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Star Wars: Episode I Racer, la velocità della forza | Racconti dall'ospizio

Star Wars: Episode I Racer, la velocità della forza | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Star Wars: Episode I Racer viene da un altro tempo, una galassia lontana lontana in cui i giochi di guida arcade con veicoli levitanti avevano ancora un mercato.

A F-Zero X su Nintendo 64, Sony rispondeva con il futuristico e futuribile WipEout. L’estetica cartoon contro l’industrialismo post-urbano, colonne sonore nippo-zarre elegantemente contrapposte alla sperimentazione elettronica della soundtrack del gioco Sony.

Alta velocità, colori, esplosioni! Un gioco che aveva praticamente tutto.

Insomma, far correre veicoli in assenza di gravità era un business redditizio, ci si divertivano un po’ tutti e ognuno, a modo suo, trovava in quella ideale contrapposizione estetica e filosofica il proprio posto, la propria fazione.

Star Wars: Episode I Racer arrivò dopo, come tie-in di appoggio all’uscita de La minaccia fantasma, figlio di un’altra pratica desueta, specialmente se pensiamo al crollo qualitativo vertiginoso a cui sono state soggette operazioni simili per tutta la scorsa generazione. Quindi avevamo un tie-in di corse con veicoli levitanti ambientato nel mondo di Star Wars. Ma anche questo era un concetto alquanto fumoso.

Nel 1999, non è che avessimo l’assortimento di pianeti che abbiamo adesso, ventun’anni dopo e con sette film in più. Ed erano comunque pianeti creati con la stessa filosofia con la quale Lucas immaginava i suoi: la mono fascia climatica. Avevamo il pianeta completamente ghiacciato, il pianeta completamente città, il pianeta discarica, l’ asteroide colonizzato. Di pianeti che per certo sapevamo essere presenti nell’universo di Star Wars c’erano Tatooine, dove si corre sullo stesso tracciato visto nel film, e Malastare, il pianeta ripreso da una oscura citazione di Qui-Gon Jinn che ce lo racconta come l’unico pianeta della Repubblica su cui le corse degli sgusci sono legali.

Fasce climatiche e palette cromatiche differenti ma tutti accomunati dalla nebbiolina grigia, l’equivalente della prospettiva aerea su Nintendo 64.

Inutile dire che, per me, questa era una ricostruzione incredibile del tracciato di Tatooine.

Gli “sgusci” (podracer in originale) sono veicoli da corsa che levitano a un metro e mezzo da terra, la cui peculiarità è la loro vicinanza filologica con le antiche bighe: un corpo su cui è alloggiato il pilota, collegato tramite vere e proprie briglie ai due motori esterni, anteriori, al posto dei cavalli, accoppiati da un esotico e molto fantascientifico flusso di energia viola. La contrapposizione stilistica con i veicoli compatti e futuribili di F-Zero e WipEout era netta. I podracer erano oggettivamente sgraziati ma sposavano quell’idea di retro-futuro che diventerà la cifra stilistica costante di tutta la trilogia prequel.

Nel roster di personaggi giocabili c’era tutta la galleria di alieni visti sulla griglia di partenza del film: tipi sfigati e improbabili che vengono miseramente spalmati in giro per il deserto fuori Mos Eisley durante la corsa ma che in questo gioco si scoprono avere anche una dignità e un tracciato su cui sono abitualmente vincenti.

Al netto di un profondo substrato di fanservice, il gioco lo ricordo come molto divertente “Fanservice” molto relativo, comunque, dato che non credo di aver mai sentito nessuno dichiararsi apertamente fan de La minaccia fantasma.

O degli sgusci.

O di quella particolare sequenza.

(Ciao, sono il Maderna, mi inserisco a caso e vi dico che sono fan di tutte e tre le cose. No, dai, più che altro della seconda e della terza, ma comunque difendo la prima.)

Chiaramente non il veicolo esteticamente più riuscito della saga.

Ma era divertente, perché Star Wars faceva da gancio per iniziare giovani menti molto suggestionabili al culto della velocità, alla ricerca del tempo perfetto, del passaggio all’ultimo momento di un testa a testa attraverso una porta scorrevole che si chiuderà miseramente da lì ad un secondo .

Star Wars: Episode I Racer era proto futurismo, culto dell’accelerazione istantanea, esaltazione della velocità. A modo suo, è stato un punto di partenza, concepire la velocità come divertimento ha portato successivamente al mio macinare ore e chilometri su tutti i giochi di guida sui quali riuscivo a mettere le mani, anche quelli brutti. Soprattutto quelli brutti, in quel meccanismo di selezione naturale che portava a seguire una serie piuttosto che un’altra. Gli unici diktat erano maneggevolezza e velocità.

Quando si è giovani e si ha poca cognizione del mondo, la velocità è un concetto relativo e si esplora per termini di paragone, non per i numeri che scorrono su di un tachimetro virtuale, espressi in una non ben specificata unità di misura.

Tre erano i miei giochi di guida dell’epoca sul Nintendo 64: F1 World Grand Prix, nella solennità degli stemmi, dei nomi e delle licenze della Formula Uno non mi rendevo conto di avere tra le mani il mio primo simulatore di guida, punitivo come pochi e con moltissimi parametri da tenere sotto controllo; Mario Kart 64, capolavoro immenso, divertentissimo; e appunto Star Wars: Episode I Racer, che non era divertente come giocare tra amici a Mario Kart né aveva l’accuratezza scientifica di F1 ma era quello più dannatamente veloce.

Veloce così.

Il mio Nintendo 64, adesso, è in pensionamento montano, relegato a intrattenimento vacanziero, attaccato ad un minuscolo tubo catodico per vivere l’esperienza retro a pieno. L’ultima volta che ho giocato a Star Wars: Episode I Racer sarà stata più di dieci anni fa, svicolando in scioltezza tra i vari tornei e sbloccando, con grande sorpresa, il quarto torneo segreto finale a difficoltà top, oltre ad un botto di piloti dall’estetica improbabile.

Quello che resta, oltre al ricordo della velocità, sono questi enormi tracciati su pianeti desolati dell’orlo esterno. La decadenza delle enormi strutture in rovina attraversate a tutta velocità. Che scopo avevano, quando furono costruite? Nessuno è più vivo a ricordarlo. Civiltà una volta fiorenti e ora collassate. E la miseria di vite al limite, rovinate dallo scommettere i guadagni e quindi la sussistenza della propria famiglia su corse mortali, con veicoli improbabili e piloti discutibili. Quegli stessi piloti, vittime e ingranaggi della macchina, che un modello di business illegale di intrattenimento mastica e poi sputa.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Star Wars, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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