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Storie di calcio simulato e adolescenza felice

Storie di calcio simulato e adolescenza felice

Nonostante non mi consideri una persona particolarmente competitiva e, soprattutto invecchiando, sia piuttosto misantropo, il multiplayer nei videogiochi mi ha sempre coinvolto. Vado a periodi, talvolta gioco quasi solo ed esclusivamente a roba multigiocatore mentre in altri momenti preferisco i giochi da affrontare da soli, ma la fregola del multiplayer è sempre lì in agguato.

Come immagino sia comune a molti di noi più “maturi”, la mia esperienza multiplayer si suddivide a grandi linee in due periodi principali: quello offline e quello online. Il periodo online è più recente, legato soprattutto a giochi come Final Fantasy XI, World of Warcraft, i due Destiny e Apex Legends, ma non è quello che ricordo maggiormente. Forse è una questione di nostalgia, probabilmente ha a che fare col fatto che al tempo ero nettamente più giovane, ma giocare offline con gli amici sullo stesso computer o la stessa console con due joystick/controller è quello che ricordo con più affetto. Ed è proprio di quel periodo che voglio scrivere in questa occasione, quindi ora vi beccherete un bel (?) “ah, ai miei tempi...”.

Quando ero adolescente, a Genova c’era Playtime, uno dei primissimi negozi specializzati di videogiochi che ricordi. Io e il mio amico Dippi avevamo quello che chiamavamo “il rito”: ogni giovedì pomeriggio, giorno di arrivo delle nuove uscite da Playtime, andavamo poco dopo l’orario d’apertura per dare un’occhiata alle novità, magari comprare qualcosa, e poi facevamo qualche partita in due a uno dei miei giochi più adorati di sempre, Bubble Bobble, di cui c’era il cabinato nel negozio. E lì ci sfondavamo di partite a botta di (mi sembra) 100 lire alla volta. Ricordo ancora le sequenze di tasti da premere per attivare i cheat del Power Up e l’Original Game! Confesso che non eravamo molto bravi e, nonostante tutte le nostre partite e i trucchi appena nominati, non lo abbiamo mai finito, ma la cosa non ci ha mai impedito di continuare a giocarci e divertirci come dei matti. E Dippi è stato anche il mio compagno di partite multiplayer sul cabinato di Double Dragon (non ricordo se fosse l’1 o il 2) che c’era ai bagni dove abbiamo passato un’estate insieme.

Se Bubble Bobble è stato il mio primo amore multiplayer, le cose si sono fatte davvero serie quando è cominciato il periodo dei giochi di calcio su Commodore 64 prima e Amiga poi. Penso che sia impossibile quantificare le ore passate a giocare in compagnia dei miei amici più cari di quei giorni durante praticamente tutta la mia adolescenza. Il primo gioco di calcio con cui ricordo che ci siamo davvero ammazzati di partite fu MicroProse Soccer su C64. Creato da Chris Yates e Jon Hare, nomi importantissimi che torneranno tra poco, ricordo ancora benissimo un pomeriggio passato a giocare con le lacrime agli occhi dal ridere mentre il mio amico Andrea faceva la cronaca delle partite dando ai giocatori i cognomi dei suoi parenti siculi. Sì, perché ai tempi le telecronache in tempo reale integrate nel gioco erano una roba ancora da fantascienza e oh, eravamo adolescenti, non ci drogavamo e ci bastava poco per divertirci!

Quando il C64 finì in pensione, con l’Amiga arrivò Kick Off 2. Ah, Kick Off 2 e il suo cartellino gaillo [sic.]... Ecco, a quello ci giocammo una quantità incalcolabile di ore. E, confesso con un certo orgoglio, ero probabilmente il più bravo del mio gruppetto. Il primo Kick Off fu in tutto e per tutto un gioco di calcio rivoluzionario, perché il pallone non era incollato ai piedi dei giocatori e quindi richiedeva un approccio completamente diverso rispetto a tutti gli altri rappresentanti del genere. Nell’era pre-Internet, era difficile scoprire tattiche e tecniche di gioco ottimali, non c’era YouTube con la sua infinita serie di video che illustrano e descrivono le strategie più efficaci da adottare, e quindi fui particolarmente orgoglioso di me stesso quando imparai la tecnica del pallonetto da centrocampo. Ah, quanto poco bastava per essere felici, al tempo... Detto questo, ricordo anche che partecipammo a un torneo organizzato da Playtime (che nel frattempo aveva aperto un altro negozio in centro) e che facemmo tutti una figuraccia. Io e i miei amici eravamo clienti abituali e conoscevamo tutte le persone che ci lavoravano e ricordo che la commessa di quel periodo ci rimase male quando ci vide tutti eliminati così in fretta.

Dopo Kick Off 2, l’altro nostro grande amore multiplayer fu Sensible Soccer, uscito sempre su Amiga un paio d’anni dopo il gioco di Dino Dini e sviluppato dalla Sensible Software di, ancora loro, Jon Hare e Chris Yates. Insieme a KO2, Sensi, come lo chiamavamo con affetto tra di noi, è ancora oggi uno dei più grandi giochi di calcio mai fatti. Al tempo non esistevano pad e controller con svariati tasti diversi che permettevano di riprodurre il “calcio vero” e realizzare azioni sempre più realistiche e a ripensarci, ha quasi del miracoloso come due giochi che hanno più trent’anni sul groppone siano riusciti a farci vivere così intensamente le emozioni di una partita di calcio simulata. Tra l’altro, Sensi è anche legato a un altro torneo a cui partecipammo io e il mio amico Andrea (sempre lui, quello dei parenti siculi), stavolta a Milano in occasione dello SMAU di non ricordo quale anno. Il torneo era organizzato da una delle riviste di videogiochi attive negli anni ’90, possibile che fosse K, e lì conoscemmo dei giovanissimi Matteo Bittanti (l’MBF di Zzappiana memoria) e Marco Auletta, nomi piuttosto conosciuti nel settore in quel periodo. Io e Andrea arrivammo in finale, stavolta, e vinse lui con UN SOLO tiro in porta fatto nel corso di una partita dominata da me dall’inizio alla fine. No, ma l’ho presa bene, tranquillə.

Finite le scuole superiori, i pomeriggi passati a giocare insieme si fecero sempre più rari e così anche giocare in multiplayer insieme agli amici, ma quando mi traferii a Londra per lavorare nell’allora Square Europe, la sede europea della Squaresoft, divenne un’abitudine di tutto l’ufficio passare l’ora di pausa pranzo a giocare in multi a qualcosa. Eravamo divisi in due gruppi: quello che si dedicava ai giochi di combattimento a incontri come Street Fighter e quello che si sfidava al calcio simulato. Io, come è facile immaginare, facevo parte di quest’ultimo. Nel corso dei due anni passati in Square, giocammo ai vari Winning Eleven, International Superstar Soccer e Pro Evolution Soccer usciti sulla prima PlayStation. Ero piuttosto bravo, probabilmente il migliore del nostro gruppo, e i miei calci di punizione sono ancora gli incubi dei miei amici, in particolare uno dei colleghi spagnoli che rosicava durissimo! Non partecipai a nessun torneo in quel periodo, quindi non ho nessuna storia di delusione competitiva da condividere a questo proposito.

L’ultimo piccolo grande amore multiplayer da divano con gli amici è stato probabilmente Super Monkey Ball su Nintendo Game Cube, e in particolare il minigioco Monkey Race, a cui io e miei coinquilini di quel periodo giocammo davvero per una marea di tempo, spaccandoci di risate e insulti in italiano, francese e inglese. Ah, che bei ricordi. E questa è probabilmente è l’esperienza che più si avvicina ai vari Mario Kart, a cui io ho giocato relativamente tardi, perché sono cresciuto, videoludicamente parlando, sui vari computer della Commodore.

Ora il multiplayer “in carne e ossa” è un’occasione più unica che rara. Probabilmente non gioco con qualcuno nella stessa stanza dai tempi di quelli partite in ufficio in Square, ma ho passato fin troppe ore online a giocare con amici virtuali e non. Come non ricordare il breve, ma intensissimo periodo di Wolfenstein: Enemy Territory (Wunderbar!) o tutte le cacce con Surgo nei vari Monster Hunter... È proprio vero che è tutto più divertente se fatto in compagnia di amici.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al multiplayer, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

Cooperando con mia figlia

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