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Ghost in the Shell, i trent'anni di un monumento

Ghost in the Shell, i trent'anni di un monumento

Al trentesimo anniversario del primo film di Ghost in the Shell, è emblematico (ma anche triste) che sia ancora il migliore in assoluto. Perché non rappresenta solo "il Blade Runner" dei fumetti giapponesi, ma è un autentico mostro sacro per tutti gli appassionati di Anime. Tant'è che il sottoscritto nasce come fan dei comics americani ma si è convertito al “lato oscuro” dei fumetti giapponesi grazie all'opera firmata Masamune Shirow (autore del fumetto originale).

Questo molto prima che uscisse il film, all'inizio degli anni Novanta, quando l'omonimo manga arrivò nelle edicole italiane. Lo splendore dei disegni, le trame complicatissime e l'atmosfera filosofica componevano un esempio di fantascienza visto raramente fino ad allora. Se è vero che la premessa è identica a quella di Blade Runner (un mondo futuristico abitato da robot e umani), la sua realizzazione é molto diversa. Se il capolavoro di Ridley Scott punta quasi tutto sull'impatto visivo, Ghost in the Shell ci cattura per quello che sta dietro le immagini.

La sequenza iniziale ha fatto storia.

La protagonista, l'ormai popolarissima Motoko Kusanagi, è un androide poliziotta che non soffre alcun dramma esistenziale (al contrario di Deckard). Svolge semplicemente il proprio lavoro al servizio delle istituzioni, ponendosi ben pochi interrogativi sull'essere un organismo artificiale. Almeno fino al sopraggiungere di una IA particolarmente evoluta che la "risveglia" dal suo stato di semplice robot, dandole una vera e propria coscienza (lo spirito, ghost, del titolo).

Se nel manga si affrontano diversi argomenti, ed è presente parecchia politica, è solo questo il soggetto del film che nel 1995 stupì tutti gli appassionati del genere. Per la qualità delle immagini, sicuramente, ma anche per la profondità della trama. All'epoca, vedere un cartone animato giapponese al cinema era clamoroso, dato lo strapotere Disney. Non importa che l'Italia, indietro come sempre, lo vide in ritardo e solo tramite home video. Merito di Akira, con tutti i suoi difetti, che qualche anno prima aveva "abbattuto la diga" dei preconcetti sul materiale in arrivo dal Giappone.

Una pietra miliare, grezza quanto volete ma sempre una pietra miliare.

Allo stesso Akira, e al successo che ottenne soprattutto in America, si deve la realizzazione di Ghost in the Shell. L'intero progetto arrivò sui nostri lidi dall'anglo-americana Manga Entertainment, che non badò a spese puntando sull'esplosione dei fumetti giapponesi fuori dalla loro patria. E per essere un'idea preconfezionata, riuscì perfettamente grazie al visionario regista Mamoru Oshii. Se è vero che la sua interpretazione di Ghost in the Shell è forse troppo "filosofica", il peso complessivo dell'opera resta enorme.

Tant'è che nessun altro, nemmeno lo stesso Oshii con il sequel, è riuscito a replicarne le vette qualitative. Iniziando dalla versione statunitense con protagonista Scarlett Johansson, chiaro esempio di come Rupert Sanders sia abile a distruggere i classici (si è ripetuto con Il corvo). Gli unici che hanno sfiorato il capolavoro del '95 sono gli studi Production IG con le due stagioni della serie Stand Alone Complex. Grazie alla maggiore durata ne approfondisce molti aspetti, svelando nuovi punti di vista sul mondo futuristico del manga.

Il dettaglio dei fondali resta, ancora oggi, clamoroso.

Ma è l'opera originale, tocca ripeterlo, a rasentare la perfezione sia tecnicamente sia nei contenuti. Tolta una certa brevità in rapporto al materiale offerto dal manga, e qualche scena troppo lenta, è veramente difficile trovarle difetti. A cominciare dalle animazioni, che usavano sì elementi in computer grafica, ma così raramente da non stonare in alcun modo. Personaggi e (soprattutto) fondali creano un affresco futuristico con pochi eguali ancora oggi, mentre alcune inquadrature rimangono allo stato dell'arte. Il montaggio che illustra New Port City, nella parte centrale del film, è forse quello più significativo.

Ispirata a Hong Kong, e modellata sulle sue caratteristiche di allora, la città che accoglie tutti gli eventi della pellicola è un quadro affascinante. Unendo edifici antichi e in rovina agli ultimi ritrovati tecnologici, rappresenta perfettamente il caos di un futuro che non si stacca dal passato, ma che fa di tutto per eliminarlo. E quando Motoko si rivede in altri individui identici a lei, c'è pure il lato preoccupante: non devono andarsene solo i vecchi palazzi, ma anche l'umanità.

L'indubbia qualità artistica dell'originale è stata annacquata da un remake abbastanza inutile, in cui molte scene vennero rifatte in computer grafica. Persino il seguito ufficiale, Innocence, resta indietro come qualità complessiva pur contando sul medesimo regista e sul progresso tecnologico. Come sempre avviene, la disponibilità di strumenti migliori non vuol dire che il risultato finale sarà un successo. Quando ancora si disegnavano molti elementi a mano, il primo Ghost in the Shell lo ha dimostrato chiaramente.

Promette bene, ma è meglio tenere le aspettative al guinzaglio.

Quindi cosa resta di questi trent'anni? L'ottimo Stand Alone Complex insieme a molti tentativi falliti di spremere a fondo un marchio famoso. Nella mia personale classifica dei peggiori metto sul podio l'ultima serie Netflix, la miniserie Arise e il film "live action" seguiti da un paio di videogiochi che definire mediocri è essere buoni. Ghost in the Shell meritava di meglio? Forse, ma è inevitabile che la qualità venga diluita fino a scomparire quando un'opera diventa un prodotto fatto in catena di montaggio.

In positivo, quel poco che si è visto della serie animata in arrivo nel 2026 promette bene, soprattutto come fedeltà verso il manga originale. Il design dei personaggi resta molto vicino al fumetto e sembra ci sia l'intenzione di ricrearne buona parte degli eventi. Riusciranno gli studi Science Saru nell'impresa? Personalmente nutro poche speranze ma spero anche di sbagliarmi. Dopotutto, dal fondo si può solo risalire (no, non dite "scavare"), benché le vette raggiunte nel 1995 siano lontane chilometri.

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