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Venom, pure fosse uscito quindici anni fa...

Venom, pure fosse uscito quindici anni fa...

Qualche mese fa, chiacchierando con giopep attorno al falò del full trailer di Venom, ricordo di essermi mostrato moderatamente fiducioso riguardo al film. In effetti, ora che ci penso, avevo pure sparato una roba del tipo «Col simbionte, quasi quasi, ci vivrei».

Nonostante la scarsa pratica, ho sempre trovato affascinante il personaggio ideato da David Michelinie e Todd McFarlane, proprio a livello iconografico e in via di quella fluidità ombrosa che andava tanto di moda ai tempi miei. E a conti fatti, considerata pure la faccenda di Topher Grace nel terzo Spider-Man di Sam Raimi, l’idea di rivedere il bestione bavoso su grande schermo non mi spiaceva affatto. Perdipiù in un periodo come questo, con i cinecomic che saltano fuori tutti mediamente decenti, e già che ci siamo con di mezzo Tom Hardy e Michelle Williams diretti da Ruben Fleischer, ché alla fine resto un fan di Benvenuti a Zombieland e non ho disprezzato manco Santa Clarita Diet (e, in fondo, nemmeno Dawson’s Creek).

Così sono entrato in sala di buzzo buono, zen, pronto a passare un paio d’ore e spicci a divertirmi. E invece, è finita che me ne sono uscito nel peggiore dei modi: con la noia addosso.

Parlando di film in calzamaglia, a livello di taglio e linguaggio, Venom è un “blast from the past”, fermo restando che non mi sarebbe piaciuto nemmeno se lo avessi visto una quindicina di anni fa. Sicuramente – e per quanto vorrei tanto fare finta di no - ho avvertito la mancanza del senso di continuity a cui mi ha abituato l’universo cinematografico Marvel. Però, quello è un problema mio, non del film, ché alla fine un’opera non è mica obbligata ad appoggiarsi sulle altre per funzionare, nemmeno se si tratta di un racconto di supertizi avvezzi per loro natura alla serialità.

Eppure, Venom non mi ha preso.

In uscita domani nei cinema italiani, prodotto da Columbia Pictures e distribuito da Sony con l’intento, pare, di generare uno “spiderverso” alternativo a quello Disney, dopo anni di lanci e rilanci, questo di Fleischer è un film moscio. Moscio nel raccontare l’ennesima storia di origini attraverso una scrittura scontata, dalle intersezioni prevedibili e battuta da un ritmo fiacco.

«Esattamente, cosa intendi per freelance?»

La tela intrecciata da Scott Rosenberg assieme a Jeff Pinkner, Kelly Marcel e Will Beall, anziché servire il talento di Tom Hardy, lo impiccia. L’attore inglese pare messo lì giusto per dire “Guardate: c’è Tom Hardy che recita di nuovo a volto coperto”. Il suo Eddie Brock, giornalista d’inchiesta freelance trasferitosi da New York a San Francisco, riesce ad essere contemporaneamente stereotipato e poco credibile fin dalle prime sequenze in motoretta e, proseguendo, le cose non migliorano, salvo qualche raro momento di lucidità dovuto al doppio registro. Per non dire poi di tutta la faccenda del chiacchiericcio col simbionte che, per come viene gestita, rappresenta forse la più grande occasione persa del film: allo stato delle cose, siamo quasi dalle parti della linea comica che non fa ridere.

Pure la Anne Weying di Michelle Williams, la fidanzata di Eddie, non lascia il segno; ma soprattutto non lo lascia il cattivone, Carlton Drake (Riz Ahmed), scienziato e uomo d’affari tanto brillante quanto spregiudicato.

Pezzo grosso della Silicon Valley evidentemente modellato sulla figura di Elon Musk (a sua volta ispirato al ben più celebre Hank Skorpio), con cui condivide gli ambiziosi progetti aereospaziali, Drake, nel corso del film, viene approfondito quanto una pozzanghera dopo una sciacquata primaverile, e viene superato in carisma persino da un paio di comprimari.

«Il cattivo, quello lì? Ma ché, davero?»

Peccato. Peccato perché la mitologia alla base di Venom, se declinata come si deve, ha più potenziale di tanta della roba che si vede in giro. E, ciononostante, qua riesce incredibilmente a non dare nell’occhio: per carità, regia e messa in scena non sono poi così male, così come la resa dei simbionti. Anche le sequenze d’azione fanno la loro parte, ma non sono sufficientemente buone da tenere in piedi la baracca o da farti dire: “Beh, dai, almeno da guardare è una bomba”. Più che altro, manca una porta d’ingresso per le emozioni dello spettatore, la miccia dei personaggi è troppo corta per incendiare la scena e in generale c’è poca cazzimma.

Se poi lo chiedete a me, il problema più grosso di Venom è il suo galleggiare nella mediocrità. Nonostante i cali di ritmo, il film scorre pure, ma è amorfo; perennemente indeciso tra la roba seriosa alla Nolan o il cinecomic scanzonato, casca nella friendzone de I Fantastici 4 (quello del 2005). A un’opera così anonima, preferisco lo sfacciato squilibrio di un Batman v Superman: Dawn of Justice, che almeno ci prova. Poi magari fallisce nel tentativo, OK, ma non si tira indietro.

«Va bene, va bene, faccio la partita IVA».

Qui, invece, nella cura di non dare fastidio a nessuno e accontentare tutti, Fleischer/Sony finisce per non fare un piacere a nessuno. Clamorosamente, il film è pure PG-13, e hai voglia tu a creare l’anti Spider-Man scorretto con questi presupposti, soprattutto se c’è in giro gente come Deadpool. Insomma, Venom mi è parso davvero una roba inoffensiva e fuori tempo massimo. Meno pippa dei due film di Marc Webb, OK, ma sicuramente non una buona partenza per questo fantomatico “spiderverso” di Sony.

Ho visto Venom in anteprima grazie a una (sorprendentemente blindatissima) proiezione stampa alla quale siamo stati invitati. Perlomeno, gli amici svizzeri mi hanno risparmiato il doppiaggio in italiano, servendomi la lingua originale.

Ah, giusto: questo articolo non fa parte dell'amichevole Cover Story di quartiere su Spider-Man, che potete trovare riassunta a questo indirizzo. Ma - di nuovo - è come se.

Agevolo il poster giapponese, ché è fighissimo.

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