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My Dress Up Darling è puccettosissimo!!

My Dress Up Darling è puccettosissimo!!

Un po’ per il gusto di darmi un personaggio, un po’ perché sono circondato da persone orrende, in questa community vengo additato come il “vecchio rattuso”… nonostante io non sia davvero vecchio…

Eppure persino io, che non ritengo abbia senso sentirsi in dovere di stigmatizzare il fanservice in anime e manga quasi come disclaimer obbligatorio, che non mi sono fatto problemi ad esprimere il mio apprezzamento per anime e manga classificati come ecchi o proprio hentai, mi sono dovuto arrendere all’evidenza che può esistere un anime che, pur mostrando metri di pelle nuda di giovani figliole riesce a farmi entrare nella mentalità del papà orgoglioso che vede quanto bene e quanto brava e bella è cresciuta la sua figlioletta e non riesce a trovare molto da dire sul giandone con la faccia un po’ da fesso che si tira dietro.

La mia bambina…

Ebbene sì: My Dress Up Darling - inspiegabile titolo internazionale dell’originale Sono Bisque Doll wa koi o suru, traducibile come La bambolina di porcellana si innamora o La bambolina innamorata - è riuscito a fare il miracolo ed a farmi venire gli occhi a cuoricino togliendo dai miei neuroni ogni “secondo pensiero”.

E il merito è tutto suo.

Hina Suguta, seiyu e cantante

Ma andiamo con ordine: ho scoperto Bisque Doll grazie alla cricca di Fandemonio, da me già ringraziata e, come consuetudine, il primo passaggio è stato il manga.

La storia del giandone Gojo Wakana, liceale musone con il sogno di diventare Kashirashi - artigiano specializzato nella creazione dei volti delle (inquietantissime, se ascoltate me) tradizionali bambole Hina giapponesi - che incontra Vulcano in Eruzione, aka: Marin Kitagawa, mi aveva divertito ma non particolarmente impressionato.

I motivi della mia reazione non entusiasta erano nella sostanziale fragilità della narrazione che per quei pochi che non lo conoscono riassumo in poche parole: Gojo Wakana ha perso i genitori da piccolo e vive con il nonno, artigiano costruttore di bambole Hina, ed ha trovato in queste ultime e nella loro (inquietantissima) bellezza una ragione per superare il lutto devastante. Una cattiveria detta con l’incoscienza ed il livore di cui solo i bambini possono essere capaci dalla sua amica d’infanzia lo traumatizza al punto da renderlo sostanzialmente un “recluso in piena vista” per tutte le scuole elementari e medie, senza amici né conoscenze al di fuori del nonno. Iniziate le superiori, mentre cerca di continuare sulla sua strada solitaria, inciampa in Marin Kitagawa, la “principessa della classe”: una gyaru bellissima ed esplosiva, priva di freni e ritegno ma anche sincera fino all’ingenuità e drammaticamente incapace di qualsiasi attività manuale laddove lui è un sarto e truccatore autodidatta di prima categoria. E a chi chiederà soccorso la esplosiva otaku Marin per il suo primo e preziosissimo cosplay?

A ‘sto giandone…

Insomma, abbiamo uno slice of life senza particolari tensioni in cui ogni “sfida” si risolve al meglio, non esistono antagonisti o relazioni conflittuali e, soprattutto, il protagonista maschile è ben poco credibile.
Non smetterò mai di ringraziare per questa nuova tendenza del manga romantico con “Rescue Gyaru”, in cui la protagonista femminile non è un pretesto ma un motore di narrazione spinto a pieni giri che travolge e poi trascina il medio, tendente al mediocre, giovane maschio giapponese obbligandolo a tirare fuori gli attributi o diventare una metaforica “macchia sull’asfalto”. Devo però dire che dei protagonisti visti finora, Gojo è quello in assoluto più pretestuoso.

Se infatti “paisen” di Non tormentarmi Nagatoro e “Okarun” di DanDaDan nascondevano bene la loro stoffa di protagonisti dentro un aspetto, un carattere ed un contegno realmente “da sfigati” ed obbligavano le vulcaniche protagoniste a rompere questo guscio di mediocrità autoindotta con le maniere forti (in un caso pure arrivando al limite del bullismo sistematico); Gojo alto, di bell’aspetto, atletico, abile con le mani ed incredibilmente empatico e capace di dire immediatamente la cosa che il suo interlocutore ha bisogno di sentirsi dire, deve passare minuti e minuti per diverse puntate a convincerci di essere uno sfigato tramite estenuanti flashback, dialoghi mentali e crisi di panico appiccicati alla trama con lo sputo.

Questo disperato tentativo di far credere che un trauma infantile unito alla sua passione zelota abbia creato una sorta di campo di forza che nessun coetaneo maschio o femmina, per due interi cicli scolastici e quasi un decennio, abbia osato forzare nonostante la sua bella presenza ed un carattere meraviglioso, non funziona e fa pure un po’ ridere.

Chiaramente uno sfigato

Resto convinto che il manga avrebbe funzionato lo stesso se il buon Gojo avesse avuto il suo circoletto di amici e conoscenti “nulla di speciale”, tanto Marin sarebbe comunque stata un qualcosa di a tal punto esplosivo da rendere credibile il cambio di velocità nella sua vita.

E quindi?

E quindi niente: l’anime è la stessa cosa, ma di più.

Hina Suguta riesce a rendere Marin quello che il manga ti dice che è ma tu non riesci a figurarti: è piena di entusiasmo, è sventata, è inarrestabile. Cambia registro da un momento all’altro: è la reginetta della classe, è una bambina dispettosa, è una otaku senza speranza, è una fan al limite dello stalking ed è comunque sempre una brava ragazza giapponese perfettamente educata e se un verme la facesse mai soffrire io lo uccid… ecco, è successo di nuovo, sono tornato in “modalità papà”.

La mia… bambina?

La realtà è che l’anime, riprendendo la struttura sit-com del manga e mettendola in mano a dei bravi interpreti, dà senso alla mancanza di tensione spostando il tuo punto di osservazione dallo spettatore che vuole emozionarsi all’osservatore che si compiace di vedere i personaggi rivelarsi. Come nel manga, Marin si prende una cotta feroce per Gojo-kun praticamente alla fine del primo arco narrativo, la sua “crescita” classica è già completa e quello che ci resta da vedere è “sempre più Marin”; anche Gojo è già “completo”: sa praticamente fare tutto e quello che ci interessa è vederglielo fare quando gli vengono date l’occasione e l’istruzione.

La sottigliezza narrativa

Siamo, se vogliamo, allo spokon alla Mitsuru Adachi, con i protagonisti che quasi sempre sono già dei geni delle rispettive discipline ed hanno bisogno solo di una motivazione per impegnarsi ed un palcoscenico su cui risplendere. Dove in altri manga questo sarebbe stato il campo da baseball, la palestra da basket, da volleyball o il ring di pugilato, qui sono gli eventi di cosplay o gli studi fotografici e le piattaforme social di cui ci viene esaltata, di nuovo, la loro parte migliore di promozione dell’autoaffermazione e del diritto di ciascuno di potersi anche mostrare “come vuole” e non “come deve”, tacendo per una volta tutto quell’inevitabile “marcio” che è parte di un mondo imperfetto.

Ma questo va bene perché il punto non è “la lotta” dei protagonisti ma la loro pacifica quotidianità, che si espande dietro a questa nuova passione e si rivela grazie alle interazioni e agli scambi quotidiani che vengono interpretati con grande divertimento e naturalezza e quindi io, che ho ormai un’età, vedo questi ragazzini e ragazzine messo per una volta alla giusta distanza e, con un po’ di paternalismo, sorrido.

Sossoldi!

Sossoldi!

Ottobre 2015: Un trionfo di piccole produzioni e qualche grosso inciampo

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