Mundaun è la montagna che si rivolta
Mundaun riesce a trasmettermi, in maniera estremamente vivida e realistica, tutto quello che provo quando mi capita di passare qualche giorno in montagna. C’è la natura, l’atmosfera, il paesaggio imponente, capace di mettere in soggezione, ma anche un’impalpabile eppur pervasiva sensazione di malinconia, attesa, turbamento, isolamento. Mi è sempre capitato di andare in montagna d’inverno, spesso sotto le festività natalizie, eppure la gente, gli sciatori, le adorabili luminarie, riescono solo a mitigare un umore che, sotto sotto, rimane sempre inquieto. Non è legato a nessun episodio in particolare, probabilmente è qualcosa di atavico ma, quando ho giocato per la prima volta a Mundaun, quel mix di sensazioni ha preso una forma videoludica ben precisa. L’immaginario della vita di montagna, i lunghi inverni, le giornate corte, la solitudine di certi villaggi, le superstizioni, le leggende che attribuiscono storie, imprese, tragedie più o meno assurde a questa o quella cima in particolare; nell’opera di Hidden Fields c’è tutto, è folk-horror puro, realizzato con dovizia di particolari pescando da un immaginario e da una cultura, quella della Svizzera più bucolica e tradizionale, decisamente particolare per un videogioco.
Che bella baita, non ci andrei in vacanza neanche se mi pagassero!
La misteriosa morte del nonno, arso vivo nel capanno della sua baita, è il primo colpo di badile che dissotterrerà una maledizione che Curdin, il protagonista, avrebbe volentieri fatto a meno di rivelare. La Storia che collide con la superstizione, con le credenze popolari, il trauma della guerra che scatena un evento sovrannaturale, risvegliando qualcosa che fino a poco prima erano solo racconti tramandati, utili per spaventare i bambini che non vogliono andare a letto, o intrattenere gli amici nelle fredde serate invernali, davanti a brocche colme di birra, sbraitando. Il diavolo che si nasconde negli anfratti più reconditi di quei monti, tra pastori, greggi di pecore e natura incontaminata? Chi ci crederebbe? Mundaun vive in questo spazio angusto tra incubo e realtà, mettendo il giocatore nei panni e nella prospettiva del suo protagonista, intendo a capirci qualcosa in un’indagine che, fin da subito, si rivela un conturbante viaggio a ritroso nella vita del nonno. Il mondo slavato, seppia, come nelle foto che si trovano nei cassetti delle case degli anziani, scolorite, incapaci di ricordare i colori del mondo, che quasi viene il dubbio che abbiano impresso momenti realmente accaduti. Questo filtro sottrae la meraviglia dai panorami, scolando gli stereotipi positivi di quei paesaggi e lasciando solo quello che questi luoghi hanno di cupo, inafferrabile, malinconico: ci si muove in un residuo maledetto, respingente, dal quale si vorrebbe solo fuggire, i contorni delle texture ripassati a matita, giocando anche esteticamente sull’ambiguità tra racconto e vita vissuta.
Buongiorno! (Mamma mia che paura).
Nonostante patisca parecchio gli horror interattivi, subendone le capacità ansiogene, mi ritrovai a vagare come ipnotizzato, incapace di scegliere se smettere o continuare, totalmente sotto l’influenza di questo luogo, psicologicamente intrappolato: dovevo capire cos’era successo, come se quello scomparso dopo una morte orrenda fosse il mio, di nonno. È un legame, quello che si crea con Curdin, dettato sia da uno spaesamento condiviso (lui vive in città e torna al villaggio per il funerale), cui si tende a voler porre rimedio, accompagnandolo e spartendosi ansia e spaventi, sia dalla scrittura del personaggio, impreziosito da un doppiaggio in romancio (lingua neolatina parlata nel Cantone dei Grigioni, in Svizzera, appunto) più unico che raro. La perfetta definizione di “calare nel contesto” il proprio pubblico. Sentir parlare e pensare Curdin è già di per sé un’esperienza estremamente evocativa, con parole ed espressioni sintattiche molto simili all’italiano e altre assolutamente fantastiche, esotiche, alle orecchie di chi non ha dimestichezza con certe parlate (in particolare i dialetti altoatesini e friulani, risalendo ai geni italiani del romancio, con cui ha una certa assonanza).
Tiriamo fuori il binocolo per osservare bene il panorAAAAAAAH!
Una costruzione impeccabile del mondo che racconta, al di là della vicenda surreale in cui ci si ritrova invischiati, della storia di Mundaun e della sua gente. Le “maschere” del carnevale alpino che prendono vita come in una parata di Krampus, dandoci la caccia, come un’allegorica trasfigurazione degli abitanti del luogo, ormai impazziti, corrotti da quel male, opprimente e più che mai presente; gli antichi rituali pagani che lo hanno risvegliato, le cui origini rimbalzano e si perdono come echi nelle valli, intrecciandosi con le vicende della Prima Guerra Mondiale. È nella disperazione di quei momenti che Flurin, il nonno di Curdin, osservando l’avanzata delle truppe nemiche, soverchianti, dai piedi della montagna, decide di ricorrere al più antico e disperato dei sacrifici: vendere l’anima al diavolo, pensando di essere però più furbo, di poterlo truffare, prendendo senza dare nulla. Un peccato che ricadrà poi sulle future generazioni della famiglia, portando alla rovina anche la stessa comunità che il maligno aveva salvato dalla furia bellica. Il nipote che fa i conti col passato della propria famiglia, scoprendo eventi sepolti sotto la neve per anni e tornati a galla con la violenza di una valanga, vivendo sulla propria pelle le conseguenze di quella scelta. Un percorso doloroso ma anche liberatorio, nel quale il giocatore ha il compito di dare il coraggio a Curdin per poi riceverlo indietro; “abbiamo superato pure questa, andiamo avanti”.
Mundaun offre tantissime immagini estremamente evocative.
È come scrollarsi di dosso un peso, rinascere dopo aver risolto il proprio trauma, strappando fisicamente il contratto che legava la propria famiglia al demonio, “l’uomo cornuto” della tradizione alpina. L’intensità di questo horror svizzero mi sorprese parecchio ai tempi, al di là di un gameplay anche abbastanza banale, applicato però a un contesto dove basta e avanza, tanto il focus è sull’atmosfera e sul racconto, lasciandomi praticamente impressi (dal punto di vista meramente ludico) solo i tragitti sul furgoncino che si trova dopo un’oretta, con cui girare per il paese e tirare sotto qualche uomo di paglia. Anche questo, a modo suo, è parte dell’essenza bucolica e così folkloristica di Mundaun!
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata agli orrori di provincia e al folk horror, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.