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Ready Player One e l'apice della nostalgia | Cover Story

Ready Player One e l'apice della nostalgia | Cover Story

Il culto di Ready Player One nasce il 16 agosto del 2011, quando viene pubblicata in America l’opera prima del romanziere Ernest Cline (che aveva comunque già a curriculum la sceneggiatura dell’atroce Fanboys). Il libro racconta di un futuro distopico in cui la gente, depressa dallo stato completamente deflagrato delle cose, si rifugia in Oasis, un mondo in realtà virtuale dall’ambizione, dalla qualità e dalla riuscita clamorose, in cui tutti possono essere chi vogliono, possono accedere all’istruzione, possono gustarsi qualsiasi classico del passato (film, videogiochi… ) e hanno la possibilità di partecipare a una colossale caccia al tesoro organizzata James Halliday, creatore di Oasis. Il protagonista del romanzo si ritrova a inseguire il sogno di raggiungere l’easter egg più nascosto del gioco, che gli garantirebbe una ricca eredità e il controllo su Oasis stesso, e per farlo deve affrontare una serie di prove basate sui videogiochi, i film e i [inserire a piacere] più amati da Halliday. Ne viene fuori un racconto bizzarro, che piega la classica struttura in tre atti – comunque presente, ovvio – su uno sviluppo (wink wink) da videogioco, con livelli dalla difficoltà crescente. E il nerd-universo esplode. Il romanzo diventa subito un best seller a livello mondiale (in Italia ci arriva come Player One, anche se di recente è stato ripubblicato col titolo originale) e si comincia subito a parlare di un possibile adattamento cinematografico.

Se lo chiedete a me, Ready Player One è un romanzetto mediocre, scritto non particolarmente bene, con un immaginario davvero poco suggestivo e un intreccio stra-prevedibile, ma che ha sicuramente il pregio di risultare scorrevole e che, quando non si incarta sul frullato da centododicimila citazioni a paragrafo, riesce anche a tirar fuori un paio di modi interessanti per omaggiare il passato. È tale e quale a centomila altri libri “alimentari”, di quelli che ti leggi al volo cazzeggiando in spiaggia o giù di lì, ma ha dalla sua il pregio o il difetto, dipende da come la si prende, del modo in cui fa leva sulla nostalgia per esercitare un fascino esagerato su tutta una fascia di pubblico. Insomma, non m’ha scatenato l’erezione come, ne sono sicuro, ha fatto per tanti di voi, ma ci sta dentro anche per me. E a fine mese arriva finalmente la versione cinematografica, curata da uno Steven Spielberg che è allo stesso tempo la peggiore e migliore scelta per una roba del genere. Peggiore perché, ehi, stai adattando una roba che omaggia le cose che hai fatto tu, il corto circuito mi sembra fuori misura. Migliore perché, ehi, se c’è uno in grado di tirare fuori un film coerente, ben diretto, emozionante e piacevole da ‘sta robetta, che oltretutto, se adattata in maniera letterale, rischia di essere ingestibile (due tizi che giocano a Joust e uno che gioca a Dungeons of Daggorath fra le scene clou?), è Spielberg. Al di là del fatto che, per gestire il macello di diritti necessario a un adattamento decoroso di Ready Player One, avere l’uomo più potente a Hollywood che alza il telefono, chiede un favore e gestisce così, suvvia, fa comodo.

Ad ogni modo, Ready Player One arriva e, beh, potevamo evitarci di abbracciarlo con la Cover Story di marzo? No, che non potevamo. Per un attimo avevo preso in considerazione l’uscita del film di Tomb Raider, ma poi ho riso per dieci minuti e ho lasciato perdere. Il libro di Cline (e a maggior ragione, auspicabilmente, il film di Spielberg) è un perfetto punto d’incontro fra tutti gli argomenti che trattiamo solitamente qua su Outcast e si presta quindi a un frullato clamoroso di articoli e riflessioni di portare avanti nel corso del mese, pescando fra le mille opere che giocano un ruolo importante nel libro (e quelle che, giudicando dai trailer, sembrano giocarlo nel film) ma anche andando a pasturare altrove. Avremo Racconti dall’ospizio, podcast, streaming, ovviamente la recensione del film, approfondimenti di vario tipo, qualsiasi cosa, ovviamente all’insegna di quello sguardo al passato che, inutile negarlo, costituisce ormai abbastanza nettamente la “cifra” di Outcast. E lanceremo anche un nuovo podcast! Cosa chiedere, di più?

Come al solito, di seguito trovate l’elenco dei contenuti previsti, o perlomeno di quelli che siamo ragionevolmente convinti di riuscire a tirare fuori: stiamo lavorando anche su altro ma, in assenza di certezze, preferisco non fare promesse, anche perché manco è scontato che si riesca a mantenere quelle che vedete qua sotto, di promesse. L’elencone è più schematico del solito, con spesso indicato solo l’argomento. Abbiate pazienza. Ah, come da tradizione, sono inclusi anche pezzi che abbiamo pubblicato tempo fa ma erano tematicamente inseribili nella Cover Story. Meno del solito, ma ci sono.

Ah, ricordatevi che potrete raggiungere la Cover Story in qualsiasi momento, cliccando sul quadratone apposito che trovate nella colonna di destra (o in fondo a qualsiasi articolo se ci leggete da smartphone).

E buon divertimento!

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