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American Beauty e quel rosso polisemico

American Beauty e quel rosso polisemico

Quando arriva la primavera (anche se ormai non ci sono più le mezze stagioni e siamo arrivati a metà maggio ancora con i maglioni addosso), cerco di ritagliarmi nel fine settimana un’oretta per andare a camminare. Mentre cammino, mi capita di osservare persone intente a fare giardinaggio e chiacchierare amabilmente con il proprio vicino di casa, oppure a lavare accuratamente macchine fin troppo appariscenti, mi chiedo se, in fondo, anche loro non siano come i protagonisti di American Beauty.

Il film diretto da Sam Mendes, uscito nel lontano 1999, fu un vero e proprio caso cinematografico. Lodato dalla critica, vincitore di una marea di premi fra cui quello di miglior film, è stato negli anni successivi oggetto di numerose analisi e approfondimenti, nonché materia di studio nei corsi di sceneggiatura e in alcune materie umanistiche a livello universitario.

La pellicola narra le vicende di diversi personaggi della media borghesia americana che si intrecciano fra di loro, anche se il protagonista indiscusso è Lester Burnham, interpretato da un bravissimo e ancora poco noto Kevin Spacey.

Lester è un uomo di quarantadue anni, intrappolato in una vita che non sopporta più. Impiegato in una società editoriale da quattordici anni, disprezza il suo lavoro e i suoi capi, fra cui un giovane manager che deve valutare quali dipendenti poter licenziare. Ha una moglie, Carolyn, che lo detesta e con la quale porta avanti un matrimonio ormai finito da tempo, e una figlia adolescente, Jane, alla quale vuole bene ma con cui non ha alcun dialogo, proprio a causa di quell’età così difficile in cui si preferisce confidare i propri tormenti interiori ad un’amica piuttosto che a un genitore. Lester, che funge anche da voce narrante all’interno del film, nonostante anticipi agli spettatori che fra meno di un anno morirà, è in realtà già morto dentro. Vive una vita priva di stimoli, costretto a mostrare un’apparente maschera di felicità pesante come un macigno. Qualcosa scatta dentro di lui una sera, quando vede Angela, amica e coetanea della figlia Jane, esibirsi in uno spettacolo di cheerleader. Quella ragazza, poco più che bambina e che potrebbe essere sua figlia, risveglia in lui sentimenti sopiti da tempo. Quell’oggetto del desiderio, eticamente sbagliato e moralmente discutibile, lo risveglia da un lungo torpore che lo ha tenuto prigioniero per anni. Lester decide così di allontanare tutto ciò che lo rende infelice e di ricreare un nuovo sé stesso, cercando di tornare al periodo in cui è stato veramente sereno: quello dei diciott’anni.

Spogliandosi da quell’aura fantozziana che lo aveva accompagnato per molti anni, Lester lascia il lavoro (ricattando, tra l’altro, l’odiato manager in maniera a dir poco geniale) e torna a lavorare in un fast food, come aveva fatto durante gli anni del liceo. Un lavoro semplice e senza responsabilità. Cambia la sua grigia utilitaria con una fiammante Pontiac Firebird, l’auto che ha sempre sognato, e finalmente si ribella contro quella famiglia che lo ha considerato per molto tempo un perdente insignificante. E, per completare la sua regressione (potremmo dire tipica dell’insoddisfatto uomo di mezza età) torna a fumare erba e cerca di rimettersi in forma fisicamente, soprattutto per provare a ottenere ciò che vuole più di ogni altra cosa, ovvero Angela.

Se Lester non è, almeno all’inizio del film, un uomo felice, le cose non vanno certo meglio alla moglie e alla figlia. Carolyn, agente immobiliare di scarso successo, oltre a dover portare avanti il peso di un matrimonio infelice, deve fare i conti con una carriera che stenta a decollare, e, nonostante cerchi sempre di mostrare un’aria sicura e sorridente, si rivela interiormente fragile, e trova momentaneo conforto fra le braccia del collega Buddy Kane, il “Re dell’Immobiliare”, fino a quando non viene umiliata da Lester, crollando psicologicamente in maniera irreversibile. Jane, invece, non è soddisfatta del suo aspetto fisico, si vede brutta e sta mettendo da parte i soldi necessari per un intervento al seno. Si sente a disagio a scuola e ha un rapporto semi conflittuale con Angela, della quale non sopporta l’avvenenza e il successo che ha con i ragazzi, oltre al fatto che l’amica provoca continuamente il padre, avendo percepito l’attrazione che prova nei suoi confronti.

Le vite dei membri della famiglia Burnham si incrociano con quelle della famiglia Fitts, da poco trasferitisi nel quartiere. Frank Fitts, il capofamiglia, è un duro colonnello del corpo dei Marines, un uomo violento, spregevole e omofobo, che nasconde però un segreto che risulterà fondamentale nell’atto finale del film. Ricky, suo figlio, è un adolescente voyeur che in passato ha avuto problemi di gestione della rabbia e che è stato in cura farmacologica per un paio d’anni prima di essere riabilitato. Uno spacciatore di marijuana con la passione per i video, che instaura una relazione con Jane, forse accomunati dal fatto di essere due corpi estranei in un ambiente falso e perbenista.

American Beauty mostra un gruppo di persone profondamente diverse ma accomunate da un fattore fondamentale: l’infelicità. C’è chi, come Carolyn, Angela e il colonnello Fitts, cerca di ostentare perfezione e apparente normalità, salvo poi rivelare una natura debole e insicura. Jane e Ricky non hanno paura di mostrare il loro anticonformismo e compensano reciprocamente le loro anime tormentate. Lester è l’unico che si ribella alla propria infelicità e decide di dare una svolta alla propria vita, e sarà l’unico, alla fine, a tornare ad essere felice, pur rinunciando a fare sesso con Angela una volta scoperto che la ragazza è ancora vergine. In quel momento, una volta realizzato il fatto di essere tornato a star bene con sé stesso, ritroverà la propria natura di marito e soprattutto di padre, almeno fino al tragico finale.

Quello di Sam Mendes è un film complesso e stratificato. Mostra un ritratto della società americana in maniera grottesca mescolando black humor e drammaticità, racconta un mondo dove l’apparenza conta più della sostanza, di desideri moralmente sbagliati e repressi in profondità, dove il perbenismo è una virtù fasulla, dove le vite apparentemente perfette e le case dal giardino curato e dagli steccati bianchi sono delle gabbie di monotonia e infelicità e dove il consumismo finisce per oscurare la bellezza presente nelle piccole cose. Un film che, anche a livello visivo, è notevole. La famosa scena onirica in cui Lester vede Angela nuda e cosparsa di rose è diventata talmente iconica da essere parodiata in diversi show e spot televisivi, e quel rosso ricorrente in diversi oggetti (non solo i petali ma anche la porta della casa dei Burnham, l’auto di Lester e il sangue nella parte finale) rappresenta non solo il risveglio emotivo e sessuale di Lester, ma anche la rabbia di Caroline e del colonnello Fitts. Passione, rabbia e desiderio.

Cosa rimane di American Beauty, dopo quasi ventisei anni dall’uscita? Alcuni ritengono che il film fosse stato, all’epoca, sopravvalutato ed eccessivamente lodato. Personalmente, lo trovo ancora attualissimo.

Quante persone, in quest’epoca così social, vivono vite apparentemente felici ma in realtà sono insoddisfatte? Secondo me tante. Anche se non lo ammetteranno mai.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al colore rosso, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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