Scendere a patti con l’autunno
C’è chi lo ama, c’è chi lo odia. Io sono sicuramente parte di questa seconda categoria. Ne riconosco il fascino, ne apprezzo la calma, dopo un periodo estivo preda della FOMO, in cui tendo a stra-riempirmi le giornate per godere appieno della stagione, ma l’autunno, per me, è soprattutto un periodo malinconico, che mi porta a rimuginare e attendere. L’azzurro sbiadisce, il verde ingiallisce, il marrone si prende tutto, la luce cede il passo al buio fin quasi a spartirsi equamente la giornata, gli strati di indumenti si accumulano. Tutto quello che amo, a livello ambientale, meteorologico e paesaggistico, se ne va lentamente, diluendosi nelle solite giornate lavorative a cui, però, non seguono serate lunghissime e calde. Un po’ come quando il Final Fantasy XV le tenebre iniziano ad avvolgere il mondo fino alla notte eterna del finale.
Io che mi preparo all’arrivo dell’autunno.
È proprio in questi momenti che il videogioco diventa salvifico, una zona di comfort rinfrancante, perfetta per combattere o, perché no, accompagnare l’umore uggioso di quei mesi. In questo periodo tendo a circondarmi quasi religiosamente di tutti i simboli dell’autumn vibe che si vedono su Pinterest; la copertina se la temperatura lo richiede, una qualche tisana bizzarra tipo “porchetta e zafferano” o “funghi e cherosene” che millantano proprietà benefiche ai limiti della stregoneria, casa illuminata da luci calde e natalizie già da fine settembre. E, cosa più importante, una selezione di giochi su cui inizio a fantasticare già da settimane prima. Essendo una persona estremamente meteoropatica, spesso i giochi che scelgo riflettono l’atmosfera esterna. Ricordo con estremo piacere, ad esempio, le serate piovose a giocare, circospetto, inquietato ed estasiato davanti alla brughiera britannica finemente cesellata in pixel art di The Excavation of Hob’s Barrow.
Sempre io, amante della primavera, torturato dall’autunno.
D’altronde, leggere Lovecraft è un’altra di quelle mie attività ricorrenti nelle sere d’autunno e l’opera Cloak and Dagger Games riesce a cogliere l’essenza dei suoi racconti, costruendoci un punta-e-clicca perturbante, nebbioso, dai paesaggi un po’ padani con cui sono decisamente familiare. Se penso all’autunno, probabilmente l’avventura grafica tout court è il primo genere che mi viene in mente, specialmente quella a sfondo horror. La lentezza che permette di affondare nelle suggestioni, i fondali evocativi, il mistero. The Last Door di The Game Kit (quelli di Blasphemous ed evidentemente amanti del lugubre), ad esempio, riesce a creare atmosfere straordinariamente opprimenti e cariche di tensioni con un’estetica 8-bit ancora più essenziale, stilizzata, appena accennata, e ci riesce proprio perché la mancanza di chiarezza visiva fa viaggiare il cervello, che inizia a vedere con sospetto ogni pixel a schermo.
E poi c’è una citazione di Rabbits di Lynch!
Altre opere invece sono diventate per me, nel tempo, dei veri e propri rituali che si ripetono annualmente. Syberia e quell’inizio nella piovosa Valadilene, immaginario paesino svizzero portato alla luce dalla mente di Benoit Sokal, ha tutto: il meteo, il motivo per essere in quel luogo sperduto (un funerale), l’atmosfera sospesa e sopita tipica delle domeniche pomeriggio di paese, dove sembra che tutti siano a casa a lume di candela a riposare, rifuggendo dal freddo e dalla pioggia. Si respira una malinconia così intensa da cambiare l’umore, accentuata da una protagonista lontana da casa, capitata lì per lavoro e che vorrebbe essere da tutt’altra parte. Eppure, è un’atmosfera che trovo anche meravigliosa, così autentica e coinvolgente da entrarmi sottopelle, tatuata nell’anima. Ancora oggi, dalla prima volta che ci giocai, quando mi capita di fare qualche giro tra i borghi lombardi o emiliani, ritrovo sempre questo parallelismo emotivo e visivo col titolo Microids; e ci resto sempre di stucco. “Qua sembra proprio Valadilene”, come se cercassi sempre di replicare quelle sensazioni.
Remastered di Syberia mio gioco più atteso del 2025 a mani basse, ancora più marrone rispetto all’originale!
Di tutt’altro genere è un’altra suggestione che, tipicamente, l’autunno mi ispira. Quella per l’off-road, il fango, il rally. I pomeriggi dopo scuola passati a consumare Colin McRae Rally 2.0 hanno evidentemente innestato nella mia testa una connessione persistente tra i motori e la stagione delle foglie morte, le stesse che si trovano sugli infidi fondi stradali finlandesi, scozzesi, monegaschi. Il rally virtuale è il mio Dark Souls e si chiama, da qualche anno, DiRT 2.0, in continuità con la tradizione del racing made in Codemasters che mi ha svezzato. È in quel contesto che il maltempo trascende il malumore per diventare sfida, sensazione di scarsa aderenza e inadeguatezza contro cui lottare in perenne controsterzo. La nebbia agli irti colli delle mie gare preferite diventa un parco giochi, un paradiso per il petrolhead che è in me. Godo a sporcare l’auto, a sentirla scivolare a destra e a manca, ruggire ogni volta che si sceglie di contravvenire allo spirito di sopravvivenza, seguendo il consiglio (di guida come di vita) del compianto campione scozzese, tradotto in italiano con un efficace gioco di rime: Se sei incerto, tieni aperto, if in doubt, flat out!
“AUTUNNO!” detto nel modo in cui Adani dice “CALCIO!”
L’ho accennato, faccio molto affidamento ai parallelismi tra reale e virtuale quando scelgo a cosa giocare, e quindi preferire esperienze fredde, umide, soffuse, introspettive mi da sollievo quando giornate un po’ tristi e sonnolente lo richiedono, ma non è una regola aurea. Per esempio, una serie che io collego con estremo piacere alla stagione è Dragon Quest. Sarà il medioevo, sarà in fantasy, argomenti che, per un motivo o per un altro mi sembrano perfettamente incastonate nei colori e negli umori autunnali. Sarà per i paesaggi bucolici e per il buonumore che le sue colonne sonore mi mettono addosso. Sta di fatto che diventa un perfetto rifugio da weekend, per quei rari momenti in cui decido (e posso permettermi) di non fare assolutamente nulla se non diventare tutt’uno col divano ed esplorare, combattere, farmi due risate per qualche situazione assurda, immergendomi nelle atmosfere balsamiche e rigeneranti della serie creata da Yuji Horii. Ha proprio una luce autunnale, Dragon Quest, i cieli tersi che sembrano ispirati alle 10.00 di una mattina in campagna di inizio ottobre (perché l’azzurro autunnale, quando non è coperto dalle nubi, è il colore più bello che c’è), l’abbigliamento dell’eroe che suggerisce un certo freschino, le città in festa, vivaci, come in un sabato di sagre. Mi fa venire troppa voglia di chiudermi in una trattoria a mangiare polenta e porcini, prima di andare a combattere il male.
Lasciatemi qui!
La verità è che mi lamento, rimpiango l’estate per un anno intero, conto i giorni che mancano al 21 giugno ma poi, in fondo, viene fuori che i miei giochi preferiti sono quelli più autunnali. Nel divertirmi a scrivere questo pezzo mi sono proprio reso conto di quanto questi titoli (e tanti altri con cui non mi sembra il caso di tediarvi oltre) raccontino perfettamente i miei gusti e stati d’animo; magari non lo voglio ammettere ma credo che l’autunno sia la stagione che mi rappresenta di più, non quella che amo di più, certo, ma è probabilmente il periodo dell’anno in cui mi sento più in contatto con me stesso. Crepuscolare come la Hyrule di Twilight Princess, accettando il mio lato oscuro senza che il caldo e il bel tempo mi facciano sentire in difetto, portandomi a nasconderlo per allinearmi ad atteggiamenti più consoni, estivi, solari. “Dimmi… Anche tu ti senti triste e malinconico al tramonto?” chiede Moy a Link nella sequenza che apre il capitolo del 2006 della saga Nintendo. “Sempre”, gli risponderei. E allora godiamocelo.