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Outcast è una gemma di nicchia, ma dura a morire | Racconti dall'ospizio

Outcast è una gemma di nicchia, ma dura a morire | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Uno degli anni più rappresentativi del periodo d’oro dei videogames è senz’altro il 1999. Ventiquattro (!) anni fa, venivano pubblicati, fra gli altri, Silent Hill, Final Fantasy VIII, Street Fighter III: 3rd Strike, Ape Escape, Soul Reaver, Resident Evil 3: Nemesis e Shenmue. Era il periodo in cui le console – soprattutto e prima di tutto PlayStation – erano ormai entrate stabilmente nelle case di tutti, sdoganando i videogiochi da hobby di nicchia a quello di massa. Nel sottobosco delle uscite per personal computer, in quel 1999, la pubblicazione di spicco fu senz’altro Outcast.

Il mio primo contatto con il titolo avvenne grazie ad un articolo presente su un vecchio numero di Edge, arrivato a casa mia grazie a un conoscente che me lo aveva portato dopo una trasferta lavorativa nella terra delle fish & chips. Ovviamente me lo feci portare con la scusa di avere una rivista da leggere per perfezionare l’inglese, ma la realtà era ovviamente un’altra. Nonostante siano ormai passati molti anni, ricordo ancora come in quell’anteprima venisse sottolineato quanto il titolo sembrasse rivoluzionario: vasti ambienti tridimensionali completamente esplorabili, comparto tecnico di primo livello (ovviamente per l’epoca) e un’intelligenza artificiale dei nemici sopra la media.

Ovviamente quell’anteprima suscitò un mio forte interesse per il titolo – era d’altronde ancora l’epoca in cui per avere informazioni su un gioco facevamo prevalentemente affidamento sull’estro e sulla verve delle redazioni delle varie riviste, e spesso un testo ben scritto corredato da immagini azzeccate ci faceva vagare con l’immaginazione – ma l’esclusività per PC mi avrebbe reso impossibile mettere le mani su Outcast: al di là del fatto che ho sempre considerato le console come le piattaforme di gioco ideali per via della semplicità immediata – inserisci il gioco e inizi a giocare, senza la scocciatura di requisiti minimi, riconoscimenti del CD e via dicendo – non avevo ancora un PC a casa.

Mi dimenticai di Outcast, quando, due anni dopo, inaspettatamente, il gioco arrivò nelle mie mani, in maniera assolutamente, diciamo così, curiosa. Mio padre, assiduo lettore de La Gazzetta dello Sport, aveva acquistato il gioco in allegato, credendo ingenuamente che fosse un titolo per PlayStation. In quel periodo infatti, il roseo quotidiano sportivo proponeva spesso allegati quali VHS dedicati ai calciatori dell’epoca o, in questo caso, giochi per personal computer. Dato che finalmente anche a casa mia era arrivato un PC, finalmente avrei potuto godere anch’io del titolo Infogrames. Almeno così credevo.

Abituato alla semplicità e immediatezza del gioco su console di cui parlavo prima, non avevo fatto i conti con tutte le magagne che all’epoca comportava giocare un titolo su PC. Proprio nel bel mezzo dell’installazione del gioco, il mio computer si bloccò per poi emettere delle scintille e spegnersi del tutto, causando per giunta un black out totale in casa. Outcast aveva “ucciso” il mio PC, e senza nemmeno riuscire a giocarci. Essendo, tra l’altro, un hardware già vecchio di suo e per giunta di seconda mano, riparalo sarebbe costato tanto quanto comprarne uno nuovo, quindi era tutto praticamente da buttare.

Outcast non venne mai convertito per nessuna console dell’epoca: lessi qua e là di un porting per Dreamcast poi cancellato e di un seguito per PlayStation 2 mai realizzato, e credevo ormai che non avrei mai potuto giocarci. Invece, inaspettatamente, non fu così.

Nel 2019, due anni dopo l’uscita (di cui per giunta non sapevo nulla), acquistai Outcast Second Contact al vergognosissimo prezzo di otto euro, in super maxi offerta. La pubblicazione del titolo su PS4 e XBox One passò talmente in sordina che, come sopra accennato, non ne ero praticamente a conoscenza, e il fatto che fosse possibile acquistarlo a un prezzo così irrisorio, la diceva lunga su quanto il titolo fosse appetibile ai giocatori di oggi.

E, in effetti, il mio impatto con il titolo fu abbastanza traumatico. Nonostante provenga dalla scuola degli otto e sedici bit, ormai sono talmente abituato a fruire di titoli che ti dicono tutto quello che devi fare per filo e per segno che giocare ad Outcast fu abbastanza complicato, almeno all’inizio.

Il titolo, infatti, ti butta nella mischia senza darti alcuna indicazione, né su dove andare né su cosa fare. Niente segnalini colorati, niente tutorial o altro. Girovagai quasi un’ora e mezza per la prima regione di gioco, Ranzar, senza capire cosa dovevo fare. Mi ero così spazientito che stavo pensando già di abbandonare tutto, ma prima di arrendermi cercai degli aiuti in rete. Il problema è che il gioco non se lo stava filando praticamente nessuno: sui forum non erano presenti thread dedicati, sui siti di settore erano presenti solo recensioni, sembrava non esserci alcuna traccia di soluzioni, quando trovai aiuto grazie a un vecchio forum dedicato esclusivamente al gioco, dove era possibile trovare la soluzione dell’originale Outcast del 1999. Per riuscire a capire cosa fosse necessario fare per progredire nel titolo, bisognava girovagare per l’ambiente e parlare con gli abitanti. E, una volta compreso il meccanismo, il titolo mi rapì completamente.

Outcast vedeva come protagonista Cutter Slade, ex membro dei Navy Seal inviato sul pianeta Adelpha insieme a tre scienziati per salvare la Terra, che rischia di essere inghiottita da un buco nero. Una volta arrivato su Adelpha, Slade si ritrova solo, accolto però dalla pacifica popolazione dei Talan, che in lui vede una sorta di Messia chiamato Ulukai, giunto per spodestare il pericoloso dittatore Fae Rhan. Il protagonista dovrà quindi viaggiare fra sette regioni, attraverso dei portali simili a quelli visti in Stargate, per recuperare cinque reliquie mistiche chiamate Mon e sconfiggere il malvagio sovrano che ha gettato Adelpha nel caos. Ed è proprio l’ambientazione uno dei due punti forti di Outcast. Le sette regioni infatti, sono una sorta di macro aree completamente esplorabili (cosa che oggi non fa certo una grande impressione, abituati come siamo a mondi di gioco sconfinati, ma all’epoca l’impatto fu certamente diverso) ognuna differente dall’altra. Partendo da Ranzar, regione fredda e arida composta principalmente da ghiaccio e neve, si passera poi a visitare l’acquatica e paludosa Okasankar, l’arida e vulcanica Motazaar, la verdeggiante e boscosa Okaar e l’arida e desertica Talanzar. Per recuperare i cinque Mon, Slade dovrà affrontare diversi pericoli, fra cui velenosi ragni giganti, tigri dai denti a sciabola e piranha, oltre naturalmente a dover fronteggiare anche gli sgherri di Fae Rhan. L’ex Navy Seal dovrà fare i conti anche con due boss molto particolari: Gorgor, una specie di dinosauro, e Achondar, una sorta di enorme vermone rosso, considerato un animale leggendario. Sono presenti anche degli enigmi, ma nulla degno di nota o trascendentale: le attività principale del gioco restano l’esplorazione e gli scontri a fuoco.

L’altro punto di forza del gioco è sicuramente il contesto sci-fi da film degli anni cinquanta e settanta: chi ha visto pellicole come Il Pianeta Proibito, Plan 9 from Outer Space, Il Pianeta delle Scimmie o un qualunque episodio di Star Trek (l’arma principale di Slade, la pistola HK-P12, somiglia sospettosamente a un phaser) non potrà non riconoscere le stesse caratteristiche in Outcast. Anche la colonna sonora del gioco, solenne ed evocativa, si rifà alle pellicole dell’epoca. Il tutto senza tirare in ballo temi politici o sociali, semplicemente si racconta di un uomo qualunque visto come un predestinato che deve sconfiggere il cattivo di turno e riportare pace e tranquillità.

Outcast Second Contact, superate le difficoltà iniziali, mi aveva completamente preso, tanto che per completarlo e platinarlo sono stato in grado di digerire i tanti difetti tecnici del gioco: la legnosità del personaggio, sezioni stealth imbarazzanti e un gunplay pessimo, dove centrare il bersaglio era impresa tutt’altro che semplice, senza contare i numerosi bug e glitch che minavano l’esperienza di gioco. Nonostante il port in HD (chiamarlo remake mi pare un po' eccessivo, dato che è stato svecchiato solo il comparto grafico), Outcast è rimasto il titolo di nicchia di ventiquattro anni fa: se all’epoca fu probabilmente penalizzato dall’”esclusiva” PC, oggi certe meccaniche di gioco e difetti tecnici sono improponibili per i giocatori moderni. Nonostante ciò, è successo il miracolo: a distanza di così tanto tempo, un seguito è diventato realtà. Outcast 2: A New Beginning vedrà nuovamente Cutter Slade aiutare i Talan a fronteggiare una nuova minaccia. La data di uscita non è stata ancora ufficializzata, anche se pare la pubblicazione sia prevista entro fine anno. Naturalmente, non vedo l’ora di metterci le mani sopra, anche perché questo secondo episodio potrebbe rappresentare, se tutto va bene, la nascita di una serie.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata allo spazio, che trovate riassunta a questo indirizzo.

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