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A Jurassic World - Il regno distrutto manca giusto il mercante di Resident Evil 4

A Jurassic World - Il regno distrutto manca giusto il mercante di Resident Evil 4

È strano, ma per provare a venire a capo di Jurassic World - Il regno distrutto mi viene comodo partire da Resident Evil 4. Quando nei primi Duemila Shinji Mikami decise di far svoltare il gameplay e le atmosfere della saga che aveva contribuito a creare qualche anno prima, si caricò in groppa un bel rischio. Non era scontato che il pubblico avrebbe gradito la visuale in terza persona, con tutte quelle nuove manovre action, e ancora meno la sostituzione dei classici zombi à la Romero con i vari ganados. Senza contare le grane a cui andava incontro il team sul piano dello sviluppo.

Ecco, Il regno distrutto ha davvero molto in comune con il capolavoro di Mikami: in primo luogo lo ricorda moltissimo a livello di atmosfere, soprattutto nella parte finale; inoltre, ne condivide la vocazione al cambiamento. La grossa differenza tra le due opere, ahimè, è che il film di J.A. Bayona, nonostante il coraggio e una discreta personalità, è molto lontano dal definirsi riuscito.

E se lo chiedete a me, è un peccato. Un peccato perché la presenza del regista spagnolo (Sette minuti dopo la mezzanotte, The Impossible) dietro la macchina da presa lasciava ben sperare, e in effetti l’attacco del film non è poi così male: tre anni dopo i pasticci di Jurassic World, l’addestratore di raptor Owen Grady (Chris Pratt) e l’ex impiegata del parco Claire Dearing (Bryce Dallas Howard) vengono nuovamente trascinati a Isla Nublar da un ex socio di John Hammond, Benjamin Lockwood (James Cromwell), e dal suo pupillo Eli Mills (Rafe Spall). A quanto pare, l’eruzione di un vulcano sta per mettere in pericolo i dinosauri rimasti in vita, tra cui il velociraptor “domestico” Blue, e l’idea del magnate sarebbe quella di portarli in salvo. Tutto molto bello e nobile, se non fosse per la teoria del caos e per gli stronzi, che si mettono sempre in mezzo.

Ecco, da queste premesse - il problema della gestione e della sopravvivenza dei bestioni preistorici nel mondo moderno e tutto il resto - gli sceneggiatori Colin Trevorrow (già regista del precedente film della serie) e Derek Connolly prendono il la per uscire un po’ dalle solite mura del parco e indagare - a livello diegetico, s’intende - l’impatto sociale, politico e culturale che la trovata di Hammond ha avuto sul pianeta.

Attraverso un breve cameo, un redivivo e brizzolato Ian Malcom (Jeff Goldblum, chiaramente) ribadisce per l’ennesima volta i rischi di un’accelerazione scientifica tanto scriteriata. E mentre in televisione si parla dell’inquadramento giuridico dei dinosauri, Claire – che ora guida il Dinosaur Protection Group - osserva che «là fuori c’è un’intera generazione cresciuta in presenza dei dinosauri».

«Dopo Il regno distrutto, basta con gli ibridi di dinosauro!», minaccia Colin Trevorrow, in odore di minchiata.

A livello politico, le similitudini con la nuova trilogia de Il pianeta delle scimmie si sprecano; tuttavia, i problemi de Il regno distrutto non stanno tanto nell’originalità del concept, ma piuttosto nello svolgimento. Non appena la storia prende il largo, iniziano a fioccare le trovate più grossolane, tra questo tizio e quell’altro che si comportano irragionevolmente (siamo a un passo da Prometheus), plot twist al limite della coerenza ed elementi che sembrano buttati lì a casaccio.

Di certo, la costruzione dei personaggi non aiuta. La coppia Owen e Claire, lasciatasi alle spalle la fase “All'inseguimento della pietra verde + King Kong”, non riesce a calarsi nella dimensione adulta e para-genitoriale prevista dal nuovo film. Oddio, forse Bryce Dallas Howard si dimostra in effetti un po’ più flessibile del suo partner, Chris Pratt, che per quanto ci provi, non riesce a emanciparsi dal ruolo di cazzone. Ogni volta che le esigenze drammatiche lo vorrebbero corrucciato, finisce per ricordare in maniera preoccupante lo Ian Ziering dei vari Sharknado.

Non se la passano meglio gli antagonisti. E non tanto per le interpretazioni di Toby Jones e Rafe Spall, che tutto sommato stanno a galla, ma per le situazioni che li vedono coinvolti, sospese tra il melodramma, la comicità involontaria e il nonsense. Dico, tutta la parte dell’asta è cosa che non è cosa, e riguardo ai loro piani malvagi: non sarebbe stato meglio se… ?

«Basito lui, basita lei, macchina da presa fissa, luce un po' smarmellata e daje tutti che abbiamo fatto!»

Gli unici a non uscirne a pezzi sono i giovani assistenti di Claire, la paleo-veterinaria Zia Rodriguez (Daniella Pineda) e Franklin (Justice Smith). Toh, infilo nel mazzo pure il miliardario Benjamin Lockwood - più che altro perché ha la faccia di James Cromwell - e sua nipote Maisie (Isabella Sermon). Perlomeno, prima di un certo colpo di scena che – per usare le parole del pezzo grosso - “Pure all’Asylum ci avrebbero pensato cinque minuti”.

E i dinosauri? I dinosauri sono belli, come sempre. Eppure, col fatto che i velociraptor sono intelligenti e la genetica eccetera eccetera, e che il nuovo indoraptor eccetera eccetera, secondo me si rischia di fare un po’ troppo il paio con certi scimpanzé dai nomi romani.

Insomma, c’è un sacco di roba che non va, in questo sequel di Jurassic World. Ciononostante, J.A. Bayona ci prova davvero, a fare il suo film; a fare qualcosa di diverso. Si direbbe che il cineasta spagnolo abbia scelto di prendere le parti più thrilling del Jurassic Park originale di Spielberg, per filtrarle attraverso la sua estetica à la del Toro. Gli spazi aperti e luminosi del film precedente, qui, si intravedono appena; Il regno distrutto ha un tono decisamente più dark, quasi al limite dell’horror.

Lo stile di Bayona è derivativo, deve molto a del Toro, ma nel bene e nel male porta qualcosa di nuovo alla serie.

E se nella parte centrale Bayona inciampa un poco a livello di ritmo, nella seconda - quella nel complesso più riuscita - si vede proprio che si diverte a infilare i suoi dinosauri tra gli spazi ristretti di una vecchia villa dalle architetture gotico-vittoriane, evocando ombre espressioniste e veloci silhouette.

In un contesto del genere, e anche per le soluzioni visive adottate, i bestioni finiscono per ricordare i mostri classici della Hammer, il vampiro di Murnau o la creatura di Mary Shelley. E più si avvicina alla fine, più il film svela una certa personalità: vuoi per una messa in scena e una fotografia interessanti, ma soprattutto per le buone idee di scenografia. Purtroppo, non sempre il gioco della tensione funziona, e non sempre lo sguardo di Bayona ha la forza di sfidare la vocazione della serie.

Detto questo, e al netto dei molti, forse troppi “ma”, va perlomeno riconosciuto a Jurassic World - Il regno distrutto di non essere un more of the same come il primo Jurassic World (che pure, nel complesso funziona molto meglio). Bayona non cerca di spuntare la sufficienza giocando sul sicuro ma ci mette la faccia e spinge la sua idea di cinema. Purtroppo, dal mio punto di vista manca il bersaglio e si porta a casa un tristo RCM (però con la m. di dinosauro, che a vederla così in foto, con Ian Malcom sullo sfondo, fa meno schifo).

Ho guardato Jurassic World - Il regno distrutto grazie a un’anteprima stampa alla quale noialtri di Outcast siamo stati gentilmente invitati. Non so quanto il doppiaggio italiano abbia compromesso la recitazione dei dinosauri: immagino che tutti gli accenti di certi incroci genetici siano andati irrimediabilmente perduti. Amen.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Jurassic Outcast”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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