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Tutti i boss della mia vita

Tutti i boss della mia vita

Parlare di videogiochi senza parlare di mostri grossi è come parlare di letteratura inglese senza parlare di Shakespeare o di calcio senza parlare del Milan: ti manca un pezzo fondamentale. “Mostri” è un termine-ombrello sotto il quale si può racchiudere, in ambito videoludico, più o meno di tutto: qualsiasi gioco che non ti metta contro ad altri esseri umani è popolato da “mostri”, “mostro” è la parola standard per definire il mobbino-non sapiens di qualsiasi videogioco. E “grossi” è una di quelle caratteristiche – come il color coding o il fatto di avere un nome proprio – che distinguono alcuni di questi mostri dagli altri e danno loro una gravitas superiore a quella del resto della carnazza da macello che c’è nel gioco. Nella stragrande maggioranza dei casi, un mostro grosso è anche un boss.

Who’s the boss? I’m the boss.

Who’s the boss? I’m the boss.

“Boss”. Che parola bizzarra che è, “boss”. In parecchi casi è sinonimo di “mostro grosso”, e più in generale sta a indicare un ostacolo da superare per proseguire nella storia, o nell’esplorazione del mondo, o per completare una missione. Una volta stavano alla fine del livello, ma oggi anche i livelli stanno sparendo in favore degli open world e delle segmentazioni oblique dell’esperienza di gioco; eppure i boss continuano a esistere, e a popolare i nostri incubi. “Boss”: c’è quasi un sottotesto malavitoso, l’idea che questa creatura più grossa e forte delle creature che hai incontrato prima sia in qualche modo anche il loro capoccia, dia loro gli ordini, li gestisca come un padrino gestisce i suoi picciotti. Quando ero piccolo li chiamavo “custodi” o “guardiani”, un termine che nasce per me con il primo Zelda, nel quale i boss erano queste creature solitarie nascoste nella stanza più lontana dall’entrata e che custodivano, appunto, un pezzo della Triforza; poi con il passare degli anni mi sono arreso all’evidenza e al fatto che tutte le riviste di videogiochi che leggevo usassero il termine “boss”, e da allora non sono ancora riuscito a trovare un sinonimo più efficace.

E sì che ne ho visti di boss. In una scala che va da zero a “eccidio di mostri grossi”, la mia carriera di videogiocatore (come quella di qualsiasi persona che gioca ai videogiochi, in realtà) si colloca all’incirca a livello “massacro di proporzioni ciclopiche e gargantuesche”; non è colpa mia! Ancora oggi quando in un gioco si tratta di chiudere un arco e passare al capitolo successivo si sceglie di punteggiare il momento con un qualche mostro grosso, o con tanti mostri piccoli e incazzati che è poi sarebbero la versione “hive mind” del mostro grosso; i boss hanno spesso questo privilegio di avere persino il nome scritto a schermo, a volte accompagnato da una lunghissima barra della salute che sta a indicare che di grosso questo mostro non ha solo le dimensioni corporee. Trent’anni (ormai quasi quaranta, ahimè) a videogiocare mi hanno permesso di assistere in diretta all’evoluzione del mostro grosso videoludico, del concetto di boss e di tante altre cose di questo tipo che rendono la vita degna di essere vissuta. Ora mi verserò dunque un bicchiere di corposo vino rosso e mi lancerò in una cavalcata lunga decenni, piena di nostalgia, bestemmie e schermate di caricamento, per ricordare tutti i boss più importanti della mia vita, generazione dopo generazione.

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Quando ero giovane io: Dodonghi e Digdogger

I primissimi videogiochi a cui ho giocato sul computer di papà non avevano in realtà dei gran boss, non come vengono concepiti oggi: non c’erano in Zork, per esempio, e anche nel primo Prince of Persia latitavano, a meno di non considerare la clessidra come un boss onnipresente. Il primo boss della mia vita è quindi senza ombra di dubbio il primo boss di The Legend of Zelda per NES, il primo gioco della prima console che possedetti (posseqqui? possebbi?). Si chiama Aquamentus, è un drago cornuto che spara pallotte e riempie ben quattro caselle dell’invisibile griglia di gioco (Link ne copre una, per dare una proporzione). Lo ricordo con affetto, ma non quanto ricordo con affetto il boss del secondo dungeon, il Dodongo, che negli anni è diventato un grande classico del franchise: è un lucertolosauro corazzato che si sconfigge solo buttandogli le bombe in bocca, il che lo rende Lo squalo dei videogiochi e Shigeru Miyamoto lo Spielberg di chi videogioca. Il primo Zelda era ripieno di mostri grossi deliziosi, con nomi altrettanto pazzeschi: Manhandla, per esempio, che sembra il nome di un rapper californiano, e soprattutto Digdogger, il primo boss di un videogioco a farmi credere nell’esistenza degli universi condivisi (nel senso che per anni mi sono convinto che fosse una mutazione genetica del protagonista di Dig Dug).

Quando ero un po’ meno giovane io: mostri grossi su console piccole

Sono nato nintendaro e lo sono rimasto per anni: dopo il NES ho avuto il Game Boy e lo SNES, e solo verso la fine degli anni Novanta sono tornato alle mie vere origini e mi sono fatto un PC da gioco. Ho tanti bellissimi ricordi del Game Boy, ma pochi legati a mostri grossi: le cartucce costavano per cui non ne avevo tantissime, e tra una cosa e l’altra finivo sempre a rigiocare a Link’s Awakening, dove i mostri grossi non mancano ma che ti rimane in testa per altri motivi. C’erano mostri grossi in un altro gioco che amavo molto al tempo, Mystic Quest (o Final Fantasy Adventure se preferite il titolo americano), ma mentirei se dicessi che mi ricordo com’erano senza andare a controllare: immagino che le dimensioni ridotte dello schermo del Game Boy riducessero di parecchio l’impatto di un mostro grosso. Ricordo però con piacere i mostri di Battle of Olympus: non erano grossi, ma erano greci, mitologici e quindi molto ufficiali, praticamente un brand – era una figata poter prendere a botte l’intero franchise “Pantheon dell’Olimpo Extended Universe”.

THRAXX sembra il titolo di una canzone dei Metallica di Load.

Per quel che riguarda il Super Nintendo invece voglio solo segnalare un titolo: Secret of Evermore. Oltre a essere un fantastico action-RPG pieno di idee brillanti, trovate pazze di gameplay, misteri misteriosi e una varietà di ambientazioni e situazioni fuori scala, è anche, credo, il primo gioco della mia vita che ho comprato sulla fiducia, comprato dall’immagine in copertina. Che rappresenta, guarda un po’, un mostro grosso e insettoso; non è l’unico presente nel gioco, che uscì peraltro lo stesso anno di Load dei Metallica, per cui l’associazione tra le due opere mi viene automatica, e peraltro Load è un disco dove c’è l’equivalente chitarristico dei mostri grossi, cioè i riff grossi, ma grossi grossi. Che grandissimo disco che è Load.

Ritorno a casa: Baldur’s Gate e Diablo

Il mio più grande nemico durante la mia fase PC è stato e sempre sarà l’effetto nebbia di Fifa 98, che non riuscivo a far funzionare a dovere sul mio computer e che mi mandava ai matti: non credo di aver mai completato una stagione a Fifa 98 senza provare a fixare la storia della nebbia, fare casino ed essere costretto a reinstallare il gioco da capo perdendo i salvataggi. Lo ricordo come un periodo pieno di strategia in tempo reale e strategia a turni, due generi che hanno in comune il fatto di avere a che fare con la strategia ma anche quello di permetterti di utilizzare i mostri grossi invece che limitarti ad ammazzarli. Dungeon Keeper, per dirne uno, era un gioco dove i mostri grossi andavano coccolati! Dev’essere stato in quel periodo che ho cominciato a sviluppare la mia coscienza sociale e ad abbracciare la causa del mostrigrossismo. I mostri che porto più nel cuore, però, non sono quelli di Warcraft 2 o di Starcraft, ma i draghi di Baldur’s Gate, il butcher di Diablo e all’incirca il 50% del cast di Final Fantasy VII, che giocai passivamente (nel senso che giocava mio fratello e io guardavo e facevo il tifo) per un migliaio di ore allo scopo di allevare tutti i chocobo possibili e sbloccare la Materia Knights of Round. Final Fantasy VII è ovviamente strapieno di mostri grossi, e non solo di boss grossi, voglio dire, il Midgar Zolom è un mobbino qualunque ed è più lungo della via in cui abito (molto più lungo, credo). Ma sono i vari draghi di Baldur’s Gate e Baldur’s Gate II che mi hanno segnato davvero: perché sono grossi, certo, ma anche perché sono il genere di nemico che richiede, per essere sconfitto, pazienza, preparazione, l’equipaggiamento giusto, un piano di battaglia molto preciso e pure una certa dose di fortuna. Il genere di roba che ti porta via tre pomeriggi se non consulti guide e vai solo a sentimento, quindi il genere di roba che a quindici anni ero solo contento che esistesse.

STRONZO

STRONZO

Quella volta che spaccai un controller

Nintendo esclusa, comprai la mia prima console all’incirca nel Duemila e qualcosa, quando folgorato dalla pubblicità di Halo e dalla possibilità di attaccare una roba alla TV e giocare senza dover pitoccare con le impostazioni o cambiare scheda grafica ogni sei mesi raccolsi i miei sudati risparmi, li asciugai dal sudore perché che schifo, e mi comprai una Xbox. Grazie a questa Xbox incontrai parecchi mostri grossi, ma non ne incontrai nessuno tante volte quanto feci con SMAUGAN mannaggia a lui scopro oggi che si chiama SMAUGAN, il drago delle caverne infuocate di Ninja Gaiden, non Black, non II, non Super Mega Turbo Edition, solo Ninja Gaiden, uno dei giochi di menare con la spada più belli e stronzi a cui abbia mai giocato. SMAUGAN era grosso, incazzato e con delle hurtbox sbagliate che rendevano il combattimento più duro di quello che sarebbe dovuto essere, e aveva quella caratteristica che hanno molti mostri grossi nei videogiochi e che fosse per me sarebbe vietata per legge: TI ONESHOTTAVA. Erano anni in cui questa meccanica di merda (che oggi che siamo nel 2021 non è ancora sparita del tutto) era ancora ben presente, e immagino che fosse un retaggio degli arcade e di quando i giochi erano difficili per farti spendere più soldi. Però mannagg*********** dieci minuti di concentrazione totale spazzati via per mezzo errore di distrazione, è tanto strano che nel pieno della fotta del mio primo playthrough mi sia capitato di lanciare il paddino contro il muro dopo essere morto per l’ennesima volta da SMAUGAN? Non vedo l’ora che esca la megaremaster di Ninja Gaiden per riscoprire se SMAUGAN è davvero così STRONZO oppure se ero solo SCARSO.

Quella volta che mi sentii in colpa, ma alla fine tutto bene

Non ho mai avuto una PlayStation 2, ma ho avuto (ce l’ho ancora in realtà) un amico che ce l’aveva e a casa del quale ho passato un buon 40% del mio tempo in quegli anni. Per cui ho esperito anch’io quello che chiunque ha esperito quando ha finito per la prima volta Shadow of the Colossus: quella tremenda sensazione di CHI È IL VERO MOSTRO GROSSO? che può derivare solo dall’aver massacrato placide muccone alte come palazzi e simpatici uccelloni giganti. Colossus fu tra l’altro per me una sorta di viatico verso un più vasto apprezzamento della produzione giapponese extra-Nintendo, e fu anche grazie a quel gioco che cinque anni dopo mi convinsi a comprare una PlayStation 3 e questa roba che si chiamava Demon’s Souls e che prometteva valanghe di mostri grossi. Fu come spalancare la porta su un abisso: da allora i boss, i mostri grossi e i boss grossi mi sono stati a fianco tutte le sere e tutte le mattine e tutti i pomeriggi e anche spesso nelle pause pranzo. C’è anche un’altra questione: a dieci anni giocavo sempre agli stessi dieci/quindici giochi e ci ho giocato per anni, a quindici i giochi sono diventati trenta, a venti cinquanta e la morale è che più passa il tempo più esce roba e più io ho possibilità di giocare a roba (che si traduce anche in investire cospicue somme di denaro per giocare a roba).

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 Quando avevo il NES giocavo a un gioco nuovo ogni due anni, ora gioco a un gioco nuovo ogni due giorni: c’è sempre meno tempo persino per i mostri grossi per ritagliarsi uno spazietto nel mio cuore, perché devono sgomitare con centinaia e migliaia di, be’, altri mostri grossi. Per cui, se non faccio fatica a individuare i mostri della mia gioventù con una certa precisione, quando ripenso agli ultimi dieci anni ho in testa solo un pastone dal quale emergono ogni tanto alcuni boss che mi sono rimasti più impressi di altri. Provo a stilare un rapido elenco fatto a zibaldone, quindi senza alcun rispetto per la cronologia:

- Il kayran, il coso con i tentacoli di The Witcher 2. Ricordo perfettamente che fu il primo boss a farmi pensare “mmm, forse non è davvero necessario che ci siano i boss in ogni cazzo di gioco”. The Witcher 2 è un gran gioco, e sarebbe stato anche meglio senza il kayran e la sua boss fight zeldosa fuori luogo.

- Sui boss di [Qualcosa] Souls ho già scritto più in alto, e soprattutto ci ho scritto un intero pezzo in questa stessa cover story, quindi andatevelo a leggere.

- Non lo so se il Terminator gigante alla fine di Mass Effect 2 sia da considerare un mostro grosso, in generale non so se i mostri grossi di Mass Effect sono DAVVERO mostri grossi oppure entità biomeccaniche grosse. Fatto sta che ero salito a bordo per fare un sacco di scelte nei dialoghi e provare a bombarmi l’equipaggio della Normandy e mi sono trovato davanti una roba alta come un palazzo e con la faccia di un T-1000. Pessima boss fight, ma grande impatto.

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- C’è tutto un ragionamento che dovrei fare sui roguelike, o -lite, che è conseguenza del fatto che non importa quanto grossi siano i mostri grossi di uno di questi giochi, arrivato a un certo punto li avrai combattuti tutti quanti mille volte e non ti faranno più effetto. The Binding of Isaac è il rogueli*e a cui ho dedicato più tempo nella mia vita, e quando vedo Mama Gurdy non penso “che schifo, un mostro grosso tumoroso che sputa vomito!” ma “che merda, ho la build sbagliata per affrontarla”. La ripetizione depotenzia i mostri grossi? È una bella domanda che lascio ai posteri.

- Alla fine di Persona 5, un gioco pieno di mostri grossi a volte a forma di cazzo e uno dei miei giochi preferiti di sempre, il mostro grosso da prendere a pugni sul grugno è sostanzialmente Dio, o almeno un’entità superiore che si spaccia per tale. La possibilità di dare cazzotti a Dio (come nel finale della trilogia Queste oscure materie di Pullman) è uno dei motivi per cui gioco ai videogiochi, e non credo esista un mostro grosso più mostro grosso di Dio. Un altro gioco dove pigli a pugni una divinità grossa è Bayonetta, che infatti è un gioco molto bello.

ROBOSAURI!

- Mi ha sempre affascinato molto Xenoblade Chronicles 2, un gioco che si svolge SOPRA E DENTRO dei mostri grossi, ma non ci ho mai giocato. Questa cosa dello stare sopra i mostri grossi però mi ricorda i vari God of War, che in alcuni ambienti di Mostrolandia sono conosciuti come “la sagra del mostro grosso”.

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- Una menzione a parte voglio dedicarla alla sottocategoria dei Mostri Grossi Subacquei. La prima volta che ho visto un Leviatano in Subnautica (uno dei giochi più belli della storia dei giochi più belli) mi sono sentito come quello là sulla strada di Damasco, e una delle esperienze videoludiche più incredibili che possiate provare è giocare a Sunless Sea, nel quale si vaga per un mare sotterraneo popolato, tra le altre cose, indovinate un po’?, da mostri grossi, grossissimi e grossissimisissimi. Un cinque altissimo anche al mostro grosso di Return of the Obra Dinn, in grado di suscitare terrore ancestrale anche stando fermo immobile in un diorama interattivo.

- L’unico motivo per arrivare in fondo a quella tortura medievale che è Oblivion è che il boss finale è un mostro grossissimo con quattro braccia.

- Chiudo con quello che è il mio mostro grosso preferito: il cazzo grossissimo di Satana in Dante’s Inferno.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai MOSTRI GROSSI, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

Sommovimenti intestinali

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