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Il mio rapporto conflittuale con Call of Duty

Il mio rapporto conflittuale con Call of Duty

È dal Febbraio 2020 che non mi perdo un’uscita di Call of Duty.

Non lo ritengo un piacere colpevole, non devo stare qui a giustificare il fatto che non è uno di quei giochi intellettuali con l’occhialino alla Gramsci che parla delle tematiche importanti. Non è in pixel art, non parla delicatamente di depressione e traumi attraverso metafore con una deliziosa grafica pastello. Non ha nemmeno un sistema di movimento rognoso, scivoloso e buggato spacciato per feature. Non ci si scontra con nemici insormontabili dopo aver attraversato, bestemmiando, aree intellegibili dall’architettura di dubbio gusto, spacciata per ricercatezza estetica di level design.

Semplicemente, Call of Duty è quello che è, praticamente inalterato da quando Infinity Ward ha risolto la maretta interna, salutato Zampella che è andato a fondare Respawn Entertainment. Il reboot di Modern Warfare (che quindi cambia numerazione da numeri arabi a numeri romani) ha asciugato quella che era diventata una formula troppo incasinata, non riportando le lancette a quel mai dimenticato Modern Warfare 2 di “No Russian”, ma quanto meno rallentando il ritmo, o almeno provandoci, con risultati davvero buoni.

L’ultimo Call of Duty bello.

Almeno quando il progetto è sotto il controllo di Infinity Ward.

Per gestire la questione delle uscite annuali ci sono tre studi che ruotano intorno alla IP portando avanti idee e temi in forma semi-esclusiva. Infinity Ward sui Modern Warfare, Sledgehammer sul filone Seconda Guerra Mondiale, Treyarch su Black Ops. Con Raven che un tempo si occupava di giochi single player (ricordo una vecchia incarnazione di Wolfenstein giocata su X360 e Singularity) ma ormai un vero corpo aggiunto di onesti mestieranti che contribuisce alla realizzazione del nostro FPS annuale. In soldoni, questo come si traduce a livello di gioco? che ogni anno la sorte lancia i dadi e non sai mai che tipo di produzione ti troverai davanti, anche all’interno della stessa serie, presentando tratti distintivi, piccole rivoluzioni, perfezionamenti o, al contrario, disastri o semi-disastri che ti allontanano velocemente dall’online perché semplicemente non ti suona.

Questo mi suona?

L’anno scorso è andata così, con il lancio in pompa magna su Game Pass era legittimo aspettarsi un gioco migliore? probabilmente sì, se non fosse che a palesare questa partnership al vasto pubblico di utenti del servizio c’è stato Black Ops, che già di per sè si porta dietro una storia di rapporti conflittuali. Il primo della serie, giocato sulla vecchia X360, è stato per tantissimo tempo il mio CoD preferito, la storia era fighissima, poi ha avuto quel brutto periodo di devianza fantascientifica e wallrun che proprio non ci siamo meritati.

Ma tornando all’oggi, il Black Ops 6 in oggetto ha nascosto sotto un sistema di movimento veramente migliorato (tale omnimovment, à la John Woo) un gioco di una pochezza allucinante, con un’armeria schematica e ripetitiva e un gundplay senza personalità, che si ripercuote negativamente su quanto tempo effettivamente voglio passare a fare quella roba. Per me Black Ops significa spendere il 60% del tempo su mappe come Nuketown, che odio intrinsecamente. Odio il level design scatolare spacciato per minimalista, odio quel meta stronzo dove tutte le partite sembrano una copia, di una copia, di una copia, di una copia però in modalità villaggio di babbo natale con le renne e i bastoncini di zucchero al posto dei manichi.

La XM4 è la prima arma disponibile per i giocatori. Ed è sempre in cima al meta. Tutto il resto è virtualmente inutile, quando non un vero e proprio svantaggio tattico.

Ogni volta che un nuovo CoD è un Black Ops, qualcosa in me si rompe. Passo da “titolo (insensatamente) più giocato dell’anno” a “madonna di nuovo?”, ma io me lo aspetto e lo metto in conto perché, purtroppo, per me il loro approccio alla materia non funziona, soprattutto per quanto riguarda la superficialità della resa delle armi “tutte uguali” con uno sviluppo “omologo” sulle quali monto sempre “gli stessi pezzi” perché so che indipendentemente da ciò che equipaggio vorrò sempre più proiettili, sempre bilanciare il calcio allo stesso modo, sempre la stessa ottica che mi fa vedere sempre nello stesso modo.

E quindi l’entusiasmo si esaurisce rapidamente, solitamente quando vedo la mala parata so che non durerò oltre la seconda/terza season, ma molto dipende dal tipo di ricompense, da come vengono sbloccate, da quanto sono divertenti le mappe.

Un esempio di armeria fatta bene, in Modern Warfare II.

Torno sempre su Call of Duty perché mio malgrado sono diventato “l’esperto di quella roba là”, non senza rammarico, eppure CoD risponde ad un'esigenza di immediatezza che nessun altro gioco riesce a soddisfare. In tre minuti sei in partita, pronto con il tuo setup e stai giocando contro avversari umani che anche quando sono scarsi non sono mai babbi come possono essere babbi gli avversari di un FPS bellico offline, motivo per il quale le campagne non riescono mai a strapparmi più di un sorriso, perché se sei abituato ad un certo tipo di ritmo, ad appropiarti dello spazio in un certo modo, tutto il resto è meno che un palliativo e “si, bravi la campagna, che figa, ah, la trama importante, che bravi" e finisce lì. L’ultima campagna di Black Ops che sarebbe dovuta essere figa, interessante e cinematografica, l’ho archiviata a causa di un bug che mi ha fatto sparire un PNG al termine di una missione particolarmente lunga, articolata come un vecchio Far Cry.

Ma non siamo qui a parlare di offline.

Di questo modello di fruizione ci sono anche risvolti oscuri, come il loop che oggi i giovani definirebbero brainrot di un’estate, che ricordo particolarmente triste per non so che motivi, che passai dodici ore in partita online su Modern Warfare III (nemmeno tutto sto capolavoro, poco più che un more of the same, un DLC allungato a capitolo), scalando ranghi con in sottofondo a tenermi compagnia Gilrmore Girls. Perché ad un certo punto non sei più nemmeno una persona, non pensi nemmeno più a quello che fai, agisci solamente, tanto che sei nel flusso. Sei Meno di zero, come direbbe Ellis, e in quella ripetizione sperimenti l’annullamento totale che è vicino all’illuminazione zen

Delicatissimo

CoD è diventato il mio unico modo di giocare con persone online. O almeno lo era, adesso ci scappa anche qualche partitella a Mario Kart. Ma è comunque la mia prima idea di multiplayer competitivo, altra roba ha provato a prendere quel posto, ma l’esperienza proposta da CoD è diventata così efficace nello svolgere quel compito che tutti tutti ne escono male. Probabilmente è un modo di interfacciarmi con l’altro deviato, incentrata su una malcelata incomunicabilità o incapacità di coordinarmi con persone reali che “ti aggiungo così poi giochiamo insieme” e non si sono mai fatte più vedere alla stregua dei match sulle app di incontri.

E così è anche un po’ la parabola della socialità una volta superati i trent’anni, con amici che spariscono e poi dopo tempo li ritrovi sposati e con figli, mentre tu resti ancorato ad una serie di prassi che non puoi più definire come “fasi transitorie”, non puoi più identificare come “partitelle” e fanno parte di te, che siano le uscite del venerdì sera, il cinema la domenica o il multiplayer di CoD in solitaria, come pratica di disconnessione totale da tutto.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al multiplayer, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

May I Ask for One Final Thing? - Merletti e cazzotti

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