Outcazzari

È l’anniversario di Until Dawn quindi mi sono guardato anche il film

È l’anniversario di Until Dawn quindi mi sono guardato anche il film

Mamma mia che boiata, che esperienza orribile.

Il film, dico, non il gioco. Una roba completamente pretestuosa, che rubacchia dall’immaginario di Supermassive Games per reinventarsi una storia nuova e sgangheratissima, tutta basata su un loop da Giorno della marmotta ma con la morte che è una scusa per far morire i protagonisti in modi sempre diversi… ehi, detta così sembra buono, no? No. Non lo è. Mi veniva da scrivere “è un film sgrammaticato” ma non è vero manco quello, è formalmente inattaccabile perché identico a qualsiasi cosa sia venuta prima, è uno dei più clamorosi casi di PRODOTTO che sia uscito dall’horror negli ultimi anni, a un certo punto c’è un montaggione che serve a farci capire quante volte siano già morti i nostri protagonisti e quei tre minuti di ammazzamenti rapidissimi filmati con uno smarfonino hanno più idee e momenti creativi della restante ora e quaranta, sono arrivato in fondo solo perché Odessa A’Zion a) ha il nome migliore di Hollywood insieme a Nell Tiger Free e b) è bellissima e anche l’unica del cast che sappia in che cosa consista il suo mestiere.

Odissea Action <3

Oh è una merda, e lo sapevo, eh! Però ci sono rimasto male lo stesso perché sono un grande fan del gioco da cui non è tratto. Che, a proposito, compie dieci anni in questi giorni, e per quanto si veda che sono passati dieci anni (l’ho piluccato un po’ in questi giorni dopo tanto tempo) resta comunque uno degli apici di questa ondata che non ho mai capito fino in fondo quanto sia del cazzo di “narrazioni interattive che paiono librogame animati e che fanno incazzare i veri gamer perché SI GIOCA TROPPO POCO”. Cioè io non credo che sia un’ondata del cazzo, anzi, mi ha regalato parecchi bei momenti: il primo Life is Strange ha ancora oggi quel fascino da gioco sincero e sentito che tutti i successivi hanno perso; i giochi Telltale bene o male hanno sempre oscillato tra l’accettabile e l’eccellente, e in catalogo hanno l’unica roba interessante che abbia mai esperito legata a The Walking Dead; la Dark Pictures Anthology alterna momenti indimenticabili a lunghe sequenze di noia sinistra, ma ha il merito di aver sperimentato con tanti linguaggi horror diversi; Oxenfree rimane uno dei giochi migliori del decennio e no, il sequel non lo supera.

Poi appunto Until Dawn, che – lo vogliate o meno – rimane l’apice creativo di Supermassive, una frase forte che farà molto arrabbiare i fan di The Quarry, tutti e sette. Non so se il Maderna accetterà che io metta qui un link esterno, alla peggio lo cancellerà e sostituirà questa frase con IL MATTINO HA L’ORO IN BOCCA, ma avevo già scritto a lungo di Until Dawn su I 400 Calci, al tempo dell’uscita, e l’impressione che mi ha fatto rigiocarci è che sono ancora d’accordo con me stesso. La roba che ancora mi colpisce più di tutte è quanto Until Dawn riesca a staccarsi dai suoi colleghi grazie al potere della granularità, che di fatto deriva direttamente dal suo essere uno slasher.

P A NE T T I E R E

Moltiplicare i personaggi e le loro interazioni, che è una delle basi del genere, significa anche far esplodere le possibilità, e avere quindi un’illusione di libertà più potente. I narrative games sono spesso binari, e sono di fatto una serie di sorprese continue alla scoperta delle quali vieni portato dalla scrittura e dall’esecuzione, che ti lasciano l’illusione di star facendo delle scelte e non unendo dei puntini prestabiliti. Life is Strange, per dire, provava a generare quest’illusione con il trucchetto del “Personaggio Ics si ricorderà questa scelta”, che ti dava l’idea che le tue azioni si riverberassero lungo tutte le ore di gioco in chissà quale caleidoscopio di possibilità.

Until Dawn magari non ha un caleidoscopio, ma quantomeno un bel bouquet di possibilità, perché i suoi protagonisti sono otto e sette di questi possono morire nell’arco della storia. Puoi arrivare in fondo con tutti vivi, puoi non arrivare in fondo perché sono tutti morti, persino quello con il destino già segnato ha un paio di possibilità diverse per compierlo. La rete di interazioni e possibilità è per design molto più ampia di quella di sostanzialmente tutti gli altri giochi simili, e l’impressione che se ne ricava, almeno giocandoci la prima volta con gli occhi innocenti dell’infante, non è quella di stare guardando una storia già scritta da scoprire pian piano, ma di contribuire attivamente alla conversazione (asimmetrica) con gli autori scegliendo quali degli otto personaggi valga la pena salvare e quali sia invece divertente vedere morire male.

“MADO’!”

All’atto pratico questo significa che Until Dawn è un gioco da giocare e rigiocare fino a scoprire che le possibilità sono in numero finito e che la maggior parte degli scenari tutto sommato si assomigliano tra loro. Un gioco da prendere e smontare pezzo per pezzo per scoprire dove sta il trucco. Tutte cose che sono ormai connaturate al nostro modo di fruire di qualsiasi forma di intrattenimento, ed è per questo che sono in realtà un grande sostenitore del giocarci una volta e poi basta. Due, toh, se proprio vi rimane qualche curiosità. Il bello di un primo playthrough ad Until Dawn è il non sapere, sono tutti i vuoti lasciati dalle sliding door che ci si ritrova davanti ogni trenta secondi, il non detto. È guardare da una finestra e vedere solo un angolo della stanza, e riempire l’ignoto con robe ancora più spaventose.

Dubito che siate arrivati al 2025 senza aver giocato ad Until Dawn, o senza aver pregiudizialmente deciso che non vi interessa. Ma se doveste scegliere di approcciarlo per la prima volta, godetevelo come se foste lo sceneggiatore del filmaccio teen horror di serie Z che avete sempre sognato di guardare a ripetizione con gli amici quando avevate quindici anni e tanti sogni quanti brufoli. Provate a non smontarlo, a ignorare l’ingegneria, a non interrogarvi troppo su cose come il world building o la lore o la coerenza interna della storia. Io me l’ero goduto un sacco, così – e non solo perché ero più giovane.

Il dilemma del giudizio - Il caso Mars After Midnight

Il dilemma del giudizio - Il caso Mars After Midnight

Indiana Jones and the Temple of Doom: il Tempio Maledetto che mi ha cresciuto

Indiana Jones and the Temple of Doom: il Tempio Maledetto che mi ha cresciuto