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South of Midnight è bello ma parla troppo

South of Midnight è bello ma parla troppo

Io vi giuro che non è mia intenzione fare polemichetta né parlare male di un gioco come South of Midnight che è fatto chiaramente con il cuore e che ha una serie di robe bellissime che mi hanno fatto felice nel corso delle sue dieci e qualcosa ore di durata. Forse non è neanche il gioco giusto per lamentarmi di quello di cui voglio lamentarmi, nel senso che non è il primo ad avere questi difetti e semmai sarebbe meglio sfogarsi con prodotti più grossi e classicamente “prodotti” e non su questa che è una piccola deliziosa avventura soprannatural-gotico-sudista. Però oh, io a South of Midnight ho giocato e di South of Midnight devo parlare, per cui beccatevi questo rant e ricordate comunque che nel titolo del pezzo c’è scritto “è bello”.

Bello è bello.

Nasce tutto da una considerazione, e cioè che avevo la tentazione di intitolare il pezzo “South of Midnight è un’esperienza bellissima ma un videogioco mediocre”. Mi sono fermato subito perché è un titolo scemo, che continua a insistere su questo presunto dualismo tra la parte ludica di un videogioco e “tutto il resto”, il voice acting, la mocap, le cutscene e tutte quelle altre bellissime parole inglesi che indicano “quando poggi il paddino e lasci fare al gioco”. È un binarismo sciocco perché sarebbe anche arrivato il momento di accettare che dentro un videogioco tutto è videogioco, e che se oggi abbiamo Kojima che fa i filmati di mezz’ora che paiono puntate di serie TV è solo la naturale evoluzione di quando finivi un mondo in Mario e il fungo ti diceva “la principessa è in un altro castello”. Cioè erano “cutscene” anche quelle, erano “filmati”, momenti narrativi. I videogiochi sono diversi da film libri serie TV fumetti perché fanno da collettore di spunti che vanno dai giochi di carte e da tavolo alle opere da Oscar o da Nobel. Sono un mezzo di espressione ibrido che negli anni ha assorbito idee e metodologie da tutti gli altri. Certo, una collezione di cutscene e basta non è un videogioco ma un’opera narrativa audiovisiva classica. Ma un videogioco che è fatto al 90% da cutscene e al 10% da gioco giocato è comunque un videogioco. I filmati e la narrazione e la parti non interattive sono pezzi di videogioco tanto quanto il doppio salto e le combo.

Questo non significa che non possano esistere esperienze bellissime che sono anche mediocri videogiochi, penso per esempio a Deadly Premonition. Il problema vero, semmai, di South of Midnight è che sembra fare di tutto per scavare un solco tra quelle che noi giocatori percepiamo come “le due anime di un gioco”, concentrandosi sull’aspetto narrativo e atmosferico e lasciandosi indietro un po’ il gameplay. Quindi sì, c’è una cesura tra le due facce della medaglia: da un lato un mondo affascinante e tutto da scoprire e popolato da tipi umani da sud profondo degli Stati Uniti, dall’altro quello che la protagonista Hazel fa in questo mondo che mi ha lasciato più volte con l’amaro in bocca. Eppure secondo me non è neanche questo il vero difetto di South of Midnight – ma ci arrivo.

“Arrivooooooo”

Partiamo però dall’alligatore nella stanza, quello che tutte le recensioni del gioco uscite finora hanno messo in evidenza, per cui non aspettatevi rivelazioni. Giocare a South of Midnight è un po’ una mezza noia. Ha una struttura rigidissima e molto ripetitiva, e quindi prevedibile: è diviso in capitoli/atti/livelli che prevedono di andare dal punto A al punto B superando una serie di corridoi collegati da “puzzle di spostarsi” (quello che una volta, prima del trionfo dei sovranismi, chiamavano “platforming”) elementari e punteggiati da arene tutte uguali nelle quali si combatte contro una varietà limitata di mostri mostroni e mostrilli. Hazel, la protagonista, ha tutte le cose al posto giusto, salta, corre sui muri, doppiosalta, plana come in Breath of the Wild, ha due uncini magici che usa per combattere contro i creaturi; è in altre parole la protagonista media di un gioco action, che per linearità e ripetitività è più vicino ai primi Devil May Cry o God of War che alle avventurone stile Naughty Dog che pure sono un chiaro punto di riferimento.

Ho già detto che tutto questo è incredibilmente ripetitivo? Mi pare di sì, ma ripeterlo fa parte della gag. Io non sono neanche uno che si lamenta troppo quando un gioco ti fa fare le stesse cose decine di volte senza variazioni, voglio dire: un sistema di combattimento solido, reattivo e sfidante è sufficiente a convincermi a tirare le stesse mazzate per venti ore di fila. Purtroppo il sistema di combattimento di South of Midnight non è né solido, né reattivo, né particolarmente sfidante; è meglio delle sezioni platform o di quelle di “esplorazione” (con tante virgolette visto che parliamo di corridoi e muri invisibili ovunque), ma finisce lì. Giocare a South of Midnight è quello che in inglese si chiama “going through the motions”, come mi ha insegnato Buffy. Sembra quasi roba infilata a forza per dare al giocatore qualcosa da fare tra una cutscene e l’altra. Non arrivo a dire che il gioco sarebbe stato meglio senza combattimenti (anche se non ho problemi ad affermare che sarebbe stato meglio senza le boss fight), ma l’impressione di stare facendo i compiti un po’ controvoglia è persistente.

Ammazza la vecchia…

Dice “però allora le parti in cui non giochi saranno eccezionali, no?”. Che è poi quello su cui la critica è concorde, non nel ritenerlo sudicio ma nello spiegare che questa favola gotica americana è affascinante, commovente, trascinata da una protagonista carismatica ed empatica. Ora: in un certo senso è vero, ci sono giganteschi pesci gatto parlanti, alligatori grossi come un’isola, un sacco di creature buffe, una Louisiana (almeno deduco sia la Louisiana, magari è l’Alabama, vabbe’ non cambia radicalmente) scintillante di pioggia, devastata da un uragano e popolata di colori e incubi e suoni e canzoni. Bello, affascinante.

Poi cominci a giocare. Dopo un bel po’: la prima ora di gioco è composta al 70% da guardare e al 30% da fare, e la proporzione non migliora troppo nel corso dell’esperienza. Ma OK, accettiamolo. Cominci a giocare, dicevo: Hazel vaga in cerca della madre perduta, e non sta zitta un secondo. Commenta ogni cosa. Ti ricorda ogni tre secondi quello che stai facendo, quello che devi fare, ti spiega quello che stai vedendo, ti rinfresca la memoria se ti sei distratto un istante. E poi fa le battutine. Un sacco di battutine. È stata appena trascinata in un incubo surreale popolato da creature del folklore locale che la inseguono e vogliono farla a pezzi, e lei fa le battutine. I QUIPS. Le frasette brillanti. È sempre di buonumore. Pare uscita da un film Marvel.

Intendiamoci: ormai TUTTO pare uscito da un film Marvel, persino Dad of Boy: Ragnarok è riuscito a stupidizzarsi e a trasformare ogni dialogo in uno scambio di battute ironiche tutte fatte con quell’atteggiamento di divertito cinismo di fronte alla tragedia che è diventato lo standard dell’intrattenimento occidentale tutto. South of Midnight compreso. Hazel rischia la vita e il massimo che sa commentare è “OH SHIT!” con quel tono mezzo divertito da Nathan Drake che ormai è una piaga onnipresente. È tutta colpa di Naughty Dog? No, però una bella responsabilità ce l’hanno. Di recente mi è capitato di vedere questo video, che secondo me illustra meglio di mille parole quello che è il mio problema con South of Midnight, la sua protagonista chiacchierona e la sua telecamera sempre pronta a strapparti di mano il controllo e dirigere lo sguardo verso la prossima cosa che non puoi non notare.

È sinceramente sfiancante, e mi viene il dubbio che sia in parte conseguenza anche della Netflixizzazione dell’intrattenimento, nel senso che se non fosse un’assurdità arriverei a dire che South of Midnight è un gioco pensato per essere giocato con lo smartphone in mano , un’esperienza da doppio schermo nella quale non rischi mai di perderti nulla anche se ti distrai perché tanto ci pensa la protagonista a ricordarti tutto ogni dieci secondi. Ho sentito fortissima la tentazione di mollare tutto alla fine del primo atto, e ho proseguito solo perché mi piacciono le creature buffe e i mostri giganti. Ma questa voglia che ha il gioco di prenderti per mano, accomodarti in ogni modo possibile e incoraggiarti anche a non dargli il 100% della sua attenzione è per me una macchia enorme sull’esperienza, e più in generale sui videogiochi moderni. Ripeto, collegandomi a quanto dicevo prima: non sto dicendo che le cutscene e le sezioni narrative debbano scomparire dal medium e si debba tornare ai tempi in cui passavi il 99% del tempo a pigiare tasti e il restante 1% a guardare schermate di caricamento in attesa di tornare a pigiare tasti.

Sto però dicendo che ci deve essere un modo più delicato di costruire un gioco che punta così forte sulla narrazione. Il problema è che non so quale sia, questo modo: ho citato Naughty Dog ma la stessa bazza insopportabile del monologo costante ce l’avevano anche gli ultimi Tomb Raider, ce l’avevano i due Horizon, ce l’ha qualsiasi gioco che sembra abbia paura che tu ti distragga e deve quindi continuamente stimolarti e ricordarti quello che stai facendo.

Per cui sì, l’esperienza South of Midnight, nel suo complesso, è bella, avvolgente dal punto di vista visivo e sonoro, ci sono pure le canzoni con la gente che canta!!! (per qualche motivo questo dettaglio ha sconvolto la critica di mezzo mondo, nonostante le canzoni in sé siano tutte bruttine), ma è anche un esempio di come gli spiegoni, il chiacchiericcio costante, questa voglia di mostrare i muscoli artistici possano appesantire un’esperienza altrimenti leggera e lineare, e portare chi ci gioca a scrivere 1600 parole di rant sulla deriva del videoludo moderno. Vi chiedo scusa, e chiedo scusa anche a South of Midnight che tutto sommato non è neanche il peggior rappresentante di questi brutti vizi. Però vi prego, amici dei videogiochi: imparate a tacere, ogni tanto, e a fidarvi di noi.

P.S.
Ovviamente il gioco è stato criticato e travolto da polemichette perché ha l’ardire di avere una protagonista donna (!) e persino nera (!!!). Ci sono sicuramente persone più adatte di me a smontare questa stronzata, l’unica cosa che mi sento di dire alle persone che hanno alimentato questa polemichetta è: fate cagare come esseri umani.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata agli orrori di provincia e al folk horror, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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