Outcazzari

Citizen Sleeper, periferia spaziale

Citizen Sleeper, periferia spaziale

Nella fantascienza a tema spaziale, raramente ci si sofferma sulla vita delle persone comuni, sulla loro routine, i loro problemi, o per lo meno non senza che si utilizzi una certa condizione (spesso tendente al disagio) per caratterizzare un personaggio di umili origini inconsapevolmente destinato alla gloria. A Gareth Damian Martin però la gloria, l’epopea, il viaggio dell’eroe nello spazio profondo non interessano. Citizen Sleeper, in un certo senso, è l’esaltazione dell’NPC, degli abitanti “invisibili” dei mondi virtuali e reali, quelli che solitamente fanno contorno, colore, narrativa ambientale, quelli che nella nostra vita guardiamo distrattamente o facciamo finta di non vedere, dedicando a loro un racconto di periferia crudo, vissuto, dove il romanticismo è sostituito dalla dignità e la scalata sociale è pura utopia per chi ogni giorno è troppo impegnato a tirare avanti, sopravvivere altre ventiquattro ore. Lo Sleeper protagonista della vicenda, un robot mosso da una mente umana digitalizzata (esseri creati a fini lavorativi, schiavi del futuro senza alcun diritto né prospettive) è un migrante fuggito dal giogo della corporation che lo possiede, la Essen-Arp, per poi finire sull’Erlin’s Eye, un’ex stazione spaziale orbitante abbandonata dalla compagnia che la possedeva e ora trasformata dai suoi ex-dipendenti in una vera e propria città, a suon di lotte tra clan e lotte sociali, diventando negli anni una Babilonia di esuli ai confini estremi del sistema.

L’Erlin’s Eye, tanto scenografico quanto derelitto.

Per uno Sleeper in fuga, però, la sopravvivenza non è solo una questione di soldi, cibo e riparo, ma anche di obsolescenza programmata, che impone una data di scadenza al suo corpo, e di un sistema di tracciamento che non permette di spezzare la catena che lo tiene ostaggio della Essen-Arp, un bersaglio sulla schiena per un qualsiasi bounty hunter che capiti nei dintorni. L’impatto con questa nuova vita è da una parte liberatorio e dall’altra angosciante, con la necessità di soddisfare i propri bisogni primari e lavorare, dividendosi tra un turno al bar del quartiere e uno al cantiere navale per pagarsi stabilizzatori di contrabbando e ritardare la degradazione del proprio telaio, ritrovandosi presto immersi in situazioni dubbie, ambigue, pericolose. Invischiati in un’umanità densa, credibile, tridimensionale, con contorni taglienti, spiccatamente cyberpunk ad un primo incontro, con un passato e una personalità che però vengono sempre a galla, tratteggiando persone più che personaggi, sfaccettate, ruvide, imperfette, difficili da inquadrare, figli di una periferia al termine dell’universo dove solo i più dritti e i più utili alla società vengono rispettati e temuti.

Le abilità dello Sleeper determinano in suo modo di interagire col mondo, ma non esiste una “build” sbagliata, anzi

Il fermento che si respira tra le strade dell’Eye è quasi totalmente frutto di una caratterizzazione che si sviluppa attraverso una scrittura eccellente, ricca, sorretta graficamente solo da bellissimi artwork e da un’inquadratura che scorre su un binario invisibile lungo l’arco abitato della stazione spaziale, stilizzata in 3D e utile per dare una consistenza visiva al luogo e ai suoi punti di riferimento; nulla più. D’altronde il minimalismo è un punto cardine delle opere di Gareth Damian Martin, come nel precedente e straordinario In Other Waters (ne parlammo qui), tutto vissuto attraverso il filtro di un radar. La sua natura ludo-artistica da GDR da tavolo si integra perfettamente con la narrazione, dove ogni azione diventa un tiro di dadi che simula la precarietà e la tensione della situazione, con il numero di tiri giornalieri che decresce in base all’energia rimasta nel corpo artificiale del protagonista. Una vita a turni, dura, complessa, che ci vede gradualmente e inesorabilmente coinvolti nelle lotte intestine della città tra Havenage e Yatagan (un mix micidiale di organizzazioni criminali e corporazioni), sempre più a nostro agio nel flow del quartiere dopo lo spaesamento iniziale, guardandoci sempre le spalle e conoscendo al contempo gente di cui fidarsi, pronta ad aiutare e ad essere ricambiata. Dinamiche da street life per un’opera che non teme certo di fare politica e dare messaggi non fraintendibili, portando in scena razzismo, emarginazione, povertà e criminalità in un contesto iper-capitalista, dove le corporation si spartiscono lo spazio diventando entità governative e onniscienti che usano le persone come carburante.

La cruda verità sulla natura degli Sleeper. Sabine è uno fra i personaggi più importanti di tutto il racconto.

Lo Sleeper conclude la giornata nel suo appartamento occupato abusivamente, neon, synth e lo sciamare delle navi fuori, mentre apre una scatoletta e la offre al gatto randagio che si aggira nel condominio, perché il buono esiste anche in queste condizioni e Citizen Sleeper è un gioco che il buono cerca sempre di farlo uscire, come un fiore che buca il cemento, raggi di ottimismo nel degrado. Ex operai usati e gettati via dalla corporation che ora cucinano in un banchetto da strada, deliziando gli avventori; scienziati che studiano misteriosi funghi nei recessi più estremi dell’Eye, comunità cyber-hippie, attivisti che provano in tutti i modi ad aggirare la burocrazia che trattiene a tempo indeterminato un’intera nave carica di profughi nella zona di quarantena, senza viveri e senza sapere se potrà mai attraccare. Uno sguardo inedito ad un’ambientazione futuristica per affrontare tematiche contemporanee, mettendo al centro le persone comuni e l’importanza delle loro azioni, riflettendo sui loro sforzi, le loro paure, con un sottinteso ricorrente: darsi una mano per alleviare i propri patimenti. Come un padre dolcissimo che porta la bimba molto piccola a lavoro per necessità, non avendo un posto dove lasciarla al sicuro, almeno finché noi non decidiamo di offrirci come babysitter. E se nello spazio nessuno può sentirti urlare, l’urlo della periferia viene sistematicamente ignorato, anche per questo Citizen Sleeper è un videogioco prezioso, culturalmente rilevante e capace di fare sci-fi e denuncia sociale in un modo unico, mescolando tematiche e servendole in un piatto che sa di cemento puro, senza retrogusto retorico.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata allo spazio, che trovate riassunta a questo indirizzo.

Voglio lavorare alla Planet Express!

Voglio lavorare alla Planet Express!

 Ma alla fine, Dead Space è davvero un survival horror? | Racconti dall'ospizio

Ma alla fine, Dead Space è davvero un survival horror? | Racconti dall'ospizio