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Racconti dall'Ospizio #226: Ninja Gaiden o, come lo conoscevo io, Shadow Warriors

Racconti dall'Ospizio #226: Ninja Gaiden o, come lo conoscevo io, Shadow Warriors

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

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Vi chiedo innanzitutto scusa perché questo pezzo si aprirà nel modo peggiore: con un lungo aneddoto personale sulla mia infanzia. Mi aiuta a contestualizzare. Stateci.

Dunque. Come già testimoniato in passato su queste pagine, la mia prima console da gioco personale non condivisa con i genitori fu il NES, che mi venne regalato insieme ad alcuni giochi. Non tanti giochi, perché costavano un sacco e anche perché avevo già due Zelda e due Mario a disposizione, non è che mi servisse molto altro (quel “molto altro”, nello specifico, era rappresentato da Solstice, ve lo ricordate? Stupendo).

In fondo alla via, però, abitava il mio amico Figlio Unico, che in quanto Figlio Unico era ovviamente Viziato e possedeva Tutti I Giochi, o almeno così mi sembrava, visto che tutte le volte che andavo a giocare da lui aveva qualcosa di nuovo da mostrarmi (immagino che la mia memoria di ottenne abbia contribuito all’effetto). Ovviamente, Tutti I Giochi non erano tutti, ma una ventina abbondante sì: lo so perché, in un momento di privilegio supremo da Figlio Unico Viziato, Figlio Unico Viziato ricevette in dono lo SNES il giorno dell’uscita, e compassionevolmente mi regalò il suo Sacco Dei Giochi, «tanto non ne ho più bisogno».

(passeranno un paio d’anni prima che anch’io lo raggiunga nell’Olimpo dei 16 bit)

Una foto di Figlio Unico Viziato.

C’era di tutto. Super Mario Bros. 3, innanzitutto, ancora oggi il miglior Mario 2D di sempre. Piccoli giochini scrausi, Soccer, Baseball, Rad Racer. Il buffissimo e incomprensibile Solar Jetman (S O L A R J E T M A N). TMNT e il suo livello subbaqquo. Star Wars, il primo, quello con la fuga dal campo di asteroidi. Faxanadu. Metroid (non Castlevania, però: a quello arrivai anni dopo, con gli emulatori). Kid Icarus, una fra le sudate più clamorose della mia infanzia videoludica. Life Force, che mi insegnò il concetto di “zona” intesa come spazio mentale di assoluta perfezione performativa. Altri che al momento mi sfuggono.

E poi c’era Ninja Gaiden o, come lo conoscevo io, Shadow Warriors (se qualcuno vi dice che da piccolo giocava a “Ninja Gaiden per Nintendo” o aveva una copia importata dal Giappone oppure vi sta mentendo)

It’s the eye of the ninja, it’s the thrill of the fight.

Ninja Gaiden mi insegnò la violenza.

Il discorso sulla difficoltà dei vecchi giochi NES come conseguenza del loro debito verso i vecchi arcade e il videogioco inteso come ricerca di un punteggio sempre superiore è vecchio come i vecchi giochi NES, e l’ho peraltro appena sintetizzato in tre righe. Nella mia testa si sintetizza invece in due parole: “Gaiden” e “Ninja”. Più di tutti i Mario, più di tutti gli Zelda, nei quali l’aspetto avventuroso ed esplorativo è sempre stato preponderante, più di Battletoads e dei Mega Man, ai quali arrivai qualche tempo dopo, Ninja Gaiden rappresentava per me la Sfida, non solo alla macchina ma anche a me stesso, alle mie dita, ai miei riflessi. Meccanicamente era perfetto, rispondeva ai miei comandi con rapidità e precisione, non mi dava mai la sensazione che mi stesse mettendo i bastoni tra le ruote. Però mi spediva regolarmente addosso ondate di roba pericolosissima, tutta, con attenzione e precisione, perfettamente evitabile o eliminabile.

Imparerò solo anni dopo tutta la storia della saga, che nasce negli arcade e arriva poi su console per mano di un esordiente, e il curioso dettaglio che “gaiden” significa in sostanza “spin-off” pur non essendo la serie lo spin-off di nulla. Quello che però mi era già chiaro al tempo era che, dietro la sua facciata di platform con le botte, Ninja Gaiden aveva anche ambizioni narrative (c’erano anche una ventina di minuti di cutscene) e mitopoietiche, e che Ryu Hayabusa, il protagonista, il ninja più fichissimo che sia mai esistito nei videogiochi, sarebbe diventato un marchio, nonostante all’epoca non avessi idea di cosa fosse un marchio (né di cosa volesse dire “mitopoiesi”). Perché non solo era protagonista di un videogioco estremamente divertente e di grande atmosfera

Dai oh.

Ryu aveva anche, come Link e Mario, la personalità e il talento per reggere sulle sue spalle uno o più sequel, che puntualmente arrivarono e, come si usava all’epoca, fecero “lo stesso gioco, però di più/meglio”. Ci rimasi malissimo quindi quando, dopo un terzo capitolo per NES dal glorioso titolo di THE ANCIENT SHIP OF DOOM, Ryu scomparve per anni; pregai per il suo ritorno per qualche tempo, poi me ne dimenticai, preferendo inseguire altri eroi dai nomi altisonanti tipo “Minsc” e “Boo”.

Successero poi due cose nel giro di pochi anni: Internet come fonte più o meno stabile di notizie, che altrimenti ero abituato ad andarmi a cercare mensilmente sulle riviste in edicola, e l’Xbox. Nel 2004, sapevo, perché ne avevo letto per l’appunto sull’Internet, che qualcuno aveva fatto uscire un gioco di nome Ninja Gaiden, che c’entrava con il vecchio Shadow Warriors, e cominciai a cercarlo in tutti i migliori negozi di giocattoli. Ero ancora abbastanza nuovo al mondo delle console del futuro, ero salito sul carro di Microsoft conquistato da Halo (e mi ero quindi perso Devil May Cry, è un dettaglio importante) e lì mi ero più o meno fermato, ancora troppo affezionato ai ponderosi e rilassanti GdR per PC, per abbandonare del tutto la piattaforma.

Ninja Gaiden, che, in una mossa nostalgica che Captain Marvel dovrebbe solo farmi i complimenti, comprai in un Blockbuster, fu uno shock culturale. Era velocissimo, feroce, esigente, un gioco di performance con una storia appiccicata intorno solo per farti prendere fiato tra una mazzata e l’altra; qualcosa che non incontravo dai tempi del NES, ma in una forma nuova, supersexy, tutta frenesia e inquadrature sbilenche. Era la visualizzazione 3D, e quindi non certo realistica ma a modo suo più vera e tangibile, rispetto all’astrazione 2D della trilogia originale. Non solo: l’esplosione della prospettiva (o “l’aumento di dimensioni”, che suona come una pubblicità su Internet di quegli anni lì) moltiplicava anche i vettori di pericolo, qualsiasi cosa voglia dire, e quello che vuole dire è che è shockante doversi all’improvviso preoccupare a 360°, invece che solo del sopra/sotto/ai lati. Che immagino sia la stessa cosa che provarono tutti coloro che comprarono Devil May Cry per PlayStation 2, quello e il gusto di applicare la filosofia delle combo di un picchiaduro a un’avventura narrativa (per quanto lineare), invece di confinarla a un’arena e allo scontro tra due lottatori.

Bone and boner.

Quello che Ninja Gaiden faceva in più rispetto al cugino di casa Sony, e che a mio personalissimo giudizio lo eleva ancora oggi rispetto alla concorrenza, era spalancare ancora di più le porte alle influenze diciamo così “avventurose”, o “Zelda”, in qualche modo, evitando la struttura corridoio -> arena -> corridoio -> boss in favore di un approccio aperto, più vicino a quello che sempre in quegli anni farà la fortuna di God of War e anche, perché no, di Prince of Persia, che di fatto non è altro che un Ninja Gaiden a proporzioni invertite. C’erano enigmi e puzzle ovunque, in Ninja Gaiden, aree strapiene di segreti, segreti che erano aree che erano enigmi – per tornare a tempi più recenti, un gioco come Nioh, che nasce con l’ambizione di far incontrare Ninja Gaiden e Dark Souls, può solo sognarsi di arrivare ai livelli di alcuni, ehm, livelli del suo modello. C’era una direzione artistica fuori scala, soprattutto per quel che riguarda nemici e boss, come si addice a un gioco incentrato principalmente sul farli fuori; c’era una cura pazzesca nel dare personalità e un senso logico a ogni area, una ricerca costante di novità e nuovi modi per far fuori il giocatore. C’era l’ormai classica progressione di ogni buon hack and slash che si rispetti, che prevede di cominciare a combattere in luoghi normali contro gente normale e di finire all’Inferno a prendere a mazzate Satana o cose simili.

C’era poi ovviamente un sistema di combattimento eccellente per varietà di soluzioni (e di problemi proposti) e pura precisione meccanica che, fatto salvo qualche problema con la telecamera, trasformava ogni round di botte in un balletto e ogni morte in una pura e semplice dimostrazione di incapacità da parte del giocatore, mai in un’ingiustizia.

(Questo non significa che Ninja Gaiden non fosse in grado di far infuriare anche un monaco tibetano. Non ne sono fiero, ma a oggi l’unico controller che abbia mai spaccato per la frustrazione in vita mia è responsabilità del drago sputafuoco di Ninja Gaiden.)

Mannaggia Gaiden.

«C’è anche» sento borbottare il tizio in terza fila, non fare finta di nulla, so chi sei, stronzo «una buona dose di nostalgia e di occhiali con le lenti rosa», e invece no, saputello del cazzo, e sai perché?

Perché per scrivere il pezzo ho tirato fuori dallo scaffale la PS3 e ho rigiocato un po’ (non tutto, c’è anche Devil May Cry 5, ci avete giocato? È pazzeschissimo) a Sigma, la versione rimasterizzata e imbellita e arricchita ma altrimenti intatta del gioco per Xbox, e l’ho trovato come me lo ricordavo: precisissimo e affilato come un rasoio, impeccabile nell’esecuzione (fatti salvi i già citati problemi di telecamera, ahimè, che però si sentono solo nei peraltro rari momenti di claustrofobia vera) e ancora oggi arrogantissimo, sia nel presentare il suo protagonista sia nel metterlo di fronte a orde di creaturi deformi e ad alcuni fra i boss migliori e più tosti mai apparsi nel genere.

Best emmia ever.

Ospizio stocazzo, Ninja Gaiden si meriterebbe piuttosto lo stesso trattamento riservato a tanti classici e meno classici negli ultimi anni, una bella ENHANCED REMASTERED REBORN EDITION ULTRA per salutare con una gragnuola di mazzate questa generazione di console. Non succederà, anche perché la serie è andata in calando con i successivi due capitoli (2 ancora di livello e con qualche ottima idea, 3 impresentabile, poi se volete parliamo di Yaiba, una delle potenziali figate più gettate nel cesso nella storia delle potenziali figate gettate nel cesso) e di fronte all’esplosione di Devil May Cry e Bayonetta siamo rimasti in pochi a cagarcela, o a rimpiangerla.

Peccato.

«Stronzi».

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Devil May Cry e alle pizze in faccia alla giapponese, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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