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The Assassination è un Taxi Driver di ordinaria follia

The Assassination è un Taxi Driver di ordinaria follia

Sarà un puro caso, ma in questi tempi così illogici, irrazionali, e irreali che stiamo vivendo mi capita spesso di vedere film con protagonisti molto simili fra loro. Uomini apparentemente normali e con un carattere più o meno mite e composto che subiscono passivamente gli eventi della vita, angherie e ingiustizie di ogni tipo, fino a quando, come il classico vaso che si riempie gradualmente d’acqua, arriva quella goccia che quel vaso lo fa traboccare, e l’acqua, come rabbia accumulata, si riversa con conseguenze nefaste. Ne sono esempi concreti Gil Renard di The Fan, David Summer di Cane di Paglia, Arthur Fleck di Joker e soprattutto Travis Bickle di Taxi Driver e Bill Foster di Un giorno di ordinaria follia.

Proprio questi ultimi due film che ho citato hanno ispirato la pellicola oggetto di questo pezzo, vale a dire The Assassination (titolo originale The Assassination of Richard Nixon, probabilmente “castrato” qui in Italia per paura che sembrasse un film politico o documentaristico). Stati Uniti, anno 1974. Samuel Bicke (credevo inizialmente che il nome del protagonista fosse solo un omaggio a Taxi Driver, in realtà ho scoperto successivamente che il film è basato sulla vera storia di un uomo di nome Samuel Byck) è un modesto venditore di mobili per ufficio, ultimo di tanti lavori che non riesce a tenersi, impiego reso ancora più sgradevole dal suo capo, un imprenditore di basso livello che tenta di trasmettergli la mentalità vincente tramite i manuali scritti dal guru di turno, e che gli impone di tagliarsi i baffi per poter svolgere il suo lavoro, in quanto, secondo lui, mal si addicono alla sua mansione. Sam aveva una famiglia, ma la moglie lo ha lasciato portando i bambini a vivere con lei, situazione che lo ha reso un uomo solo. Odiato dal fratello con cui precedentemente lavorava come commerciante di pneumatici, l’unico appiglio di Sam è l’amico Bonny Simmons, meccanico di colore con cui coltiva il sogno di aprire un’attività e mettersi in proprio. Ma per realizzare il suo personale American Dream, Sam ha bisogno di ottenere un finanziamento, che chiede a una banca. Comincia ad aspettare impazientemente l’arrivo della risposta, prevista entro otto settimane. Nel frattempo inizia a piccoli ma costanti passi la sua discesa nella follia: al lavoro le cose vanno sempre peggio, con quel capo insopportabile che lo ritiene un incapace e che vorrebbe che mentisse spudoratamente ai clienti pur di vendere qualcosa. La moglie, con la quale Sam vorrebbe tentare di recuperare il rapporto, ottiene ufficialmente il divorzio e inizia una nuova vita con un altro uomo. Anche il rapporto con Bonny si incrina, in quanto l’amico ritiene necessario che Sam scenda a compromessi con il suo capo pur di tenersi il lavoro e poter pagare le bollette e gli alimenti ai figli.

Non potendone più, il protagonista decide di provare a dare una svolta a quella vita tanto squallida e fallimentare: si licenzia e conclude un consistente affare con un grossista di pneumatici utilizzando il nome del fratello, certo di poterlo poi rimborsare una volta ottenuto il prestito dalla banca. Ma la mossa, per quanto coraggiosa, si rivela azzardata: la banca nega il prestito, il fratello lo scopre ed è costretto a rimediare ai danni di Sam, che ha causato anche l’arresto di Bonny, accusato di ricettazione, in quanto ha ricevuto direttamente lui gli pneumatici – non pagati e quindi considerati merce rubata. Sam, che voleva solo “un pezzettino del Sogno Americano”, perde definitivamente la ragione e si scaglia contro il “sistema”, che individua nel Presidente Richard Nixon, che il suo capo aveva definito “il più grande venditore di tutti i tempi”, in quanto si era fatto rieleggere nuovamente grazie alla menzogna. “Ha fatto una promessa, non l'ha mantenuta e poi ci ha venduto la stessa identica promessa. Da capo. Di nuovo. Questo sì che è credere in sé stessi”. A differenza di Travis Bickle, che voleva eliminare il Senatore Palantine “solamente” con un colpo di pistola, Sam pianifica di dirottare un aereo verso la Casa Bianca, fallendo nel tentativo e rimanendo ucciso da un agente di polizia.

The Assassination tenta di “fondere” in Sam Bicke l’alienazione e la solitudine di Travis Bickle di Taxi Driver e la lucida e rabbiosa pazzia di Bill Foster di Un giorno di ordinaria follia, con un risultato finale, per quanto mi riguarda, buono ma non completamente riuscito, risultando forse più come una sorta di anticipazione di ciò che sarebbe poi stato il Joker di Joaquin Phoenix. Un uomo profondamente infelice e insoddisfatto della vita che cerca disperatamente qualcosa contro cui scagliare la propria rabbia, qualcosa che possa rappresentare la causa della sua condizione, individuata – così come è naturale fare di questi tempi – nei rappresentanti politici, cercando anche, a proprio modo, di raccontare lo spaccato sociale di un’America che non ha ancora superato gli effetti dello scandalo Watergate e della crisi economica. Sam, esattamente come Travis, cerca soprattutto di affermare sé stesso: vuole mettersi in proprio, sottolineando fino allo sfinimento durante la richiesta di finanziamento che la sua sarà un’attività onesta e nel pieno rispetto del cliente, cercando di emergere dalla mediocrità della sua condizione. “Mi sono sempre considerato un granello di sabbia su questa grande spiaggia che si chiama America. Ci sono centoundici milioni di granelli di sabbia, tre miliardi sulla spiaggia che chiamiamo Terra” dirà Sam mentre incide un nastro per il maestro Leonard Bernstein, unica persona per cui nutre una profonda ammirazione. Anche la volontà di uccidere Nixon è dettata, principalmente, dalla voglia di essere ricordato, perché un uomo viene ricordato solo per quello che ha fatto”, dirà sempre su quel nastro. Poi, certo, c’è la rabbia nei confronti dei potenti, dei ricchi e della società, dove, come di consueto, le persone perbene sono perdenti e i disonesti dei vincenti. Quando Sam perde la testa e la follia si impossessa di lui, a differenza di Bill Foster (anche lui separato dalla moglie e padre di una bambina con cui vorrebbe nuovamente stare insieme, tratto che accomuna molto i due personaggi) non se ne va in giro a scaricare la sua rabbia nei confronti del disonesto commerciante coreano dai prezzi troppo alti o del fast food che smette di servire la colazione alle undici, ma solo contro il suo ex capo, che non riesce a uccidere, prima di tentare di mettere in pratica il proprio piano.

Ho scoperto The Assassination una notte d’estate di molti anni fa, credo intorno al 2006, quando Rai Tre aveva trasmesso, in tardo orario, alcuni film in prima visione, tutti considerati di nicchia, fra i quali mi pare di ricordare ci fossero Se mi lasci ti cancello, Crash, Lost in Translation e Broken Flowers.

The Assassination è uno dei film meno noti di Sean Penn, ma rimane una delle sue migliori interpretazioni, arrivando a reggere praticamente da solo il peso dell’intero racconto, riuscendo a trasmettere, anche grazie a un buonissimo doppiaggio italiano, quel senso di smarrimento, frustrazione e solitudine presente nel suo personaggio dal primo all’ultimo minuto del lungometraggio.

Pur non raggiungendo la vetta qualitativa della pellicola di Martin Scorsese, The Assassination è un film che mi è rimasto forse anche più impresso di Taxi Driver, perché riesce a raccontare, forse anche meglio del più recente Joker, quanto la condizione umana attuale (che la narrazione si riferisca agli anni Settanta poco importa) possa essere fatta di miseria e solitudine, e quanto possa essere facile arrivare ad un drammatico punto di non ritorno.

Per chiudere il pezzo con un briciolo di allegria, che di questi tempi ne abbiamo disperatamente bisogno, inserisco qui di sotto la scena in cui l’irreprensibile Ned Flanders sbrocca e inveisce contro l’intera Springfield. Poi, per fortuna, è tornato normale e nessuno si è fatto male.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata agli anni Settanta, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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