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Non Sono Ancora Morto è l'epica del mondo moderno

Non Sono Ancora Morto è l'epica del mondo moderno

Disclaimer che dovete leggere con molta attenzione! Questo articolo potrebbe spoilerarvi momenti FONDAMENTALI dei seguenti film, fumetti, videogiochi:

Quasi tutti i titoli elencati, ormai, dovreste conoscerli a memoria o, comunque, il semplice fatto di respirare dovrebbe essere sufficiente ad avervi fatto entrare in contatto con gli eventi rilevanti (coughaerisdiescough) da questi raccontati, ma comunque mi sento in dovere di avvertirvi prima, cosicché, se qualcuno si sentisse in diritto di infamarmi perché “gli ho rovinato la sorpresa”, io mi sentirei a mia volta in diritto di rispolverare il mio kit “ShpalmanMegaTransformerSuperAction” e usare su costui la Cazzuola Laser di Shpalman, che ivi gelosamente conservo.

Patti chiari…

Ma dimmi te se posso iniziare un pezzo sull’epica del mondo moderno con Shpalman degli Elii…
Volendo, potrei ancora giustificarmi dicendo che c’è una attinenza, visto che si parlerà di supereroismo, ma forse è meglio far finta di niente.

Perché in realtà non c’è niente da ridere, quello di cui si parla è drammatico: l’eroe è a terra, il suo corpo è distrutto, andato ben oltre quello che era il suo limite. Ma quello che è peggio è che la sua psiche si è spezzata o è prossima a farlo: nessuno verrà ad aiutarlo perché nessuno sa che si trova in pericolo o perché le persone che voleva proteggere e/o o i suoi alleati sono esanimi di fronte ai suoi occhi, sembrano morti o morenti. Persino il suo orgoglio non regge più: come sa chiunque si sia fatto DAVVERO male, per quanto tu sia duro, quando fa MALE, quando fa PAURA, piagnucoli.

Ed è in questo preciso momento che l’Eroe, super o meno, interiorizza un gigantesco “esticazzi!” e SI RIALZA.

Sono a terra, sono ferito, sono spaventato… SONO SPIDER-MAN!

Lo fa perché è l’eroe, anzi, come reso meravigliosamente in Spider-Man: Homecoming, è proprio perché lo fa che si rende conto di cosa significhi essere l’eroe. Facendo a meno, finalmente, del catalizzatore marca ZioMorto (sono una persona orrenda, lo so).

C’è la possibilità che io venga smentito da narratologi competenti, ma penso che questa visione sia propria del mondo moderno e sia la spina dorsale di una nuova epica, differente da quelle dei nostri antenati.

L’eroe della Mitologia Classica era Eroe “perché sì!”: lo avevano deciso gli Dei e le sue vittorie erano predeterminate e predestinate a seconda di quanto potente era il suo parente divino. Eroi per raccomandazione, potremmo dire.

L’Eroe Predestinato accomuna molta parte delle mitologie antiche, con varianti più pessimistiche tipo quella nordeuropea, che prevede che ogni Eroe, Dio o Semidio sia destinato a morire malissimo prima o poi; quella fatalista-consolatoria orientale, che prevede che ogni Eroe “ascenda” ad un rango superiore; e quella un pochetto paracula nostrana, che dalla Roma Imperiale fino alle corti rinascimentali, modellerà il destino dell’Eroe a seconda del fatto che sia o meno antenato nobile del potente, che paga il conto all’aedo o cantore di turno.

“Sor Mecena’ sto affà di st’Enea un vero eroe!”

Quando questo modello comincia a diventare liso e logoro, forse anche per effetto dell’emergere di una visione più “umanista”, arriva l’eroe picaresco. Dotato magari di qualche tratto superumano come il gigantesco Gargantua, ma in ogni caso più abituato a vincere d’astuzia, cialtronaggine e, perché no, aperta slealtà, che non confidando nel fatto di essere prediletto o meno di qualche dio. Meno eroico, più umano, ma esattamente come l’Eroe Classico, invincibile fino alla sua cavalcata finale. Da Gargantua ai Tre Moschettieri, arrivando fino al grande cantore epico che sarà Emilio Salgari con i suoi Corsari e Sandokan, l’eroe picaresco non è mai veramente “sconfitto”. Può essere messo in trappola, circondato, imprigionato e addirittura già con la corda al collo, ma in realtà è già pronto il piano per la fuga e l’eroe si permette di fare il gradasso con i suoi carnefici. Se viene dato per morto, è falso, se è stato ferito, si gode la convalescenza con qualche prosperosa contadina: la vita è una partita a carte e la sua mano è sempre di tre assi e uno nella manica.

Questa formula, che dominerà la letteratura “borghese” per lungo tempo, arriva intonsa alle arti nate agli ultimi respiri del diciannovesimo secolo, che ben volentieri si abbeverano a fonti zampillanti eroi belli e virtuosi, o affascinanti e arguti, per produrne di nuovi. Il pubblico non ha problemi, all’inizio, a godere della invincibilità di Dick Tracy, Mandrake, The Spirit, Zorro, Flash Gordon e, ovviamente, Superman, nuovamente eroe semidivino per “diritto di nascita”. Quello che avvince è la pura meraviglia e il gusto di vedere l’eroe trionfare contro avversari mostruosi, puramente malvagi, inumani. Il fatto che vinca non è nemmeno per sbaglio messo in discussione. Anche alle nostre latitudini, Tex Willer contro qualche dozzina di tagliagole è uno scontro impari… per i tagliagole.

La formula diventa però vecchia in fretta: il misto tra eroe picaresco ed eroe classico ha i suoi limiti, in un tempo di rapidi cambiamenti, in cui si mette in discussione il concetto religioso di predestinazione ma in cui anche la fede nell’uomo illuminista, dominatore di materia e destino, si è ormai incrinata sotto le bordate delle guerre mondiali, delle crisi economiche e della contestazione.

Pur non essendo certo specialista nel genere, trovo che sia una ipersemplifcazione dire che la risposta a questa epica usurata furono i “Supereroi con superproblemi” che la Marvel oppose agli (al tempo) inscalfibili Superman e Batman della DC. Non so chi fu il primo a pensarlo, ma secondo me la risposta fu anche questa:

Io questa scena l’ho già vista

Nasce così una nuova epica. L’eroe non è eroe perché vince, l’eroe è eroe perché non accetta di perdere.

L’eroe è eroe perchè “non è ancora morto”.

L’eroe è eroe perché si rialza, sempre.

Agli albori di questa epica, sono i puri valori in cui crede a sostenere un corpo ed uno spirito distrutti. Poi viene lo scenario di cosa toccherebbe in sorte a ciò che vuole proteggere e la moderna epica dei “compagni” di marca giapponese, spesso, insiste sulla promessa fatta ai propri pari di “non restare indietro”. Infine, in questi ultimi e disincantati anni, arrivano anche gli eroi che “fottesega, cosa mi resta da perdere?”.

Si è rialzato… [“One Piece” (c)Eiichiro Oda - Star Comics]

Quando parlo di epica moderna, è per la pervasività che ha questa narrazione nella cultura “globalizzata” (che, comunque, non è tutta la cultura mondiale, giusto per ricordarcene). A meno che io non venga smentito da chi ne sa più di me: è nella terra dei “Self Made Man” che si formalizza e ottiene i suoi successi e poi, nonostante siano abituati da millenni di terremoti, eruzioni vulcaniche e tsunami (e mettiamoci anche due atomiche, va), “rialzarsi, sempre”, arriva ai Giapponesi, che la accolgono e, come molto spesso riescono a fare con formule buone, la perfezionano.

Se guardiamo alla loro produzione mainstream, infatti, gli eroi della loro “Golden Age” sono vincitori per predestinazione più o meno come gli omologhi occidentali: non mi ricordo di aver mai visto Ken il guerriero spezzarsi sotto la pressione di un avversario. Può venire ferito, trapassato, battuto, ma non ricordo si sia mai imposto di “rialzarsi”. Forse l’Uomo Tigre ha avuto questi momenti. Ma anche prima delle “contaminazioni”, degli eroi passati dalla realtà al mito, Miyamoto Musashi e altri, si parla più della forza e della dedizione a perfezionarsi; delle vittorie, più che delle sconfitte.

Fuori dal manga sportivo, in cui la morale non era però sulla “forza di rialzarsi” ma sul “dovere dell’estremo sacrificio” (tant’è che, come insegna Rocky Joe, era legittimo anche schiattare), gli eroi d’avventura che devono farsi ridurre in fin di vita prima di decidersi, finalmente, a vincere diventano frequenti dagli anni Ottanta in poi, fino a diventare la norma dei manga Shonen post Dragon Ball (in cui addirittura si arrivava al ridicolo dei protagonisti che, come allenamento, si autoriducevano in fin di vita).

L’intuizione diventa formula, la formula, la ricetta. Ed è una ricetta semplicissima, viene da chiedersi come non ci si sia arrivati prima: per non perdere, basta non voler perdere.

Come abbiamo fatto a non pensarci prima? [Ozn (c) Shiro Ohno - Panini Comics]

I “tre grandi” (One Piece, Bleach!, Naruto) ne faranno il principale punto di forza, assieme alla nuova etica di eroi che non combattono più per gli ideali, non combattono (solo) più per proteggere i deboli, ma combattono per realizzare un sogno condiviso con i propri “compagni”: possono essere picchiati, calpestati, torturati ma contro chi sminuisce o deride questo sogno o i loro compagni, da una posizione di indiscutibile superiorità si rialzeranno, sempre. Ricongiungendo il discorso al supereroismo, questa epica arriva dritta, dritta a My Hero Academia, che ne fa la sua bandiera.

Qui mi permetto una digressione nella digressione: il momento dell’eroe che si rialza non va confuso con il momento “cancelleremo l’apocalisse”.

Diglielo!

Il momento “cancelleremo l’apocalisse” può essere la conseguenza o la causa del momento “rialzarsi” (normalmente, perché l’Apocalisse non era tanto intenzionata a farsi cancellare) ma la grande differenza tra i due momenti topici è che il momento “cancelleremo l’apocalisse” è pieno di speranza. Certo, la situazione è difficile, i nemici sono enormi quanto le perdite: sicuramente qualche comprimario di un certo rilievo e carisma ci ha rimesso le penne, in quello che è sembrato un incontro deciso a tavolino.

Sempre nel mio cuore Cherno… e, sì, anche te… coso, lì.

Le possibilità sono ridotte… ma CI SONO delle possibilità, c’è un piano, c’è lo stupidissimo condotto di sfiato della Morte Nera pronto per essere centrato, c’è il canale del Fosso di Helm da fare esploder… ah, no, quelli erano i buoni.

Nelle storie di cui parliamo qui, invece, l’eroe non ha niente del genere. È stato sconfitto, schiacciato, SURCLASSATO. Fino a quel momento, tra lui e le forze che gli si oppongono c’è una sproporzione quasi ridicola.

Non c’è e non ci deve essere nessun lume di speranza.

Proprio per la semplicità della “ricetta”, bisogna non lasciare dubbio sull’impossibilità di vincere. La costruzione del percorso fino a quel momento è fondamentale e, come detto, i giapponesi si sono rivelati piuttosto bravi, arrivando a proporlo e riproporlo non solo in anime e manga ma persino nei videogiochi.

È l’arrivo della meteora in Final Fantasy VII. Aeris è morta. Non un personaggio qualsiasi: AERIS è morta. Lei, l’ultima erede dei Cetra, la chiave per allontanare l’apocalisse annunciata, la personificazione di tutto ciò che c’era di giusto e genuino in un mondo inquinato e sfruttato. Cloud è ridotto ad un relitto farfugliante, privato di qualsiasi volontà. Ciò che rimane della Shinra sta capitalizzando il panico per consolidare il proprio futile potere e ciò che rimane di Avalanche è additato come responsabile di qualsiasi cosa, da catturare e linciare a vista.

È il momento della “Rivelazione” in Persona 3: ogni battaglia combattuta dai protagonisti è stata inutile. Anzi, ingannati da chi aveva coltivato la loro fiducia, hanno ottenuto il risultato esattamente opposto a quello sperato: hanno evocato Nyx, la divinità della fine del mondo. La fine è certa e, per pura pietà, ai protagonisti viene concesso di arrendersi, dimenticare quello che è successo e arrivare nella beata ignoranza al giorno della fine del mondo, morire serenamente con tutti gli altri invece di contorcersi nell’agonia di una morte annunciata.

La serie di quattro anime ricavati dal videogioco, che, se si chiede a me (chiedetemelo!!), ha ridefinito i canoni secondo cui trasporre un videogame al cinema, rende perfettamente questo momento.

ATTENZIONE: non guardate questo video se non avete giocato a Persona 3. Anzi, non guardate questo video se non avete ancora visto i quattro anime. Giocate a Persona 3 e accattatevi gli anime in edizione inglese, voi sapete dove. Fatelo! Vi ho avvertito, eh? Ricordatevi la Cazzuola Laser!

Elisabeth… <3 <3

Gli ultimi tre capitoli della serie Persona hanno poi calcato la mano con il momento “non puoi vincere”: il Boss finale “cambia forma” e diventa semplicemente intoccabile, i personaggi non giocanti che compongono il team vengono seccati uno dopo l’altro e, alla fine, tocca anche al protagonista.

Tutto è perduto e, quindi, “l’eroe si rialza”. Non è cambiato nulla di nulla, può ridere o piangere ma non è cambiato nulla di nulla: è uno straccio ed è soverchiato. Ha dato così tanto fondo alle sue riserve di fortuna che non scommetterebbe nemmeno lui sulla sua vittoria. Può anche essere che, come in Max Payne, tutto quello che ha in mente sia fare più male possibile. E poi qualcosa succederà.

Non prendi in giro nessuno, Max… vai e FAGLI MALE!

Certo, non bisogna neanche sottovalutare l’effetto che ha sull’avversario vedere l’eroe “rialzato”. Nel confronto uno contro uno, capita quasi sempre che “il cattivo” sottovaluti l’eroe: del resto, è spezzato, distrutto, disarmato, psicologicamente instabile… cosa potrà mai fare?

Ho Ho Ho!

La distrazione che porta alla rovina, oppure il fatto che l’eroe che non accetta di perdere scopra di poter andare oltre i limiti che credeva fossero insuperabili o, secondo i più mistici orientali, apra gli occhi su nuove possibilità che erano sempre state dove poteva coglierle. Leggermente oltre la sua coscienza.

Succede così anche nei già citati ultimi tre Persona: musica del game over, stacco, scena in cui lo spirito di tutti gli amici incontrati durante il gioco si palesa al protagonista. E il protagonista si rialza, ma con una consapevolezza nuova.

Ancora peggio, per il cattivo, è vedere l’eroe che si rialza una SECONDA volta. Una terza, una quarta… quanti antagonisti, sopratutto nei manga e negli anime, hanno urlato “ma cosa sei, uno zombie?!!”, vedendo questo protagonista che, contro ogni buon senso, si RIFIUTA di rimanere a terra. Come avevano capito gli scrittori popolari romantici, nello stesso periodo in cui gli eroi picareschi battevano cassa entrando nelle case di chiunque fosse un minimo alfabetizzato, niente causa una paura più sublime di un mostro che, per quanto lo colpisci, non muore mai, non si ferma mai.

E un nostro regista aveva capito quanto inquietante sia quando a farlo è l’eroe.

Al cuore, Ramon! Tanto non servirà a niente!

Alla fine di questo sproloquio, ammetto di essere un po’ curioso. Avengers: Infinity War si concludeva con un atterramento esemplare. Un colpo da K.O. ricevuto in pieno viso.

Ridotti così, i Vendicatori, in Avengers: Endgame, “si rialzeranno” o “cancelleranno l’apocalisse”?

Quale che sia la risposta, possa questa nuova epica non rimanere mai a terra.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata agli Avengers, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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