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La bellezza, l'importanza e gli sforzi dietro ai raduni offline di Street Fighter

La bellezza, l'importanza e gli sforzi dietro ai raduni offline di Street Fighter

Come forse qualcuno che segue più assiduamente Outcast sa, io sono quello del gruppo che gioca ai picchiaduro a incontri e, in particolare, a Street Fighter: una serie che mi ha sempre appassionato e colpito, dai tempi della sala giochi prima e delle console casalinghe poi, che non ho mai davvero abbandonato ma che al contempo nemmeno approfondito davvero, a suo tempo. Sfide su sfide casalinghe con mio fratello, qualche timido esperimento su Fightcade degli esordi, ma niente davvero di continuativo, strutturato o anche un minimo “allenato”. Tutto è cambiato con Street Fighter V prima e con il trasloco a Milano poi: città nuova, lavoro nuovo e voglia di fare un po’ di socialità, conoscere nuove persone e nuovi “giri”… senza però abbandonare le passioni di sempre.  

La scintilla mi pare si accese su Facebook, mentre chiedevo in giro tra vari gruppi più o meno grandi, con il contatto di un tale “Bert”: ligure trapiantato a Milano per studi, abile giocatore di Street Fighter ma soprattutto mio traghettatore verso la scena della Fighting Game (da ora in poi FGC) milanese. Ed eccomi subito catapultato nella sfida di un torneo prenatalizio con la mia Poison tra gente sconosciuta, con un arcade stick, un po’ di timore e tanta voglia di scoprire finalmente uno di quei famigerati raduni di cui tanto avevo letto online su forum e riviste. Non sempre in termini positivi.

Perché si sa quello che in giro si dice delle community e dei tornei di picchiaduro: gente dura, dei fissatoni, magari anche scontrosi e competitivi fino al midollo, talvolta persino tossici. E invece non ho trovato nulla di tutto ciò, neanche la leggendaria “puzza di ascella” che spesso si accompagna all’immaginario di tali realtà. Ho incontrato invece un gruppo di ragazzi che porta da casa console, schermi, giochi, cavi e adattatori, tanta voglia di giocare insieme e un po’ di sana sportività per provare ad emergere, ma mai arrivando a deridere o distruggere l’avversario. Semmai, con in tasca l’abitudine di condividere la propria conoscenza del gioco per migliorare anche quella degli altri.

Quel che voglio raccontare non è quindi solo la mia esperienza, ma quella delle persone che organizzano i raduni, la loro voglia di creare dei momenti di socialità attraverso il piacere di un gioco in comune. Se oggi il termine “passione” spesso assume dei connotati agrodolci, a volte persino sinistri quando collegati al mondo del lavoro, credo invece sia importante recuperarlo e utilizzarlo nella sua accezione più bella e pura: quella di “moto dell’anima” che conduce a fare spesso qualcosa per gli altri. Mostrano una passione che porta sì a soddisfazioni - e anche qualche frustrazione - personale, ma soprattutto alla nascita e poi crescita di un gruppo affiatato, che prova a diventare sempre più grande e inclusivo. Un piccolo movimento che contribuisce però alla grande sia a noi giocatori di Street Fighter 6 di Milano e dintorni, ma credo ancor di più a Street Fighter 6 stesso.  

Uno dei raduni mensili al Namiex. Io sono quello in piedi, con la maglia a strisce orizzontali, che parla con un altro partecipante.

Questa è una lunga chiacchierata con Aldo, Diego e Lorenzo. Insieme sono il SYG Team, associazione sportiva dilettantistica nata per mettere a sistema i loro sforzi comuni, quelli che hanno portato prima alla nascita e poi al consolidamento della cosiddetta “scena milanese” della FGC. Le persone dietro il Redline, a oggi il torneo più grande dedicato a Street Fighter 6 (OK, tranne quando Redbull ci mette i megadollari per il suo Kumite) che fa anche un po’ da riferimento per tutta l’Italia. Un gruppo affiatato che ha permesso anche la crescita di Garnet, giovanissimo ragazzo di talento che oggi è il giocatore di Street Fighter 6 più forte d’Italia arrivando, anche con il supporto appunto del SYG Team, a incontrare e sfidare giocatori leggendari del calibro di Tokido e Daigo. Sì, proprio quello del celebre Evo Moment che conoscete tutti.

Una lunga discussione, che forse non ho sempre ben condotto proprio perché sono persone con cui mi sento quotidianamente per partitelle e scambi su Street Fighter 6, e proverò al meglio delle mie capacità di colmare eventuali “lost in translation”. Ma spero che quei pochi che avranno la pazienza di restare fino alla fine possano anche solo intuire quanto è bello e, oserei dire, importante, ritrovare una socialità dal vivo dove la tecnologia invece di essere un elemento di distacco diventa invece proprio il collante degli incontri dal vivo.  Perché se ho centinaia di ore su Street Fighter 6 e non vedo l’ora di farne altre centinaia è merito sì di Capcom, ma ancor di più di gente come Aldo, Diego e Lorenzo. E magari, dopo la lettura, riuscirete anche voi come me a trovare - o, perché no, creare! - un gruppo di gioco delle vostre parti. 

Io: Prima domanda rompighiaccio: che cosa è il SYG Team? Raccontate un po’ il vostro percorso e come siete arrivati a diventare un’associazione sportiva dilettantistica dopo essere stati per tanto tempo un gruppo di persone che organizza raduni di Street Fighter.

Aldo:  L’idea di avere un team vero e proprio è nata nel 2019 dopo i primi risultati di Garnet - ricordiamo che Garnet è il campione attuale di Street Fighter 6. L’idea nacque un po' per scherzo ma poi abbiamo cercato di renderla sempre un po' più seria e concreta fino a quando Garnet stesso non si è classificato per Capcom Cup 2023 (torneo mondiale creato da Capcom stessa) vincendo le qualifiche; quindi nel 2024 siamo andati a Los Angeles per seguirlo e da lì è cambiato un po' tutto: la visione del mondo del gioco professionistico è totalmente mutata, soprattutto per noi che pensavamo di essere arrivati a un livello alto. Lì ci siamo accorti che non era così e, tornati in patria, abbiamo cominciato a raccontarlo un po’ a tutti, cercando di trascinare un po' l'ambiente [sinonimo di “community italiana”] per dire: “OK, ne abbiamo uno forte, cerchiamo di trovare anche qualcun altro!”. Quindi un po' questo, un po' i tornei Redline [torneo italiano di Street Fighter che si tiene ogni anno a Milano, chiamato così perché originariamente presso una fermata della metro “rossa”] che abbiamo organizzato negli anni sempre con Diego,

Lorenzo, Bert e tanti altri… abbiamo cercato sempre di coinvolgere più persone possibili, il gruppo Milano è ormai il gruppo “Lombardia” e quindi riusciamo a fare anche dei raduni con una frequenza abbastanza sistematica, cioè ogni fine mese, al Namiex Club di Cologno. È un raduno aperto a tutti: c’è gente di livello infimo come me e spesso c’è Garnet, da cui si può imparare ogni volta qualcosa di più. Ci si confronta e diverte tutti insieme, condividiamo la stessa passione.. cioè, i raduni non sono mai una cosa dove devi dimostrare qualcosa a qualcuno, quello lo puoi fare a un torneo. Solo che anche i tornei in Italia sono talmente pochi che diventano più un ritrovo di amici che una competizione vera e propria, tranne quando abbiamo a che fare con qualche straniero che invitiamo: e lì anche il pubblico cambia, diventa un po’ diverso.

Io: Certo, il livello estero è più alto. Ma sarebbe interessante raccontare anche il pre-Garnet. Io sono arrivato quando lui stava cominciando a farsi notare su Street Fighter V, ma immagino che il gruppo già ci fosse ai tempi del quarto o terzo episodio.. 

Diego: Allora, qua subentriamo Lorenzo e io. Ho iniziato ad appassionarmi seriamente gli ultimi anni di vita di Street Fighter IV in vista del quinto episodio, quando erano apparsi i primi trailer, le demo e le beta. Avevo avuto un periodo di pausa dai videogiochi, ma proprio con Street Fighter V ho scoperto che c’era modo di trovarsi di persona con i raduni qui a Milano. Eravamo in cinque, massimo sei persone, perché con l’uscita di Street Fighter V c’è stata una sorta di “spaccatura” con la community del gioco precedente. Ma è stato in quel momento che ho scoperto la figata e la bellezza di trovarsi dal vivo per condividere questa passione. Come ci ha raccontato Abu in Francia, l’organizzatore di eventi FGC più noto in quel paese, è importante iniziare con un nucleo magari anche ristretto di persone che però crea l’ossatura su cui poi innestare altri arrivi poco a poco. Agli inizi non importa se siamo veramente in tre in un garage o nella stanza di qualcuno: già quello è un raduno, un evento di riferimento per trovare altre persone. Da lì siamo cresciuti lentamente, abbiamo cambiato diverse sedi. Era tutto molto più “artigianale” rispetto ad ora. C’era chi portava da casa la console, chi i monitor, chi altri oggetti utili. C’è stata una crescita molto lenta che però ci ha portato un giorno a chiederci: perché non organizziamo un torneo tutto nostro? E lì è stata la genesi del primo Redline, dove abbiamo conosciuto anche il citato Garnet. Lentamente siamo riusciti a creare un gruppo più o meno stabile che, secondo me, ha fatto veramente da magnete per gli altri. Abbiamo visto molte volte persone interessate arrivare e poi migrare dopo pochi mesi verso altri giochi: la persistenza di un gruppo ristretto è stata fondamentale per portarci tutti alla situazione attuale.

Io: La cosa secondo me più bella è che da quel nucleo di poche persone si è arrivati a quello che per oggi è di fatto un vero e proprio servizio, dove tanti altri come me si appoggiano per vivere l’esperienza di trovarsi tutti insieme a giocare un titolo che ci appassiona, in maniera comoda e in una struttura ben attrezzata come il Namiex. Un vero e proprio servizio aggregativo, insomma, dove per molti basta portare il proprio controller da casa e divertirsi. Non è qualcosa affatto da sottovalutare, anche in una metropoli come Milano dove la presenza di molti “fuorisede” spinge probabilmente a queste forme associative.

Lui è Bert, colui che mi ha traghettato nel mondo dei raduni offline. Qui è alla postazione commento durante un torneo Redline.

Diego: Un punto di svolta per la nostra community è stata la fondazione dell’associazione sportiva. Importante anche rimarcare che non siamo un ritrovo di elitisti, un posto chiuso per pochi “pro”, ma vogliamo essere davvero accoglienti per tutti. Ricordo un atteggiamento un po’ diverso anni fa, proprio con l’uscita di Street Fighter V. All’epoca ci si organizzava in gruppi Whatsapp e non sempre c’era una grande apertura verso chi giocava: chi non conosceva il glossario dei picchiaduro non sempre era visto di buon occhio. Parliamo di un genere unico, con il suo alfabeto e la sua grammatica, quindi noi pensiamo sia molto importante l’accoglienza verso i nuovi giocatori, proprio perché ricordiamo i nostri approcci al genere. Siamo anzi felici di introdurre le persone proprio a questo e l'abbiamo visto recentemente  con dei ragazzi nuovissimi, appena entrati nel gruppo.

Lorenzo: Io ho vissuto le community di Street Fighter IV, V e 6. Sono quasi vent’anni, insomma. Ho visto crescere la scena di SFIV sui forum, quando i social non erano diffusi. Ci si scambiava il numero di telefono, ci si organizzava insieme e ognuno portava il necessario per giocare. Era tutto basato sulla buona volontà dei partecipanti e ci si arrangiava un po’, tra la Casa dei Giochi [nota di Giuseppe: una struttura molto grande in zona Milano Nord, dove c’è anche l’associazione di giochi da tavolo di cui faccio parte, la Ludic] o le abitazioni private di membri del gruppo. Io ero molto timido e abitando a Piacenza dovevo utilizzare un treno o la mia auto per raggiungere ogni raduno. Però proprio così ho vinto anche la mia timidezza. Penso che i raduni, insomma, servono anche magari a mettersi in gioco, a trovare nuovi amici, persino a formare il carattere. All’epoca c’era molto elitismo vero, ma non sono mai stato maltrattato. Mi ricordo una frase di un giocatore della scena di Pavia che, durante un match, mi disse “Fai poche prese”. Detto così, come a dire “non farti problemi, gioca”. Me la ricordo ancora. Già all’epoca c’era chi dava sempre un consiglio, anche se ti sentivi un po’ in imbarazzo a chiedere a questi che vedevi come “mostri sacri” che giocavano sempre tra loro e apparivano un po’ snob perché si allenavano costantemente per andare a quello che era il torneo Work-Up di Cannes. Ricordo anche tante divisioni tra le community nazionali: Milano, Roma e Napoli facevano le loro squadre di rappresentanza, basate sul niente, per sfidarsi. Oggi invece la scena è molto più aperta e propositiva. Ma ricordo ancora i ritrovi al campetto di tennis di un membro del gruppo, la cripta della Casa dei Giochi, il Lobby a Rovereto.. e poi da lì è partito il motore che ci ha portato ad oggi. Street Fighter V ha democratizzato il gioco ancora più del quarto episodio. 

La foto di rito ufficiale alla fine del sesto Redline, con i vincitori e team SYG organizzatore.

Io: E poi l’online del V faceva un po’ pena, rinforzando la voglia di giocare insieme. 

Lorenzo: Il netcode del IV era diverso. Laggava magari a uno ma l’altro no. Con Street Fighter V la situazione poteva essere brutta per entrambi i giocatori.

Io: Vi farò ora una domanda scomoda: ma chi ve lo fa fare? Mi spiego: vi conosco e vedo che avete sempre voglia di fare di più. Eppure abbiamo già i raduni, avete aiutato a far emergere Garnet, potreste accontentarvi così. Invece, appunto, noto questa vostra spinta ad alzare le varie asticelle, comprese quelle di tutta la community milanese e italiana. 

Aldo:  Io credo che alla base di tutto sia subentrata proprio l'amicizia tra noi che organizzavamo raduni: insomma, il rapporto che c’è tra me, Lorenzo, Diego e Bert. Ci siamo scontrati mille volte, su mille motivi, ma alla fine ha sempre prevalso la nostra amicizia, e si è consolidata tanto. Per noi è diventata quasi una missione: mi spiace molto, ad esempio, che Bert non abiti più a Milano, forse era il membro del gruppo che più trainava la scena. Ringrazio ovviamente anche Lorenzo perché io e Diego abitiamo poco fuori Milano, mentre lui ogni volta si spara dei viaggi da Piacenza. Ovvio, facciamo tutto ciò perché è la nostra passione, perché ci piace Street Fighter. Ma forse ancor più la voglia di condividere. Io ai raduni in realtà gioco pochissimo perché sono sempre “di servizio”: aiuto a sistemare il controller di qualcuno, devo aprire la porta all’ultimo arrivato a turno con Diego.. alla fine noi che organizziamo siamo quelli che meno usufruiscono del raduno, anche se paghiamo la quota alla struttura che ci ospita come tutti gli altri. Ma il punto forse è questo: ci teniamo a fare le cose per bene. Sin dal nostro primo torneo Redline l’obiettivo non è mai stato avere più persone possibili, ma capire cosa possiamo migliorare dall’esperienza precedente, come rendere i raduni ancora più belli, aggiungendo ogni volta qualcosa in più: vogliamo dare alle persone un'esperienza positiva. Non è un caso che dopo i raduni poi si finisce insieme a mangiare una pizza, non sono solo momenti in cui arrivi, giochi e te ne vai. [nota di Giuseppe: io sono invece quello che se ne va prima perché Cologno Nord con i mezzi non è proprio dietro l’angolo… ]. Un raduno è anche un momento in cui ci si vede, si beve e scherza insieme. Qualcosa di più. 

Giuseppe: Un ricordo che ho ancora molto vivo è quello di un Redline, non rammento l’edizione precisa, in cui avevate creato una postazione stream per diffondere i match più importanti su Twitch. E ricordo che la postazione cominciava ad avere alcuni piccoli problemi tecnici, di quelli che però possono capitare in un evento con decine e decine di dispositivi accessi per tanto tempo incessantemente. Io pensavo, forse ingenuamente, anche in quel caso… ma chi ve lo fa fare di sistemare quella postazione e continuare a streammare quando sarebbe semplicemente bastato spostare il match su un altro tavolo? 

Aldo: Questo è ciò che intendo quando parlo di fare eventi sempre più belli. Adesso che anche Diego ha iniziato a seguirmi in tornei all’estero anche lui può capire meglio che intendo. Abbiamo sempre organizzato i nostri tornei Redline “alla buona”, mettendoci tanto impegno ma con i mezzi limitati che abbiamo, magari facendoci prima prestare qualcosa, poi comprandone altre nel tempo, fino ad avere oggi una buona strumentazione. Quando ho cominciato però a seguire Garnet nei suoi tornei internazionali ho iniziato a vedere quello che da noi sarebbe considerato fantascienza. Non parlo tanto dei tornei in USA o Giappone, ma magari quelli della vicina Francia: se vai al loro torneo UFA… è uno shock. Se pensavi che fare il Redline fosse una figata, capisci che invece è poco più di un normale raduno francese. I loro tornei hanno mille persone divise tra vari sistemi, palazzetti dedicati, aziende professionali alla regia. Noi facciamo tutto da soli. Ma in questo modo ciascuno ha imparato sul campo a farlo al meglio. Abbiamo anche delle figure di “Backup” a cominciare da Bert e Dannolo come tournament organizer, Aku e Alessandro (il fratello di Lorenzo), alla regia degli Stream… ogni volta ampliamo sia il team che le risorse insomma. Sembra quasi un viaggio che stiamo costruendo nel tempo. Ogni tanto ci sono dei momenti di sconforto, ma quando si avvicina il nuovo Redline vuoi che questo sia fatto al meglio delle nostre possibilità e oltre. Ci metti tanto tempo, anche soldi, per fare in modo che tutti poi dopo il torneo tornino a casa contenti, pensando “cavolo, che bella esperienza”. Questo alla fine è il nostro obiettivo.

Giuseppe: Vero. Io non ho mai tanta voglia di giocare a Street Fighter come subito dopo un raduno o torneo. Ti lascia su quella brace agonistica, ma positiva, di provare a fare un po’ meglio la prossima volta.

Diego: Mi aggancio a ciò che diceva Aldo. Una delle grandi soddisfazioni, sin dai primi raduni e tornei, è proprio vedere tutti i partecipanti avere un bel ricordo comune condiviso... proprio grazie alle occasioni che abbiamo creato. A volte pensando anche che senza il nostro impegno questo ricordo, questa esperienza anche formativa [nota di Giuseppe: ci sono anche persone piuttosto giovani nella community], non sarebbe mai avvenuta. Magari è la mia età che comincia ad essere un po’ avanzata ecco, però questo pensiero quasi “paterno” di aver aiutato loro a creare ricordi e anche amicizie è uno degli aspetti più belli. La creazione dell’associazione sportiva per me si collega proprio a questo: nella soddisfazione che ci dà questo hobby, che facciamo comunque a tempo e fondi persi, nel vedere ragazzi che grazie ai raduni stringono rapporti che probabilmente non avrebbero vissuto senza il nostro impegno. Senza la creazione di un luogo e un tempo per permettere loro di conoscersi. Lorenzo, vuoi aggiungere qualcosa?

Lore:  Ogni volta che finiamo un torneo ci diciamo tra noi che è l’ultimo, poi Aldo ci contatta e ne parte subito un altro.  Il Redline 5 è stato un disastro con i PC, invece l’edizione successiva tutto bene e poche rogne.. e ho detto “finalmente”! Ero già pronto a lanciare tutti i santi del calendario ma alla fine continuiamo sempre perché la cosa ci diverte, anche se mettiamo molto in discussione per organizzarlo: tempo, affetti, soldi. Però poi, come dicevano Aldo e Diego, vedere la gente soddisfatta che aspetta l’annuncio del prossimo torneo regala grande soddisfazione. E noi ci mettiamo sempre nel loro panni: come vorremmo che fosse un bel torneo? E pensiamo di aggiungere questo o quello. È fattibile? Proviamoci! Ogni volta aggiungiamo, insomma, qualcosa in più.

Giuseppe: Mi piace molto questo intervento perché emergono un po’ le due facce di ogni community: la mia, da utente, che dopo un torneo ne vorrei subito un altro e quella vostra, da organizzatori, che siete ormai stremati. Fa ben capire quanto dietro ogni evento, torneo o raduno che sia, c’è un grande sforzo di pochi che però va a beneficio del coinvolgimento di molti. E nessuno di voi organizza eventi di mestiere: non è affatto scontato, insomma, ciò che fate. Oltre ad approfittarne per ringraziarvi, spero che chi leggerà dell’intervista potrà magari aver voglia - a Milano o altrove - di trovare e perché no creare anche la sua community, non per forza legata a un picchiaduro o videogame. In un periodo dove il multiplayer è sempre più online per me la presenza di queste community dal vivo è ancora più importante. Anzi, personalmente, uno degli aspetti migliori è proprio usare l’online per estendere l’esperienza dei raduni anche durante gli altri giorni. 

Lore: Aiuta molto anche associare un volto alla persona che conosci online. Per esempio di Luca [altro membro della community milanese] avrei avuto un’opinione molto più negativa se non lo avessi conosciuto dal vivo. E invece quando ci incontriamo sempre risate, pacche sulle spalle, una birra insieme… anche se magari prima si è avuta una forte discussione online, dove puoi spesso travisare e avere impressioni molto più negative delle persone. 

Giuseppe: C’è stato qualche momento, oltre la stanchezza post-Redline, particolarmente sfidante, che vi ha fatto venire quasi voglia di mollare? Io ricordo il ciclo finale di Street Fighter V e l’uscita di Guilty Gear Strive, dove molti giocatori - me compreso - sono passati al gioco di Arksys. E ricordo raduni di SFV molto meno popolati del solito, proprio perché Strive era il gioco del momento. Ne ricordate altri?

Aldo: C'è stato il momento post COVID. Dovevamo ricominciare e Street Fighter V stava andando verso la fine del suo ciclo. I raduni erano un disastro perché per farli i locali ti chiedevano un minimo di persone, ma finivamo inclusi me, Diego e Lorenzo: quindi ci chiedevamo perché continuarli a fare, perché andare avanti, anche perché l’online di SFV era pietoso. Ricordo discussioni nelle nostre chat dove mi lamentavo che nessuno giocasse più: 75 nella chat di Milano e poi al massimo due o tre persone attive... insomma, il passaggio dal quinto al sesto episodio è stato veramente duro. Il successo di Street Fighter 6 ha trainato di nuovo la scena, è stato veramente una grazia perché se Capcom avesse fatto un gioco che fosse stato bello anche solo la metà sarebbe successo il disastro. Poi ci si è messo pure Tekken 8 che si è auto-sabotato portandoci ancora più gente. Potevamo davvero smettere di fare tutto, ma nella realtà abbiamo continuato con i raduni e l’online, creando anche un’edizione del torneo Redline via rete, tenendo vivo l'interesse. Se c'è un altro momento in cui le cose secondo me non stanno andando come vorremmo è proprio questo: a dicembre abbiamo il nuovo Redline, mancano meno di due mesi, e la quantità di iscritti è sotto le aspettative, soprattutto considerato che Street Fighter 6 è il picchiaduro più seguito al mondo. Nella chat di Milano abbiamo oltre 70 iscritti ma la maggioranza proviene dalla Sicilia. Mi chiedo come sia possibile, insomma; si fa fatica a tenere le persone concentrate su un gioco, tutti si spostano appena ne esce uno nuovo, anche se magari ritornano dopo un po’ di tempo.

A proposito di sperimentare: abbiamo dato spazio anche a Fatal Fury: City of the Wolves, che però non è decollato come ci si poteva aspettare.

Giuseppe: Verissimo: c'è tanta voglia di sperimentare. Spesso chi ama i picchiaduro ama l’intero genere, per poi focalizzarsi su altro. 

Aldo: In un momento in cui ci si aspetta di avere determinati risultati -  ricordo sempre che non stiamo parlando di quelli economici, ma di partecipazione per risultare appetibile magari anche per giocatori stranieri. Abbiamo persino un montepremi di 1.200 euro, e in alcuni tornei offline esteri queste cifre non ci sono, ma noi vogliamo offrire una cifra che aumenti la voglia di competere anche dal punto di vista sportivo. Eppure, ogni anno finiamo per rastrellare le persone, quelle che oggi magari si dedicano a 2XKO… per poi magari smettere fra sei mesi e tornare a giocare a Street Fighter 6. E porca miseria, almeno prova a partecipare anche al Redline per dimostrare supporto!

Diego: La vera risposta è che il momento più difficile è tutti i giorni. Noi dietro le quinte ci iscriviamo tutti i giorni, abbiamo sempre delle robe da seguire. Dobbiamo costantemente impegnare energia, tutti i giorni, per tenere in qualche modo alta l'attenzione. Vediamo una certa mancanza di nuovi Aldo, nuovi Diego, nuovi Lorenzo che possano subentrare anche loro con delle forze fresche. Ci sembra di essere sempre noi a tirare la carretta e ci chiediamo spesso cosa sarebbe successo se non avessimo messo tutte queste risorse ed energie in questi anni. Dobbiamo magari scrivere per invogliare di partecipare ai tornei, reminder per i pagamenti dei raduni, persino per raccogliere adesioni al sondaggio per decidere il giorno del raduno stesso… tutto ciò, moltiplicato per ogni aspetto organizzativo. Per ampliare la community vogliamo avere un canale Twitch operativo, per esempio. Quindi al di là dei momenti davvero critici prima citati, ogni giorno è un po’ una battaglia. Noi abbiamo una programmazione di eventi per i prossimi sei mesi, tra cui la prossima SYG Cup (torneo nazionale online breve ma intenso) a gennaio. Sarebbe sicuramente più facile per noi avere un maggiore trasporto e una maggiore attività da parte dei ragazzi di Milano, ma non in generale di tutta la community italiana. Sembra proprio che l’attenzione sia davvero ondivaga. A volte manca e la sfida più difficile è proprio quella di riaccenderla quotidianamente. 

Giuseppe: Forse la vostra voglia di fare sempre più fa che tutti gli altri, me compreso, vivono un po’ nella bambagia. Praticamente uno scomodo complimento: fate così tanto, così spesso, da così tanto tempo che tutti ci adagiamo. Sappiamo che tanto ci sarà Diego a ricordarci del prossimo raduno, Aldo che fa le dirette e via discorrendo. Posso solo immaginare la frustrazione che spunta, alle volte. Ma avete citato anche Twitch e volevo approfondire questo punto. Avete cominciato a diffondere in diretta i tornei del Redline appoggiandovi a canali di altri, ma da qualche tempo ne avete invece creato uno proprietario. Secondo voi la piattaforma quanto può aiutare a portare - intendo fisicamente - persone ai raduni o in generale agli eventi della community?

Lorenzo: Su Twitch raccontiamo il dietro le quinte, facciamo vedere per esempio Garnet che gioca, oppure io e Diego che commentiamo i tornei internazionali… o anche le esperienze di tutto il team quando va all'estero. Spieghiamo cosa succede nel mondo di Street Fighter anche oltre il gioco online o i nostri raduni e tornei;  è quasi un mezzo di divulgazione, su cui stiamo investendo molte energie: Aldo ha persino preso un ufficio apposito al Namiex dove ha creato la postazione stream con PC, PlayStation 5, videocamere. Stiamo, insomma, investendo tempo ed energie per arrivare a quei ragazzini che magari non conoscono questi aspetti dello streaming oltre alle partite su Twitch. Abbiamo anche dei canali Discord e YouTube dove carichiamo i V.O.D., così magari qualcuno vede Garnet alla Capcom Cup e da qui si crea un “gancio”. Oltre a essere un modo per far entrare due soldini in più; ma davvero due, eh. Si tratta di un sistema di divulgazione per far crescere la scena a Milano e in Italia; uno dei video, mi pare uno dei primi, vede Garnet spiegare in maniera approfondita come ci si allena al meglio su Street Fighter 6

Giuseppe: Rispetto ad altri paesi dove le community sono più attive e sviluppate, noi siamo un po’ ancora nella fase della divulgazione; quello che avete fatto con Garnet, ad esempio i giocatori pro all'estero lo vendono in corsi privati a caro prezzo

Lorenzo: Quello dei picchiaduro non è un genere banale. È una sfida con se stessi e con gli altri. Poi se vuoi viaggiare e hai spirito di competizione, come Garnet, c’è anche la componente e-sport. Ma la parte di socializzazione è importante. Credo che in generale nei picchiaduro bisogna avere costanza. Se c’è qualche aspetto del gioco che magari non convince bisogna sapere guardare al resto e apprezzare ciò che ti offre. A volte credo che chi apprezza i picchiaduro, magari a livello superficiale, ha quasi paura ad esplorarli. 

Giuseppe: Concordo. Io credo che, magari con un po’ di impegno, in un picchiaduro fai in modo che quel gioco e il suo divertimento di fatto “duri” per anni e anni, anche sei o sette. Vedi ad esempio Third Strike, ancora oggi giocato con raduni e tornei dopo oltre venti anni dall’uscita. Non è affatto banale in un momento dove molti giochi sembrano quasi “usa e getta”. Con un pizzico di impegno e dedizione in più, ti dà anche tante occasioni di divertirti con altri. 

Diego: Volevo aggiungere qualcosa. Pensiamo che Twitch e lo streaming siano fondamentali per la divulgazione più corretta possibile del gioco. Ma è difficile avere dei “ritorni” quando crei contenuti positivi, ragionati e propositivi come le lezioni di Garnet o i nostri resoconti dai raduni esteri… contenuti che comunque richiedono un certo impegno, quando sembra anche nella FGC che è più facile avere dei feedback e “successo” se ti limiti a fare dei semplici contenuti denigratori o comunque distruttivi. La polemica sembra premiare molto di più, quando ci vogliono dieci volte più sforzi e fatica per i contenuti più costruttivi. 

La postazione stream ai tornei. Sembra una cosa banale, ma non è affatto facile da organizzare senza creare problemi ai player.

Aldo: Abbiamo deciso di fare lezioni pubbliche di Street Fighter 6 su Twitch perché, viaggiando molto, io e Garnet abbiamo notato una grande differenza di livello tra il giocatore medio italiano e quella estero. Quest’ultimo spesso conosce il gioco in maniera molto più approfondita; in genere sono più informati e anche più appassionati. Noi abbiamo sempre seguito, anche anni fa, le Capcom Cup, fatto nottate per vedere i vari EVO [nota di Giuseppe: si intende per imparare ancora di più vedendo chi è bravo al gioco]. Oggi invece chi gioca in Italia sembra seguire con meno trasporto: magari parlano molto, scrivono tanto, ma conoscono poco. Noi proviamo con il nostro contributo a raccontare ciò che accade nei vari tornei mondiali, i dietro le quinte, di insegnare anche con Garnet qualcosa di più “avanzato”. Io non ho delle buone mani, ma a furia di seguire Garnet e i suoi tornei, vedendo e incontrando giocatori di altissimo livello, comprendo meglio il gioco e so distinguere in game chi davvero lo conosce e chi no. Ancor più quando ne sento parlare, di Street Fighter 6. A furia di viaggiare e vedere Garnet contornato dai più grandi giocatori giapponesi in attività vedi le giocate più giuste e il modo migliore di combattere. All’EVO che si è appena tenuto in Francia, Garnet è stato letteralmente inseguito da giocatori del calibro di Ryusei e Kawano per fare pratica con Dhalsim (il personaggio principale di Garnet) e affrontare poi Mr Crimson (uno dei più grandi giocatori di Dhalsim in attività e uno dei più forti player di Street Fighter d’Europa). Cerchiamo di trasmettere tutto ciò e insegnare quanto più possibile a chiunque, perché Garnet sta diventando sempre più bravo ma in Italia non c’è al momento nessun altro a quel livello. Abbiamo un giocatore davvero forte... ma se gli passa la voglia di dedicarsi al gioco, non abbiamo davvero nessuno di bravo. Quando poi magari ai raduni o nelle chat dico “evitate di fare questo”, “toglietevi questa brutta abitudine in gioco” [nd Giuseppe: io sono spesso il destinatario di questi messaggi], lo dico perché punto ad avere ancora più persone che apprezzano e comprendono il titolo anche a livelli più alti. Di non limitarsi a vincere la partita sul momento ma a migliorare davvero. C’è chi nella community lo ha capito e chi invece resta fermo sulle sue posizioni. Garnet è l’unico pro player in Italia, ma forse perché è molto giovane o non ha ancora mai vinto un torneo “premiere”, si mette quasi sempre in discussione. Succedeva già ai tempi di Street Fighter V. A volte è stancante e mi chiedo perché insistere se poi quasi nulla viene recepito. 

Giuseppe: Secondo me una persona può anche decidere di non seguire i consigli, però non sempre metterli in discussione. Resta sua responsabilità però, senza pensare di avere ragione pur di non assecondare quei suggerimenti. Secondo me, in generale, questo è uno degli aspetti migliori dei picchiaduro: l’avere diversi strati che permettono una conoscenza del gioco e dei suoi sistemi anche più avanzata. 

Lorenzo: è una questione un po’ di mentalità. Io credo che bisogna imparare a migliorare con il gioco che c’è, piuttosto che lamentarsi e desiderare un gioco che al momento non esiste. Ogni gioco ha i suoi difetti, ma io non posso certamente riscrivere il codice e preferisco imparare a gestire quelli che per me sono eventuali difetti e migliorare, come rispondere a quegli aspetti. Se pensi che tu fai tutto bene ma sia il gioco ad essere sbagliato… come ti spieghi allora i risultati di quelli più bravi di te? Hanno un altro gioco? O forse è questione di fortuna o genetica? Semplicemente, continuano ad apprezzare quanto di buono il gioco propone e provano a fare sempre meglio. Poi, ovvio, ogni gioco con le patch può migliorare sempre più, ma non ci sarà mai il gioco fatto su misura per ciascuno di noi. 

Giuseppe: Che poi è un po’ il bello dei picchiaduro anche tornare a un raduno o una lobby online e scoprire che ora padroneggi nuove cose o riesci a gestire meglio un personaggio avversario o una situazione che prima sembrava insormontabile. Questo lo impari proprio ai raduni o negli scambi con la community. Nelle ranked online dove fai due match e non vedi mai più quel giocatore è quasi impossibile. 

Aldo: A un raduno tra noi magari c’è Lorenzo che è più bravo e ti dà delle dritte. Quando vai poi a un torneo offline internazionale, ti siedi di fianco a Tokido [nd Giuseppe: praticamente un giocatore leggendario di Street Fighter, uno dei più forti e conosciuti al mondo]  e Daigo e gli chiedi dei feedback dopo una serie di match, loro ti fanno notare un aspetto del gioco che magari prima ignoravi e tu, subito, hai la spinta a implementare i loro suggerimenti. E loro stessi, il giorno successivo del torneo, notano se tu hai già seguito e assimilato le loro dritte. Garnet, ad esempio, è molto veloce a implementare questo tipo di modifiche al suo gioco. 

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Giuseppe: Ovviamente varia da persona a persona, ma i miglioramenti che puoi fare durante i tornei internazionali o gli incontri offline per me sono quasi impossibili online. Già è più complicato farlo in set di partite molto lunghe con giocatori o personaggi specifici online, figuriamoci nella modalità Classificata dove si tende a reiterare il proprio comportamento e cercare le scorciatoie più semplici pur di vincere facile. E poi quando incontri qualcuno che sa davvero giocare le prendi in malo modo. Comunque è bello anche questo altro aspetto della community: addirittura all’EVO Francia, dove ci sono professionisti e soldi in ballo, c’è la voglia e la disponibilità di scambiare consigli con quelli che sono potenzialmente dei tuoi “competitor”.

Aldo: Certo, non aiuti il tuo sfidante diretto. Però tutti giocano con tutti, ci si danno consigli; Rapps (un altro amico di Syg) ha filmato un’ora di video tra Kawano e Garnet che si allenano a vicenda. Quello è il vero modo per migliorare. Il training aiuta fino a un certo punto, ma avere un “essere umano” che usa quel personaggio al tuo fianco fa molto di più. Dopo una serie di match ci si scambia subito informazioni, cosa che online non è sempre possibile: finita la ranked, finita la stanza, non ci si rivede spesso mai più. Dal vivo, anche con eventuali barriere linguistiche, si va un attimo nel Training mode e si capisce tutto in modo più immediato. 

Giuseppe: Insomma, anche in quella che è la più grande competizione internazionale come l’EVO, quella che potrebbe apparire come il massimo della competitività tossica per chi non conosce la scena, emerge invece la voglia di aiutarsi a migliorare a vicenda.

Diego: Volevo sottolineare un paio di aspetti a riguardo, in particolare questa voglia di condivisione così forte, proprio per un implicito grande amore per il gioco, per competere con altri player altrettanto capaci. Si è sempre un po’ in modalità studio, perché sembra strano per chi mastica poco i picchiaduro, ma l’unico limite è il cielo. Si scoprono sempre nuove cose, c’è sempre qualcuno che sa qualcosa più di te e che può darti un consiglio... tutto parte proprio dalla voglia e dal piacere di imparare anche gli aspetti più minuti e specifici del gioco. Ci sono molte variabili, tra cui l’iniziale barriera dell’esecuzione, ma per quanto uno può essere fisicamente o biologicamente più veloce nell’eseguire certi input, c’è comunque un livello di conoscenza dietro meccaniche e personaggi, finanche quella un po’ matematica legata ai frame, per cui più conosci, più potenzialmente sei forte e preparato ad ogni match.  E poi c’è la componente psicologica: quanto velocemente riesci a comprendere i comportamenti unici del tuo avversario, per esempio. Magari con meno fondamentali o tecnica puoi comunque intrappolarlo e condizionarlo psicologicamente. Insomma c’è un mix molto affascinante e tanta voglia di imparare. E come corollario a tutto ciò c’è proprio la sportività, che mi ha impressionato sin da subito. In molti sport anche blasonati come il calcio mi sembra ce ne sia meno. Forse perché in questo caso parliamo di un videogame, quindi mediato da un software, ma dietro ogni scontro c’è sempre il riconoscimento della bravura dell’altro; non si notano mai denigrazioni o tentativi di sminuire il valore di una vittoria, né scuse come l’arbitro a sfavore o il rigore non fischiato. Anche nelle più grandi competizioni come l’EVO chi perde stringe la mano o abbraccia l’avversario, ammette la sconfitta: è un ambiente bello anche proprio da seguire. E lo notiamo anche da parte del pubblico che, per quanto magari possa spingere il giocatore locale, se questo viene sconfitto c’è sempre l’applauso per il vincitore. Tutto ciò restituisce l’impressione di un ambiente molto sano rispetto ad altri sport più tradizionali che conosco e ho frequentato: io ero molto appassionato di basket, per esempio, ma al palazzetto non ho mai visto molto apprezzamento per l’avversario o riconoscimento della vittoria altrui, a meno di prestazioni eccezionali tipo, che ne so, il giocatore avversario che fa 50 punti. L’ambito del competitivo e-sportivo per me è quasi una perla rara, mi fa molto piacere farne parte e abbiamo sempre più voglia proprio perché vediamo questo tipo di atteggiamento.
Aldo: Anche a livello di inclusività. Nella FGC non si pensa all’identità, all’etnia o al genere del player: non interessa. È un ambiente dove trovi davvero di tutto e non ho mai sentito di prese in giro legate a certi aspetti. Credo davvero sia uno degli ambienti più inclusivi mai visti e lo noto sempre più ad ogni torneo estero che seguo di persona. Se in alcuni ambienti l’inclusività può sembrare forzata, in quello dei picchiaduro ci sono una libertà e un rispetto totale.

Dopo questa domanda abbiamo continuato a chiacchierare un po’ fino a chiudere la registrazione. Ed è vero, nella mia esperienza non ho mai assistito a nessuna forma di discriminazione o denigrazione nei raduni e nei tornei dal vivo. Non riporto esempi specifici per rispettare la privacy delle persone, ma veramente si vive in un ambiente estremamente distante dalla tossicità online che talvolta può trasparire da alcune chat in game. E anzi, mi spiace se altri hanno avuto esperienze diverse dalle mie, davvero.  Perché alla fine il bello della community di picchiaduro, che sia quella che ho trovato a Milano o che mi hanno raccontato dalle altre parti del mondo, è proprio qui: il piacere di condividere un momento in cui, insieme a tanti altri, si gioca al proprio videogame di riferimento; è il collante che supera tante altre differenze. Insomma, trovate la vostra community locale. Andate ai raduni. Provateci: è un piccolo sforzo, lo so, ma potrete incrociare un ambiente in grado di sorprendervi; e nel peggiore dei casi, avrete comunque passato una serata o un pomeriggio facendo ciò che comunque già amate. Ora però devo staccare: mentre sto scrivendo è sabato 25 ottobre, e tra tre ore circa inizia il nuovo raduno.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al multiplayer, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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