In Spider-Man 2 Peter Parker è un perdente di successo
Il primo film di Spider-Man, quello dell’accoppiata vincente Sam Raimi e Tobey Maguire, lo vidi durante le vacanze di Natale del 2002, quando a casa mia arrivò finalmente PlayStation 2 con il film in DVD con tanto di custodia in cartone (cosa che ho sempre detestato nelle versioni home video, per la facilità con cui si possano rovinare, ma facevano tanto figo all’epoca). Sarà stato anche per il fatto che fosse il primissimo film in DVD che guardavo, sarà che in quel periodo gli effetti speciali sembravano veramente incredibili, sarà che ne avevo sentito parlare bene praticamente ovunque, ma Spider-Man era veramente un gran bel film, una origin story sapientemente confezionata dove il lato umano di un Peter Parker giovanissimo (anche se sembrava già un quasi trentenne) alle prese con i primi turbamenti amorosi, la fine del liceo e l’inizio del college e la morte dello zio Ben, si sposava bene con quello dell’eroe in calzamaglia rossoblu.
Il film di Raimi mi fece avvicinare ai cinecomic, genere fiorente in quegli anni, facendomi non dico innamorare ma quasi di film come Blade II e i primi due X-Men di Bryan Singer. Ero entrato in contatto anche con monnezza quale Catwoman e l’insipido Daredevil con Ben Affleck, però non tutte le ciambelle riescono col buco. Ma Spider-Man 2, uscito qui in Italia quasi ventuno anni fa, avrebbe cambiato praticamente tutto.
Il secondo film della trilogia targata Raimi non era un film sull’eroe, ma sull’uomo. Non su Spider-Man, ma su Peter Parker. Un supereroe con superproblemi, si potrebbe dire, ma, più realisticamente, le vicende di un ragazzo che faceva molta fatica a stare al mondo.
A Peter va tutto storto, e ha una dose di sfortuna forse seconda solo a quella del buon Paolino Paperino. Ha due lavori, uno come fattorino delle pizze perennemente in ritardo, che perde praticamente all’inizio del film, e uno come fotografo al Daily Bugle, costantemente vessato dal macchiettistico direttore J. Jonah Jameson. Vive in un tugurio, è sempre indietro con l’affitto, perde molte lezioni al college rischiando la bocciatura, deve sostenere zia May che economicamente sta anche peggio di lui e ha compromesso pesantemente i rapporti con Harry Osborn, ancora affranto dalla morte del padre (che crede essere stato ucciso da Spider-Man, di cui Peter è il fotografo ufficiale) e soprattutto con Mary Jane, che ama ancora ma alla quale ha rinunciato perché una relazione con lei la metterebbe in pericolo proprio a causa della sua doppia vita.
Si potrebbe obiettare che, pur con tutte le cose che gli girano storte, Peter Parker è pur sempre Spider-Man. Un Dio fra gli uomini, come direbbe Patriota di The Boys, che potrebbe, volendo, prendere a calci tutti quelli che lo hanno calpestato, dal proprietario della pizzeria che lo ha licenziato fino al bamboccio che gli ha rubato Mary Jane.
Oltre al fatto che Peter non userebbe mai le sue abilità per compiere azioni malvagie, sono proprio i suoi poteri la causa di tutti i suoi guai. Essere Spider-Man è diventato ormai un peso più che un dono per il ragazzo del Queens, perché proprio il suo voler cercare di salvare continuamente tutti e rendere New York una città migliore lo fa arrivare perennemente in ritardo al lavoro e al college, lo ha costretto a rinunciare a Mary Jane e ha compromesso l’amicizia con Harry. Peter continua a sentirsi in colpa per la morte dello zio Ben, cosa che confesserà a zia May, allontanando in parte anche lei. Dopo aver momentaneamente perso i poteri, Peter, ormai rimasto completamente solo, senza un dollaro, quasi disoccupato e sull’orlo dello sfratto, dopo aver dovuto persino fotografare l’amore della sua vita insieme al futuro marito, decide di fare l’unica cosa che gli potrebbe permettere di ripartire e tentare di tornare alla normalità: abbandonare per sempre l’identità di Spider-Man, gettare nella monnezza l’iconico costume, e infischiarsene dei problemi degli altri, pensando solamente a sé stesso.
Ed è proprio da quando Peter comincia a fregarsene degli altri e a pensare a sé stesso che le cose cominciano lentamente a migliorare: frequenta regolarmente le lezioni, non ha più quell’aria da zombi di chi sembra non dormire mai e prova a ricostruire i legami con le persone a lui care, seppur con grandi difficoltà.
Ma un’altra lezione che Spider-Man 2 sembra volerci insegnare è che non possiamo cambiare ciò che siamo. Il ritrovato benessere di Peter è solo illusorio. Dentro di sé cova sempre quel senso di giustizia e quella voglia di fare la cosa giusta che solo i veri eroi hanno, e lo dimostra il fatto che Peter abbia salvato una bambina da una casa in fiamme da semplice uomo, rischiando la propria vita.
Mai fu più azzeccato quel “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.
Peter non ha scelto di essere un eroe, lo è sempre stato, e i suoi poteri hanno fatto solo emergere ciò che dentro di sé ha sempre avuto.
Rispetto al teatrale Green Goblin di Norman Osborn, il Dock Ock del professor Octavius è allo stesso tempo un mentore per Peter e un contraltare per Spider-Man. Se lo scienziato ricorda al giovane Parker quanto l’intelligenza sia un dono che va usato per fare del bene e che l’amore è una cosa talmente forte che se tenuta dentro può solo fare ammalare, il supercattivo gli dimostra che un grande potere può corrompere anche il più nobile degli animi e la più brillante delle menti. Tant’è, che nella parte finale del film, dopo che eroe e cattivo si sono affrontati, Peter si toglie la maschera e si rivolge non a Dock Ock ma al professor Octavius e alla sua ritrovata umanità per salvare New York dalla follia che egli stesso ha messo in atto.
Alla fine, Peter accetta finalmente la sua natura, con tutte le sue sfumature e le sue complessità: quella di un ragazzo comune, rimasto orfano, di ceto basso, troppo buono come persona per non essere maltrattato da una vita che non fa sconti a nessuno ma che gli ha regalato una mente brillante e un potere che non può rigettare e che non potrà mai usare in maniera differente che non sia per fare del bene, rassegnandosi al fatto che i suoi legami affettivi saranno sempre messi in pericolo dal suo essere Spider-Man.
E poi, beh, in tutto questo c’è di mezzo molto altro che rende questo lungometraggio memorabile dopo più di vent’anni. Dalla sequenza che vede Dock Ock fuggire dall’ospedale, con più di una venatura horror, fino alle scazzottate fra Spidey e il suo nemico, con quel salvataggio del treno che rimane probabilmente la sequenza migliore dell’intero film.
Spider-Man 2 è un film intimista, per certi versi malinconico, che racconta soprattutto e prima di tutto cosa voglia dire essere un uomo prima di essere un eroe. Un film che i Marvel Studios si sognano, e che molto probabilmente si sogneranno per parecchio tempo.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al colore rosso, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.