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Leggende Pokémon: Arceus parla di me | Spoiler Zone

Leggende Pokémon: Arceus parla di me | Spoiler Zone

Una rubrica in cui parliamo di giochi, film, libri, la qualunque, a posteriori, senza farci alcun problema di spoiler. Se non avete ancora "consumato" ciò di cui si parla, in questo caso Leggende Pokémon: Arceus, statene alla larga, perché qui potremmo svelarvi ciò che non volete sapere!

Non è facile scrivere o parlare di Leggende Pokémon: Arceus. E per chi segue la serie da Pokémon Rosso e ha attraversato con fedeltà incrollabile ogni uscita della saga principale e affossato i denti in quasi tutti gli spinoff… non è nemmeno tanto facile giocarci, a Leggende Pokémon Arceus.

Non è facile nemmeno scrivere ogni volta il nome completo del gioco, quindi lasciatemi il favore di chiamarlo più semplicemente Pokémon Arceus, OK?

Dicevo, non è facile giocarci. E non è facile nemmeno metterlo giù una volta entrato nel mondo di gioco.

Pokémon Arceus è infatti un “bel gioco brutto”. O forse un “brutto gioco bello”. Fate un po’ voi.

Avviso ai lettori: ci saranno molti spoiler, molti dei quali avvengono in questo luogo.

Tecnicamente imbarazzante, lo sapete già, ma con una grande anima e persino molto coraggioso nelle scelte che fa nel ribaltare, modificare, stropicciare molti dei tratti caratteristici della serie classica. Non sempre lo fa al meglio e sì, risulta a volte grezzo e poco equilibrato anche dal punto di vista di design (specialmente con le battaglie), ma lo si apprezza per il tentativo - comunque riuscito - di introdurre molti elementi che pad alla mano funzionano benone. Insomma: un buon “primo episodio” che lascia ben intravedere per il futuro, specialmente se, magari, molte sue idee sull’esplorazione verranno poi assorbite anche dalla serie principale.

Ma al di là delle texture slavate, dei popup e del sistema di danni che dopo trenta ore ancora non ho ben compreso, il vero motivo per cui non è facile - ma al contempo facilissimo - giocare e valutare Pokémon Arceus è un altro.

Il gioco parla di me. No scusate, parla a me.

Eroe, oppure agente esterno che scombussola l’equilibrio di un mondo?

O, meglio, parla a giocatori come me. Giocatori che alle elementari mettevano da parte i risparmi di lavoretti estivi per giocare Pokémon Rosso, che fingevano febbri improbabili per restare a casa a catturare Ho-Ho su Oro e che poi sono impazziti per il competitivo con Smeraldo.

Sarà pure un gioco “nuovo” o l’inizio di una nuova serie ma sono decisamente convinto che, in un più di un’occasione, Game Freak si siano spinti a una “meta-discussione” molto più profonda di quello che può apparire. Quasi una Yoko-Tarata. O forse, semplicemente, mi piace crederlo.

E perché non dovrei farlo?

Seguitemi in questo percorso pieno zeppo di spoiler, come direbbero quelli bravi su YouTube.

Una frase che sembra uscita da Peduzzi ma che in realtà è centrale nel racconto che Pokémon Arceus vuole fare.

Il personaggio di Pokémon Arceus cade letteralmente dal cielo da una dimensione parallela a quella della Hisui del gioco, una versione “antica” della regione di Sinnoh. Nome che, in Pokémon Arceus, è dato alla divinità che si suppone governi l’esistenza dell’intero mondo.

La domanda mi devasta (cit.).

Il protagonista perde sì la memoria nella caduta, ma comunque conosce i Pokémon. A differenza degli abitanti di Hisui, non ha paura delle succitate bestioline: o meglio, ne riconosce la pericolosità ma sa anche che possono essere validi strumenti/alleati/amici nel corso dell’avventura. Insomma, che sono uno strano ibrido tra bestie selvatiche pronte a scatenare terremoti e docili pet da accarezzare.

E il resto del gioco non fa altro che rafforzare questo continuo oscillare tra vecchio e nuovo, in uno “scopri i rimandi e le differenze” che si articola tanto quanto i - verbosi - dialoghi quanto le meccaniche e gli elementi di gioco. 

Di esempi ne posso fare diversi. Anzitutto le Pokéball e il sistema di catture. È possibile tanto sfiancare il Pokémon avversario con attacchi, come al solito, quanto invece, appostarsi come un provetto Solid Snake e lanciare di soppiatto una sfera, meglio alle spalle della preda, per farla propria. Nuovo e vecchio, tradizione e stravolgimento si mescolano incessantemente. 

Il gioco ti ricorda spesso che tu, in quanto giocatore, hai conoscenze che magari il mondo di Hisui ancora non ha.

Nel suo rapporto con i Pokémon il protagonista/giocatore ha sempre un vantaggio, una consapevolezza che sembra “innata”, ma in realtà è qualcosa di guadagnato e accresciuto proprio nelle esperienze fatte “nell’altra dimensione”, nel mondo e nei giochi appartenenti alla serie classica.

Gli unici momenti in cui appare sinceramente turbato - al netto delle cutscene di cui sopra -  sono quando i Pokémon selvatici di “Arceus” attaccano direttamente lui e non il suo team di bestioline. In questo gioco infatti, per la prima volta credo, alcuni Pokémon selvatici sono piuttosto aggressivi verso gli uomini, riservando loro gli stessi attacchi che normalmente indirizzano ad altri Pokémon durante le battaglie a turni più classiche. Paura quindi dei danni “fisici”, vero, ma anche dell’ignoto, dell’insolito che spezza l’abitudine in maniera violenta.

Il gioco prosegue così, con un protagonista/giocatore che al contempo sembra saperne molto di più dei Pokémon rispetto ai suoi compari di avventura che, anzi, proprio tramite le sue azioni iniziano a cooperare e avere un migliore rapporto con i Pokémon della regione di Hisui. Missione dopo missione i Pokémon cominciano a entrare in città, a prendere parte del sistema di agricoltura della tua “base” su Hisui, diventano sempre più familiari anche per i vari NPC del gioco.

Nella seconda parte del gioco - anche questa una “yokotarata” - la rottura della quarta parete è dietro moltissimi angoli di Hisui.

Ora, un piccolo ma doveroso passo indietro. Questa natura “meta”, secondo me presente nel gioco, non è condotta purtroppo fino in fondo e soprattutto manca talvolta di coerenza. C’è sin da subito una “stalla” per i Pokémon nonostante pochi minuti prima i vari abitanti sembravano terrorizzati anche solo all’idea di vedere uno dei mostri tascabili. Hisui ha paura dei suddetti animali ma in realtà ci sono già in giro allenatori con Pokémon ben allenati e piuttosto rodati sul campo. 

Qualcuno potrebbe cantilenare un “sono Giapponesi”, ma forse è meglio dire che da Game Freak, purtroppo, non ci si può aspettare tutto subito.

Eppure ci sono dei momenti che in quest’ottica "metanarrativa" assumono una potenza - quasi una maturità - che mai mi sarei aspettato dal team di sviluppo.

Proprio come spesso accade con gli stranieri, in momenti di crisi gli autoctoni sospettano lo straniero come causa del problema.

Mi riferisco in particolare all’apparire di Andy (in inglese, Ingo), direttamente da Pokémon Nero/Bianco, anche lui arrivato su Hisui senza ricordarsi minimamente la sua provenienza. Non è un semplice cameo o rimando, anzi: il gioco ti dice chiaro e tondo la sua natura di personaggio fuori dal mondo che, nonostante qualche difficoltà, si è giocoforza adattato alla nuova realtà. Insomma: è come il protagonista/giocatore di Pokémon Arceus. 

E, allo stesso modo, non è affatto un caso che proprio quell’incontro dia il via a una serie di eventi che porteranno il protagonista/giocatore del gioco ad essere espulso dal Villaggio Giubilo che prima lo ha accolto. Un’espulsione forte, traumatica, quasi inaspettata perché arriva proprio quando il giocatore sembra essersi “appropriato” del mondo di Hisui. Quasi piegandolo al suo volere, grazie alle diverse “mount” che donano abilità di movimento in grado di ignorare la quasi totalità delle barriere del level design.

Ad alcuni magari potrà sembrare casuale che tutto ciò succeda proprio quando, grazie a Sneasel, si acquisisce la possibilità di arrampicarsi e quindi superare qualsiasi barriera verticale, ma a me no. Perché è proprio quando ti fa più “male”, proprio quando ti senti il messia arrivato a salvare il mondo di Hisui, che ti viene ricordato che, in fin dei conti, sei uno straniero. Non sei di quel posto. Sei “altra roba”. Un agente contaminante, probabilmente persino la causa di tutti i problemi di Hisui stessa. Un germe da tenere sotto controllo se non addirittura da eliminare.

E poco conta se poi con le azioni ti riappacifichi con i vertici del Villaggio Giubilo e torni persino a soggiornare lì: la distanza è marcata, sensibile, immanente. Sei nel migliore dei casi uno studente fuori sede, il terrone che vive al Nord. Ti ci abitui, magari ti ci trovi anche meglio del tuo luogo natio. Ma non sarai mai come chi è autoctono al 100% da generazioni. 

E sinceramente mi sembra proprio che tutto si incastri in quest’ottica, nonostante le sbavature prima citate. Persino le mosse dei combattimenti di Pokémon Arceus sono una cosa uguale ma diversa rispetto a quelle della serie principale: ti fanno avanzare o meno nella priorità di azione e, talvolta, hanno anche effetti radicalmente differenti, come nel caso di Levitoroccia. E anche i Pokémon unici di Hisui, più che varianti regionali, sembrano seguire questa logica: Voltorb di Hisui non è tanto una variante esotica come l’Exeggutor di Aloha, ma proprio un nuovo Pokémon che lo trasforma da “palla di roba elettrica” a “giocattolo tondo di legno”. Molto più “naturale” che “sintetico”. Simile, ma profondamente diverso.

Dai, solo io ci vedo rimandi a una serie che è di enorme successo ma che molti sentano debba rifondarsi?

Ed è forse questo il vero cambio di paradigma di Pokémon Arceus, secondo me. Molto più di quello evidente dell’esplorazione che prende decisamente sopravvento sul combattimento, molto più della cattura dei pokémon al di fuori delle battaglie (già parzialmente sperimentata in “Go”). 

Nei capitoli classici della serie infatti il giocatore era chiamato a prendere il ruolo di un aspirante campione, attore di un mondo di cui magari non ci si sentiva davvero protagonista ma di cui si era chiaramente parte: non è un caso che gran parte delle avventure Pokémon iniziano con il saluto alla “mamma” del giocatore se non addirittura nel paese natio, con tanto di amico d’infanzia. Insomma: nei Pokémon “tradizionali” il giocatore veste l’avatar di una persona decisamente inserita nella regione di appartenenza o che, comunque, viene da un retaggio formalizzato e presente, incarnato nella figura/NPC dei genitori. 


In Pokémon Arceus invece non c’è niente di tutto questo. Il protagonista/giocatore non ha un passato formalizzato se non quello, appunto, di giocatore di vecchia data. È l’esperienza pregressa a riempire di sostanza e significato l’involucro altrimenti vuoto dell’avatar virtuale e non il mondo di Hisui. Mondo che, come ricordato, lo accoglie, sì, ma non esita a rimarcare l’estraneità del “ragazzo caduto dal cielo” rispetto a quanto lo circonda.

Anche il true ending, quello in cui finalmente incontri l’Arceus che dona il titolo al gioco, sembra confermare questa mia stramba idea. Il Pokémon/dio che, secondo la mitologia, è il creatore di tutto lo scibile e - pare - non solo della regione di Hisui, afferma chiaramente di averti portato in un mondo dove non appartieni, dove non saresti dovuto esistere. Lo fa concedendoti udienza solo dopo che il giocatore/personaggio ha riempito il Pokédex di Hisui; accetta di venire al tuo fianco ma solo per poter ammirare con il giocatore/personaggio un mondo nel quale sono, nel migliore dei casi, quello che in antropologia si chiamano “osservatori partecipanti”.

Anche il “cattivo” alla fine tiene a rimarcare come l’intruso, in realtà, sei tu. Caro giocatore…

Forse ci ho visto troppo, in Pokémon Arceus. Alla fine il personaggio/giocatore non torna mai davvero al suo luogo di origine: si riappacifica con il Villaggio Giubilo e torna membro del team Galassia, modificando persino i rapporti prima tesi tra le altre fazioni del gioco in collaborazione reciproca. Forse è davvero tutta una pippa mentale di un appassionato della serie che ha gradito a volte tantissimo, a volte un po’ meno, le trenta e passa ore passate a lanciare Pokéball per Hisui. 

Però mi piace crederci. 

Perché in questo modo la trama di Pokémon Arceus, per quanto sbilenca, riesce a comunicarmi qualcosa: nell’oscillare continuamente tra innovazione e immutabilità, il viaggio del personaggio/giocatore è qualcosa in grado di far vedere nuove prospettive, nuove realtà, simili ma diverse da quella a cui sei sempre stato abituato. Nuovi luoghi dove puoi comunque dire la tua, essere riconosciuto, farti un nome, essere parte di una comunità pur restando sempre ancorato alle tue origini. Un viaggio che un po’ ti cambia, senza però trasformarti del tutto.

Ho giocato a Leggende Pokémon: Arceus su Nintendo Switch OLED grazie a un codice review concesso gentilmente da Nintendo. Mi ci sono incollato nonostante gli evidenti difetti, terminandolo in circa trenta ore delle quali, probabilmente, ventotto giocate in mobilità. Perché per me Pokémon è portatile per definizione.

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