Gioventù spiaggiata
Ah, la Cover Story sulla spiaggia! La Cover Story sulla spiaggia che ho spinto per il secondo anno consecutivo e che finalmente si concretizza!
Con l’età ho capito di essere una summer person. Lo sono sempre stato. L’estate mi piace. Mi piace la luce, mi piace pensare di fuggire al mare, spiaggiato, lontano da tutta una serie di ammennicoli sovrastimolanti con i quali occupo il tempo, impilati e sovrapposti come le tessere del Tetris, che quando ho del tempo libero accumulo e incastro per colmare “il tempo libero” rubato al resto del tempo della vita che quindi è tempo occupato, come se per un accademico debosciato come me esista una separazione netta tra le due cose. Come se non si fosse qualcosa (da un tema, una forma, una scena) che riesco sempre a ricicciare nello scandalo generale di una ricerca che altrimenti attingerebbe sempre alle stesse fonti.
Una grande metafora della vita.
L’imprinting da summer person l’ho ereditato: era tassativo per mia sorella e me, nei mesi estivi, trascorrere prima i weekend e poi una lunga villeggiatura nella casa estiva dei nonni, prima che la famiglia si allargasse (primo nipote, gli altri sarebbero venuti abbastanza dopo) e lo spazio si riducesse e il trascorrere degli anni con quella cosa brutta che è l’adolescenza portasse ad odiare quella specie di eremo, quel carcere di mare (come lo chiamavo quando stavo al liceo), lontano appunto dalla versione più risalente degli stessi ammennicoli sovrastimolanti ai quali oggi cerco di sfuggire.
Summer person, quindi. Perché ho elaborato che la mia ricerca “balneare” o la vaga sensazione di istantaneo benessere che provo in prossimità del litorali è da far risalire a quell’arcaico benessere, alla mancanza di qualsiasi pensiero che generalmente associo all’infanzia, alle mattine oziose con una pila di libri e fumetti, steso sul dondolo all’ombra del patio, un piede incastrato tra la struttura mobile e il telaio fisso a controllare il moto oscillatorio.
Frequentavamo uno stabilimento balneare sito sulla spiaggia di Serapo, una riproduzione su scala ridotta e meno lineare della spiaggia di Rimini, persistente sogno dell’italico boom economico, reso immortale da Sapore di sale. C’erano grandi ombrelloni bianchi, ricordo ancora il sapore dei cornetti alla marmellata di albicocca che avevano al banco per la colazione. Lì è dove mi venivano somministrati settimanalmente i Topolino sui quali ho praticamente imparato a leggere e dove ho acquistato i miei primi Piccoli brividi, fino a quando non ho cambiato spiaggia, allo scattare del passaggio da scuole elementari a scuole medie, che col senno di poi aveva un che di simbolico, ma all’epoca che simboli volete che avessi colto?
Per uscire dal racconto autoreferenziale, c’è una cosa che accomuna gli stabilimenti balneari da nord a sud: i cabinati. Quello che nemmeno la lingua italiana è riuscita ad identificare in modo univoco è accomunato dalla presenza degli idoli pagani mangiamonete.
Street Fighter II nella versione Champions Edition.
Metal Slug
Puzzle Bobble
Inutile dire mi fosse proibito giocare o anche passare troppo tempo in quell’ambiente di perdizione virtuale, lontano dagli occhi e dal controllo dei miei, intento in attività ludiche antisociali invece che vivere salubremente all’aria aperta.
Ho impressi nella mente i colori, i suoni, le disposizioni, il senso di afa di questo piccolo corridoio aperto che portava alla parte sinistra della spiaggia. Mangiavano Lire, non gettoni. Ricordo le piastrelline di cotto 5x10 disposte a spina di pesce e ne ricordo la spiacevole sensazione che mi dava camminarci sopra con i piedi sporchi di sabbia, sensazione che probabilmente era spiacevole perché associata al divieto e alla proibizione: camminare sul senso di colpa.
Al principio delle scelte sbagliate.
A stento arrivavo alla pulsantiera, ma la sensazione di casino che generavano quelle macchine mi colmava i sensi, quelle volte che riuscivo a sgattaiolare accompagnato da qualche amico più grande o più intraprendente e libero di me.
Avrò fatto si e no due partite ad ognuno, tra cui la mia primissima partita a Street Fighter nel modo più inconsulto possibile, scegliendo Vega (la maschera faceva fighissimo e poi gli artigli! Come Wolverine! Era chiaramente avvantaggiato rispetto agli altri che, miserabili, dovevano combattere a mani nude). La durata della partita fu di un battito di ciglia. Presi una serie di schiaffi disarmante, nel senso che letteralmente il mio Vega perse gli artigli in tempo zero e quell’animazione sul CONTINUA? con la faccia martoriata nonostante la maschera fu un’immagine intensa, che mi allontanò dai picchiaduro (e soprattutto da Vega) fino all’arrivo di Tekken 3, che pareva dessero di cittadinanza ai i miei compagni delle elementari.
Di questo idillio borghese non coglievo i confini, non focalizzavo, per me era sempre stato così, lontano dalla realtà, fisicamente e metaforicamente, nella mia rocca circondato da libri e fumetti. Ho dovuto recuperare il gap, ricollegarmi a quella fetta di popolazione che viveva dall’altra parte degli steccati che delimitavano i confini del lido, una folla in moto pendolare tra gli opposti estremi della baia che da piccolo costituiva una barriera mobile uniforme in grado di coprire l’orizzonte. L’acqua ha smesso di essere cristallina, l’aria meno dolce, la sabbia troppo densa e pesante e l’infrangersi delle onde sulla battigia non riesce a contrastare quel senso di viscosità colloidale di migliaia di persone unte di creme solari a mollo nella stessa fascia di costa.
E quindi di nuovo andare, cercare altro, tornare, confrontare i ricordi con la realtà, salutare il passato che c’è stato e ti ha formato, ma di cui non fai più parte. Quello che resta è una smania di muoversi che si accentua all’aumentare delle temperatura e che trova requie in altri lidi, diversi, perché non siamo più gli stessi, a parte i teli scambiati dal sole, le camicie di lino stropicciate della sera prima, i costumi a motivi floreali, dormire sul lettino con una copia di Tex Willer a metà poggiata sulla faccia e tornare a casa con la pelle che tira per il mix di raggi solari e salsedine.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle spiagge, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.