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Street Fighter II: Special Champion Edition, l’elefante che scassò di botte la stanza | Racconti dall'ospizio

Street Fighter II: Special Champion Edition, l’elefante che scassò di botte la stanza | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Nel 1992, la lineup del Sega Mega Drive scoppiava di salute. Sonic, dopo aver messo un bel punto a tutta la faccenda delle mascotte, usciva con un secondo episodio da molti considerato il migliore della cucciolata. Gli amanti degli sparatutto sbavavano davanti ai livelli di parallasse di Thunder Force IV, pure lui testa di serie, mentre chi preferiva menare a scorrimento, beh, poteva sollazzarsi con Streets of Rage 2, che – indovinate – secondo un sacco di gente era il più riuscito dei tr... Quattro. Quattro.

Eppoi le chicchette tipo Landstalker o Ecco the Dolphin, che, come mi ha spiegato di recente il Bellotta, è passato alla storia come campione del vaporwave. Lo strampalato Kid Chameleon, Alisia Dragoon, World of Illusion e, insomma, un sacco di giochi che, mica per niente, sono stati infilati nella lista del Mega Drive Mini. Si potrebbe quasi dire che il 1992 sia stato l’anno migliore dell’era a sedici bit di Sega, se non fosse per un piccolo, piccolissimo, microscopico bug.

Ecco...

Un bug di menare. All’inizio di giugno, Capcom aveva spadellato sulle console Nintendo una conversione miracolosa, al limite dell’arcade perfect, del titolo del momento. Street Fighter II per Super Nintendo fece gridare al miracolo critica e giocatori e divenne subito una killer app.

In Italia - e se non proprio in tutta Italia, a Como, e se non proprio in tutta Como, perlomeno nella cintura Albate/Muggiò/Bassone - grazie al mercato parallelo e agli adattatori, ché la versione PAL regolare si fece viva soltanto a Natale, quella passò alla storia come l’estate di Street Fighter II.

Il bar ci aveva fornito i rudimenti, è vero, ma la versione domestica sapeva di libertà. È stato col joypad dello SNES in mano che molti di noi hanno iniziato a padroneggiare sul serio il gioco. A smettere di sfoggiare Hadouken e Shoryuken a caso, solo per pavoneggiarsi, e ad integrare le tecniche speciali e le prese nel ritmo della battaglia. A costruirsi uno stile.

Immagine: Albate (CO), estate 1992, dei ragazzini festeggiano dopo aver costruito una piccola diga.

La versione casalinga finì per valorizzare anche le peculiarità del roster, e molti di coloro che erano partiti con Ryu o Ken per “fare la bolla”, senza più l’ansia da prestazione di bar e sale giochi, intrigati dalla possibilità di usare il player 2 come dummy, iniziarono a sperimentare. A studiare il bilanciamento di ciascun personaggio. A scoprire che, magari, per impostazione e sensibilità personale, Dhalsim o Blanka potevano rivelarsi delle scelte più produttive o divertenti, rispetto ai soliti stronzi con i loro Tatsumaki Senpukyakuppeppepeppèpeppè.

Detto questo, nonostante ci sia molto affezionato, non era per parlare di Street Fighter II per SNES che ho attaccato questo pezzo, ché alla fine la cover story acconcia l’abbiamo pure già fatta. Era per parlare della versione per Mega Drive. Solo che nel 1992 la versione per Mega Drive, uh, non esisteva, e i proprietari della console Sega, ancora mezzi sbronzi della popolarità di Golden Axe, si trovarono all’improvviso la casa vuota e, col capo chino, furono costretti a imbucarsi alle feste dei vicini nintendari.

Possessore di SNES nel 1992.

SEGA doveva assolutamente fare qualcosa, ché altrimenti la console war rischiava di finire male, con buona pace dei Sonic, dei Thunder Force e degli Ecco, ecco.

E qualcosa fece, grazie al cielo. O, meglio, la fece Capcom, che tra il settembre e l’ottobre del 1993 regalò al mondo Street Fighter II: Special Champion Edition, ospitato da una cartuccia bella cicciotta da 24 Megabit, contro i 16 della liscia per Super Nintendo, e forte di alcuni importanti miglioramenti rispetto alla versione per PC Engine uscita qualche mese prima, e persino rispetto al coin-op.

Lo “special” nel titolo era piuttosto indiziario, in effetti, e stava lì a giustificare la presenza della cosiddetta modalità hyper, che una volta puntata, sbloccava le caratteristiche della versione Hyper Fighting, alla quale aggiungeva la possibilità di selezionare fino a dieci stelline di velocità, a dispetto della conversione per SNES uscita appena due mesi prima - eggià - nella quale era necessario ricorrere a un trucco per sfondare la barriera delle quattro.

Vedeste come filano!

A generare questo ibrido era stato proprio l’annuncio di Street Fighter II Turbo: Hyper Fighting. Originariamente, su Mega Drive sarebbe dovuta sbucare la Champion Edition para para a quella del PC Engine, ma non appena intuita la mossa della rivale, Sega premette su Capcom per ritardare l’uscita e potenziare il pacchetto. Alla fine il gioco arrivò, fu un grande successo e vissero tutti felici e contenti.

O quasi. Per tornare a correre nelle prime posizioni, a SEGA mancava ancora un punto: il pad. Sì, perché i due Street Fighter per SNES potevano comunque contare sul controller a sei tasti progettato dai lungimiranti designer di Kyoto, e ovviamente perfetto per la bisogna. Diversamente, il pad a tre tasti del Mega Drive, così come quello del PC Engine, obbligava il giocatore a passare, nel bel mezzo della lotta, dai calci ai pugni attraverso il tasto di selezione, cosa che ammazzava il ritmo di gioco.

Va detto che, da ragazzino, ogni volta leggevo ‘sta roba sulle riviste, facevo spallucce e pensavo «Macchissenefrega, è la Champion Edition, figata». Eppure, quando un paio di mesi fa mi sono trovato davanti alla cartuccia per PC Engine, ho sperimentato tutta la frustrazione e la macchinosità della soluzione e mi sono risolto a recuperare su eBay un ottimo Avenue Pad 6 dotato di sei tasti, di quelli lanciati da NEC nel 1993, proprio per ovviare ai limiti del controller originale.

Vari trionfi di design.

Fortunatamente, per accontentare i suoi utenti, anche SEGA accompagnò l’uscita di Street Fighter II Special Champion Edition con un controller adeguato, noto come SJ-6000 in Giappone e MK-1653 nel resto del mondo. In definitiva, quindi, è anche merito di Capcom e della moda per i picchiaduro a incontri degli anni Novanta, se i controller a sei - o più - tasti sono diventati uno standard.

E pure oggi, per far sentire a proprio agio gli utenti del Sega Mega Drive Mini, Retro-Bit ha già messo in vendita per una ventina di euro un apposito pad potenziato, simile a quello che i giapponesi troveranno di serie direttamente nella confezione: Rokudenashi!

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al Sega Mega Drive (Mini e non), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

Mega Sport | Racconti dall'ospizio

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