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La Cowabunga Collection è il sogno di ogni bambino degli anni Ottanta | Racconti dall'ospizio

La Cowabunga Collection è il sogno di ogni bambino degli anni Ottanta | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Se dovessi indicare quali sono stati i cartoni e gli anime che più ho amato durante la mia infanzia e ai quali sono più legato, oltre a I Cavalieri dello Zodiaco e He-Man e I Dominatori dell’Universo, non potrei non citare anche Le Tartarughe Ninja. Era ormai un rito quotidiano, nel pomeriggio, sintonizzarmi su Italia 1 per guardare le avventure delle quattro tartarughe mutanti esperte di arti marziali.

Fra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, le Tartarughe Ninja godettero di una grande popolarità: il cartone animato era seguito da praticamente qualsiasi bambino, gli scaffali dei negozi strabordavano di giocattoli dedicati alla serie, e anche le sale cinematografiche ospitarono l’arrivo non di uno ma di ben tre film in live action dedicate agli eroi creati da Kevin Eastman e Peter Laird. D’altronde, la ricetta era talmente semplice (oltre che già usata con successo dalla concorrenza) che non poteva non funzionare: eroi buoni, forti e carismatici, nemici cattivi, combattimenti (in questo caso a base di arti marziali), una buona dose d’ironia e il gioco e fatto.

A differenza di Pegasus, He-Man e relative compagini, le Tartarughe Ninja potevano vantare all’epoca un’arma in più non indifferente, vale a dire numerose trasposizioni videoludiche. Per la cronaca, non è che alle altre due serie mancassero di tie-in dedicati, ma la maggior parte dei videogiochi dedicati a I Cavalieri dello Zodiaco non vennero mai commercializzati al di fuori dal Giappone, mentre per He-Man e soci vennero pubblicati una manciata di titoli per C-64 e Atari, fuori dalla sfera degli 8 e dei 16 bit.

Invece le Tartarughe Ninja potevano vantare tutta una serie di titoli presenti sulle console Sega e Nintendo, che spaziavano dagli arcade alle piattaforme, passando anche per i picchiaduro uno contro uno.

Anche se sono passati tanti anni, ricordo ancora quando un pomeriggio mi recai in un negozio di giocattoli insieme alla mia compianta zia per acquistare Teenage Mutant Ninja Turtles: The Hyperstone Heist, il primissimo tie-in dedicato alle verdi tartarughe mutanti pubblicato su Mega Drive da Konami. Mi era bastato vederne la pubblicità su Topolino per volere la cartuccia, e la mia cara zia, per la quale ero come un figlio, non ci aveva pensato due volte a farsi convincere e a comprarmelo. A quei tempi, i videogiochi erano soprattutto venduti nei negozi di giocattoli e nei grandi magazzini, quindi bisognava semplicemente girare e sperare di trovarlo, e fortunatamente fu così. Bastava guardare un paio di foto sul retro della copertina per far volare la fantasia e immaginare ore e ore di divertimento passate a mazzuolare i cattivi per salvare la Terra. The Hyperstone Heist era un classico picchiaduro a scorrimento sulla falsariga di Streets of Rage e Golden Axe, dove il giocatore è chiamato a impersonare una delle quattro tartarughe e prendere a pizze in faccia numerose versioni dei soldati del Clan del Piede (che si differenziavano per colore ma anche per comportamento offensivo) per scenari che spaziavano dalle fogne alle strade di New York, fino ad arrivare al Tecnodromo, covo dell’arcinemico Shredder, ovviamente dovendo fare i conti con uno o più boss di fine livello, scelti fra i più noti antagonisti del cartone.

Nonostante, come tutti gli arcade, durasse un’oretta scarsa, The Hyperstone Heist ebbe il potere di divertirmi e intrattenermi per diverse ore. Al di là del fatto che erano anni in cui un gioco nuovo arrivava ad ogni morte di Papa, mi incaponii a terminarlo con tutti e quattro i protagonisti, cercando di migliorare sempre prestazioni e punteggi. E all’epoca, senza usufruire di trucchi e codici vari, portare a termine The Hyperstone Heist era un compito abbastanza impegnativo, anche per chi, come me, aveva una certa familiarità con il genere. Il titolo per Genesis fu l’unico gioco basato sulle avventure delle Tartarughe Ninja che giocai all’epoca, oltre a qualche breve partita a Tournament Fighters su SNES a casa di un amico.

Una volta sgonfiatosi il fenomeno Tartarughe Ninja, complice anche la fine dell’infanzia, non ho praticamente avuto più nulla a che fare con loro: so che il franchise è ripartito nel 2001 sia con nuove serie animate che con altri videogiochi, ma, al di là del fatto che ormai non mi interessassero più, erano così differenti dai prodotti con i quali ero cresciuto che non avrebbero più comunque fatto presa su di me.

Poi, lo scorso autunno, il vecchio amore per i quattro mangiatori di pizza si è improvvisamente riacceso. Complice le buone recensioni e il fatto che nell’ultimo anno il tempo per giocare si è ridotto sensibilmente, ho acquistato Shredder’s Revenge. Il feeling del titolo era così anni novanta che non ho potuto fare a meno di scucire altri soldi per acquistare la Cowabunga Collection e mettere le mani sui titoli per le console a 8 e 16 bit, portatili e non.

È bastato navigare fra i menù della raccolta per essere assaliti dalla nostalgia. Oltre a una raccolta di tredici giochi, è presente un vero e proprio “museo” dedicato ai titoli, con tracce audio, artwork, manuali e pubblicità di ogni titolo. Per quanto riguarda i singoli giochi, la Cowabunga Collection la si può vedere in due modi. Vista con gli occhi di un adulto, la raccolta offre poco più di diverse versioni dello stesso titolo: i giochi arcade, come Turtles in Time, The Manhattan Project e lo stesso The Hyperstone Heist sono molto simili, condividendo la stessa tipologia di scenari e avversari, con differenze minime. Stessa cosa per Tournament Fighters, che paga anche il prezzo di essere invecchiato male rispetto a grandi classici come Street Fighter II e Mortal Kombat. I titoli per Game Boy, Fall of The Foot Clan, Back from the Sewers e Radical Rescue sono delle piacevoli scoperte per chi non li ha giocati all’epoca ma offrono pochi motivi per essere rigiocati una volta portati a termine. Vista con gli occhi di un bambino, la Cowabunga Collection è invece un emozionante tuffo nel passato. Mi è sembrato davvero di rivivere i tempi dell’epoca 8 e 16 bit, delle TV a tubo catodico e delle riviste cartacee, con delle soundtrack così belle che sembra quasi davvero di trovarsi in una sala giochi dell’epoca. Mi sono tornati in mente molti ricordi e sensazioni del passato, di quei pomeriggi fatti di cartoni animati, Mega Drive e letture di Game Power.

La Cowabunga Collection è una di quelle operazioni nostalgia che su quelli come me ha gioco facile, e qualcuno potrà certamente obiettare che spendere dei soldi per titoli che nel 2023 sono emulabili anche su un tostapane abbia poco senso. Ma no, la sensazione di avere qualcosa di fisico fra le mani, che omaggia con doveroso rispetto titoli che ci hanno fatto sognare da bambini, non ha prezzo.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Konami, che trovate riassunta a questo indirizzo.

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