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I film delle Tartarughe Ninja degli anni novanta: pizza e gommapiuma a volontà

I film delle Tartarughe Ninja degli anni novanta: pizza e gommapiuma a volontà

Raccontare cos’abbiano rappresentato le Tartarughe Ninja per chi è stato bambino nei primi anni Novanta è, come per ogni cosa legata a quel periodo diventata un cult, semplice ma allo stesso complicato.

Semplice perché ci si affida spesso a ricordi e sensazioni che sono però, il più delle volte, legati soprattutto al periodo in sé e al proprio status di bambino che non al prodotto, e complicato perché è anche difficile spiegare, senza affidarsi a emozioni del passato, come mai effettivamente prodotti del genere funzionassero così bene.

Le Tartarughe Ninja, così come altri franchise ai quali sono affettivamente legato come He-Man e i Dominatori dell’Universo e i sempreverdi Cavalieri dello Zodiaco, funzionavano perché, in un certo senso, esaltavano uno dei desideri più naturali di ogni bambino dell’epoca: essere un eroe.

Tutti noi volevamo essere uno fra Donatello, Raffaello, Leonardo e Michelangelo (tra l’altro, c’era all’epoca una certa preferenza per Leonardo, non so se per il fatto che utilizzasse come arma due katane o se per il fatto che sembrasse il più delle volte il capo del quartetto, vai a sapere). Tutti, quando giocavamo con i pupazzetti che all’epoca affollavano gli scaffali dei negozi, facevamo in modo che i buoni vincessero e i cattivi perdessero, così come quando ci mettevamo a giocare con i titoli a 16 bit dell’epoca, non volevamo altro che arrivare alla fine e riempire di botte l’odiato Shredder (ne approfitto, tra l’altro, per ricordare che sono tutti disponibili nella sontuosa Cowabunga Collection).

La serie animata – che poi era la base da cui partì il successo del verde quartetto mutante – funzionava bene proprio perché perfettamente in target con il bambino medio degli anni Novanta: ci sono quattro tartarughe mutanti esperte di arti marziali che usano armi, toste con i nemici ma fondamentalmente buone come il pane, intelligenti, estremamente ironiche ma un po' infantili proprio come dei bambini. Dall’altra parte hai dei pittoreschi cattivi a tutto tondo, senza sfumature, con il classico piano per la conquista del mondo che va sempre in malora, anche grazie alla stupidità degli scagnozzi di cui si circondano. Il tutto condito da una sana dose di umorismo, un mix che non poteva fare altro che spingerti a sintonizzarti ogni pomeriggio su Italia 1 e rimanere incollato fino alla fine della puntata.

Vi lascio immaginare la mia gioia quando vidi – forse su Topolino – la pubblicità del prossimo film in uscita, sbarcato nelle nostre sale nel dicembre del 1990, il perfetto regalo di Natale. Per un bambino, sapere che gli eroi che tanto ammirava sarebbero arrivati sul grande schermo era sufficiente: sarebbe stato un evento epocale, anche se la mezza scottatura del film sui Dominatori dell’Universo, con Dolph Lundgren nei panni di He-Man era ancora viva.

Convincere qualcuno della mia famiglia a portarmi al cinema a vedere il film era, di fatto, un’impresa impossibile. Quale adulto aveva voglia di sciropparsi un’ora e mezza di film con dei tizi in costume che si menavano? Nessuno, ovviamente. Così dovetti aspettare l’arrivo del film in home video per poterlo vedere.

Il primo film della serie, qui in Italia intitolato con molta fantasia Tartarughe Ninja alla riscossa, come la serie animata, fu un grosso successo di pubblico con un riscontro positivo anche da parte della critica, che lo aveva giudicato per quello che era: un film per ragazzi. La pellicola di Steve Barron, infatti, funzionava soprattutto e prima di tutto per questo: aveva un’idea ben precisa del target di riferimento, vale a dire gli stessi bambini che guardavano estasiati la serie animata, e offriva loro gli stessi elementi della serie, solo nella cornice del film in live action: combattimenti (all’acqua di rose ovviamente, quindi niente sangue o violenza eccessiva), umorismo in grande quantità, un cattivo che metteva paura anche solo da lontano, azione e divertimento. La trama poi, era quanto di più semplice e logico ci si potesse aspettare: in una New York oscura e pericolosa (resa tra l’altro molto bene, pur essendo girato tutto in studio, che dava alla pellicola una leggera e innocua vena dark) la criminalità dilaga a causa del Clan del Piede, organizzazione criminale senza scrupoli. April O’Neill, giovane giornalista senza paura, indaga sulla crescente ondata di criminalità attirando le attenzioni di Shredder, che vuole toglierla di mezzo. I nostri quattro eroi con il guscio, che da tempo combattono la criminalità con il favore dell’oscurità, la salvano, uscendo di fatto allo scoperto. Shredder non la prende ovviamente bene e, oltre a rapire Splinter, che anni prima lo aveva sfregiato pesantemente sul volto, fa anche esplodere il covo dei nostri eroi, situato come da tradizione nelle fogne. Da lì parte una serie di eventi che porta le quattro tartarughe, con l’aiuto del vigilante mascherato Casey Jones, a sconfiggere il Clan del Piede e di conseguenza Shredder, che sembra apparentemente morto dopo un lungo combattimento finale.

Nel film, le quattro tartarughe erano interpretate da attori che indossavano dei costumi in gommapiuma con delle maschere particolari che permettevano loro diverse espressioni facciali simili a quelle di un volto umano, mentre Splinter aveva preso vita grazie alla tecnica dell’animatronic, e il risultato finale, per quello che era il cinema di allora, era assolutamente fantastico. Sembrava tutto così credibile che pareva che le tartarughe fossero veramente vive, e James Saito, l’attore scelto per interpretare Shredder, era capace di incutere paura grazie solo al suo semplice sguardo.

Tartarughe Ninja alla riscossa fu un piccolo caso cinematografico nel 1990: pur essendo la trasposizione di un marchio estremamente famoso, nessuna major di Hollywood si prese il rischio di accollarsi un’operazione del genere, con la paura di un flop totale. Il film fu prodotto da una casa cinematografica indipendente, tant’è che nel film non compare nessun attore noto. Poco male, la pellicola entrò nella top ten degli incassi di quell’anno e fra i bambini diventò subito un cult, tant’è che ricordo chiaramente che dovetti accontentarmi di vedere il film una sola volta a noleggio, poiché la VHS nei negozi era praticamente introvabile. Come scritto poco sopra, il film funzionava perché dava allo spettatore ciò che voleva, vale a dire le stesse cose della serie animata, senza stravolgere nulla o inventarsi di sana pianta qualcosa per rendere il film diverso da quello che doveva essere o cercare di attrarre più spettatori possibili. E poi, sì, visto con gli occhi di un ragazzino, veniva tutto amplificato ed esaltato in maniera significativa. Tra l’altro, pur essendo fondamentalmente un ingenuo film per ragazzi, veniva sottolineato il concetto dell’importanza della famiglia e di quanto certe strade, seppur attraenti, non portano mai a nulla di buono (questo legato al fatto che il Clan del Piede reclutava diversi giovani sbandati con facili promesse).

Per la legge del “bisogna battere il ferro finché è caldo”, passò solo un anno prima che arrivasse il seguito, Tartarughe Ninja II: Il segreto di Ooze. Anche in questo caso la formula rimaneva invariata, sia per gli elementi del film che per la trama: Shredder non è morto al termine del primo film (ma davvero? Un colpo di scena inaspettato) e decide di ricostruire il Clan del Piede. April, ormai diventata giornalista d’assalto, indaga su un’azienda chimica, ritenuta responsabile di pesanti effetti inquinanti a seguito di particolari esperimenti. Quella stessa azienda chimica, la TGRI, produce un siero chiamato Ooze, responsabile della mutazione dei nostri quattro eroi, che si sono trasferiti temporaneamente da April insieme a Splinter.

Shredder decide di rubare l’ultimo campione di Ooze prima che venga eliminato definitivamente, e lo usa per creare due scagnozzi mutanti (Bebop e Rocksteady? Naaah). Razhar e Tokka, un lupo e una tartaruga azzannatrice. Donatello, Raffaello, Michelangelo e Leonardo, dopo aver trovato casa in una vecchia stazione abbandonata della metro, dopo un paio di batoste da parte dei mutanti avversari, li sconfiggono con l’inganno facendo ingurgitare loro un antidoto al siero, nascosto in alcune ciambelle. Shredder, dopo l’ennesimo combattimento andato male, usa l’ultimo campione di Ooze per mutare sé stesso in un Super Shredder. Ma come succede esattamente nel film precedente, le cose vanno (ovviamente) male per il nostro amato cattivone, che finisce sotto le macerie di un pontile, dopo che le travi sono crollate.

Pur essendo totalmente in linea con il primo film, Il segreto di Ooze eliminava qualsiasi atmosfera lievemente dark del predecessore per spingere l’acceleratore sulle gag e sull’umorismo, riducendo i combattimenti (sempre con violenza pari a zero, tant’è che Shredder, anche questa volta, viene sconfitto non dai protagonisti ma, diciamo così, indirettamente). Rimane il mio preferito della trilogia, lo avevo registrato su VHS al primo passaggio televisivo, rivedendolo più e più volte, soprattutto la scena del combattimento nella discoteca e relativa canzone rap di Vanilla Ice.

Il secondo film non ebbe però – in termini puramente commerciali – lo stesso impatto del primo, forse proprio a causa dell’eccessiva leggerezza. Passarono infatti due anni prima dell’uscita dell’ultimo capitolo della trilogia, intitolato semplicemente Tartarughe Ninja III.

Questa volta il film cambio radicalmente pelle, soprattutto per quanto riguarda la trama, che nulla aveva a che fare né con la serie animata né con il fumetto. Le quattro tartarughe, grazie ad uno scettro magico, si ritrovano catapultate nel Giappone Feudale del 1600, dove dovranno salvare April, ritenuta una strega, e sconfiggere il malvagio Norinaga, il tutto entro sessanta ore, pena la definitiva permanenza in Giappone.

Purtroppo il film, rispetto ai primi due, si rivelò un prodotto fallimentare, seppur sempre gradevole da guardare. Il fatto di essere basato su un concept inedito, unito ad un’ambientazione non propriamente in linea con i protagonisti, rese l’esperienza profondamente deludente. A ciò aggiungiamo che non avere nessun antagonista della serie animata o nessun riferimento riconoscibile per i fan dell’epoca rese la visione semplicemente noiosa, tant’è che io stesso lo vidi qualche anno dopo l’uscita, dimenticandomene molto presto.

Ho rivisto di recente tutti e tre i film e devo dire che, riguardandoli una trentina d’anni dopo e con gli occhi di un adulto, sono delle pellicole estremamente ingenue, forse fin troppo innocue anche per l’epoca, oltre al fatto di essere invecchiate abbastanza male. Ciò non toglie che sono e saranno sempre film che rimarranno nelle menti e nei cuori di chi ha vissuto il fenomeno delle Tartarughe Ninja in quel periodo.

E sì, rimangono infinitamente superiori a quelle mezze ciofeche moderne targate Michael Bay, che ho guardato più per la presenza di Megan Fox che altro.

Tartarughe Ninja alla riscossa, Tartarughe Ninja II: Il segreto di Ooze e Tartarughe Ninja III sono disponibili su Prime Video.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai ninja, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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