trascina via l’hub USB di collegamento. È l’alchimia del gruppo che trasforma l’esperienza e rende inutile discutere su quanto poco evoluta sia di per sè la struttura, perché il gioco vive egualmente dentro e fuori dal video. Risiede maggiormente in quei controller di plastica che in qualsiasi immagine ad alta risoluzione mandata a schermo. Immagini di sfondo che anzi vengono il più delle volte ignorate, perché il vero live è al tuo fianco: nel bassista che ondeggia dinoccolato, nel batterista che si dimena come uno scimpanzè, nelle corde vocali che per magia si sporcano come volevi proprio durante quel ritornello.
Che il mondo della musica sia un magnamagna dove contano solo i contatti è dimostrato dalla mancata ascesa a celebrità globale dei Perle ai Porci.
Come tutte le esperienze vive e veraci, ha poi effetti collaterali. Mi ha, per esempio, fatto considerare la musica scomponendola per strumento, scoprendo che i Blink-182 hanno un batterista notevole, che gli arrangiamenti di Noel Gallagher son ben più di quanto un ascolto distratto possa far intuire. Dover recitare la parte anche in canzoni non affini ai miei gusti musicali, poi, mi ha dato nuova prospettiva su musica che prima non avevo considerato. L’effetto contagio ha fatto sì che, almeno in un caso, la passione sia stata così forte da far passare un amico dalla batteria di plastica a quella vera, nonostante le primavere sul calendario suggerissero che il treno della musica potesse essere già passato.
Rock Band potrebbe essere asetticamente descritto come un maxi-karaoke; tuttavia, la condivisione lo trasfigura e l’esperienza diventa altro, diventa aspirazione. Così, graziato da quella granitica coesione che solo suonare insieme restituisce; elevato da quella consapevolezza che la responsabilità della performance è propria dalla A alla Z e che non si è solo affittuari su una base preregistrata, il gioco si trasforma nella rivincita dei mediocri musicali, di quelli che non hanno mai avuto voglia o costanza di imparare a suonare, ma che hanno entusiasmo da vendere nel ricreare quella fantasia.
Noi siamo i Perle ai Porci e, signora mia, se facciamo schifo, ma quanta passione!
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al multiplayer, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.