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Il nuovo Game Pass potrebbe non essere totalmente una cattiva notizia

Il nuovo Game Pass potrebbe non essere totalmente una cattiva notizia

Non vorrei essere linciato in pubblica piazza, ma il Game Pass mi è sempre sembrato una pessima idea. Intendiamoci, era quasi un sogno, una figata così totale per il consumatore che ancora ti chiedi come mai non abbia avuto più successo, ma come tutte le offerte troppo belle per essere vere, sapeva di inchiappettata. Odorava di una di quelle operazioni che prima o poi ti presentano il conto. E che conto! Dall’oggi al domani 50% o giù di lì di incremento e (si suppone) un grande buco nelle casse di Microsoft.

La scommessa era quella di creare una base installata solida, di lanciare Xbox Series nella stratosfera grazie al traino del Netflix dei videogiochi. Per qualche motivo non ha funzionato. Probabilmente il disastro che è stato Xbox One ha avuto un impatto duraturo sulla percezione di Microsoft come serio player nel mercato. La constatazione che, a conti fatti, al di fuori degli appassionati pochi sapessero cosa fosse un Game Pass ha fatto il resto. Che poi, guardiamoci bene in faccia, anche con quell’offertona lì, a gran parte dell’utenza il Game Pass non serviva e, oggi più di ieri, non serve. Il giocatore comune, anche tra quelli mediamente devoti, non ha tempo per ammortizzarne il costo, per basso che sia. Un titolo tripla A richiede almeno un mese per essere giocato e terminato, ancora di più se si è un utente casuale. Certe derive indie a molti non interessano. Insomma, trattare il videogioco come un film o una serie TV è stato probabilmente un errore in partenza. Un mondo nel quale si può scegliere l’acquisto, magari con un forte sconto (e far sì che rimanga proprio), rende vana la sirena di Microsoft. Se le esclusive fossero state legate al solo GP e inaccessibili altrove, se si fosse creata una console senza disco e legata unicamente al servizio in abbonamento… beh sarebbe stata una mossa azzardatissima, quasi suicida, ma sarebbe stato probabilmente l’unico modo di spingere l’idea di una fruizione non più di proprietà. Il videogioco non ha i tempi di utilizzo e la storia commerciale dei film. Siamo abituati da una vita a non avere il possesso di una serie o di una pellicola. Sì, certo, c’è chi compra Blu-ray e DVD, ma sono una frazione. Tutti gli altri sono cresciuti a passaggi televisivi e noleggi. La transizione a un servizio all you can eat è stata quasi naturale, fin liberatoria. Senza contare che certe esperienze le puoi vivere solo così: al netto di cofanetti tardivi e pirateria, se vuoi guardare Stranger Things, o ti abboni o te lo fai raccontare. A questo va aggiunta una strategia Xbox che è variata pesantemente in un breve periodo (ci siam comprati il mondo per avere le esclusive su Xbox - tutto è un Game Pass - esclusive no che le trovate anche sul tostapane - facciamo comunque una nuova console, ma forse no).

Cambiano i nomi, cambia l’offerta, la gente si fionda in massa a disdire. Poi Microsoft chiarisce (fonte Polygon) che per chi ha il rinnovo automatico non cambia nulla. Un’altra mossa comunicativa confusa.

A posteriori è facile evidenziare le magagne, tuttavia, ai blocchi di partenza l’approccio ideato a Redmond pareva essere vincente. Il marchio, però, aveva perso attrattiva e non ha saputo temere testa a Sony (a una che ne ha sbagliate davvero tante), le esclusive, poi, hanno spesso mancato di infiammare il pubblico. Ora si vocifera di una potenziale nuova Xbox, ma quest’ennesima mossa relativa al Game Pass fa pensare a un chiodo sulla bara. Credo che in pochi si stupirebbero se nei prossimi mesi vedessimo un ulteriore, confusionario, cambio di rotta in direzione di un futuro puramente da pubblisher.

GameStop US ne approfitta per dare qualche stoccata

Il Game Pass, però, mi è parso deleterio per un altro motivo: ho sempre temuto che potesse distruggere il valore del videogioco agli occhi dell’utenza. Un po’ come le app a 0,99 € o i giochi gratis infarciti da microtransazioni, che hanno portato il mercato mobile a essere quello che è. La rivolta su internet, con i soliti toni pacati che contraddistinguono i leoni da tastiera, mi fa pensare di non mancare di molto il bersaglio. È vero, in molti hanno avuto modo di provare Blue Prince o Clair Obscure, un’utenza che altrimenti non ne avrebbe manco conosciuto l’esistenza. Siamo sicuri che non siano consumatori che però li considerano, in quanto a valore, alla stregua di un Candy Crush e che alla richiesta (esosa, ne convengo) di un 70 € (ma anche di 40 o 50) si girerebbero dall’altra parte? O per contro, potrebbero essere hardcore gamer, che dunque avrebbero comunque speso soldi su quei titoli ma che invece avevano deciso “di farseli regalare”? In entrambi i casi, un Game Pass particolarmente economico e allargato rischiava di innescare una spirale preoccupante, fatta di un’utenza abituata al fatto che un videogioco, anche uno con valori produttivi stellari, non valesse più che una manciata di monetine. Un trend che avrebbe potuto rosicchiare i margini, ridurre gli investimenti e trasformare il videogioco sempre di più in un servizio, che è quello che “noi vecchi” generalmente rifuggiamo. Questa ristrutturazione del progetto (perché non solo di variazione di prezzo si tratta, considerata la radicale limitazione al day one dei titoli più importanti) ridona quantomeno dignità al videogioco, al suo valore commerciale. Di questo non me ne dispiaccio. In questo vedo una buona notizia.

E io sono un utente Microsoft, in questa generazione sfigata non ho ancora acquistato una PS5; quindi, posso pure dirmi scevro di pregiudizi nei confronti di Bill Gates e sottoposti, ma non posso che essere quasi sollevato che l’operazione Game Pass abbia calato la maschera. Era scritto che sarebbe accaduto, che si volesse portare nel recinto una bella fetta di utenza e poi alzare il prezzo quando, drogata, non avrebbe più potuto farne a meno. Le cose sono andate diversamente, ma il risultato è stato ironicamente simile. Oggi, dunque, il servizio si mostra con una faccia più credibile. È forse superfluo ma almeno è onesto. Il Game Pass è morto e con esso il progetto console di Xbox? Solo il tempo lo dirà, ma per ora festeggiamo un caso di marketing di assoluto interesse. Celebriamo un’azienda che in una deriva di hardware standardizzato ha tentato una strada alternativa, ci ha fatto appassionare e discutere in virtù di un antagonismo commerciale costruito su un approccio innovativo e radicale. Ha sbagliato tanto, è stata ondivaga e l’azzardo non ha pagato ma è stato bello finché è durato. Xbox è morto (?), viva il Game Pass.

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