Clair Obscur: Expedition 33 - Nani sulle spalle dei giganti
Clair Obscur: Expedition 33, è una vera sorpresa. Di quelle che ti fanno fermare, guardare lo schermo e pensare: “Ma chi diavolo ha fatto ‘sta roba?”. Dopo qualche ora di gioco immerso in questo nuovo JRPG, di fronte alla inaspettata bellezza degli ambienti, cura nei dettagli, l’eccezionale croccantezza del gameplay, la melodrammatica malinconia della storia, le struggenti melodie della musica, mi sono detto “Ma chi l’ha fatta ‘sta roba?”, e ho googlato sul cellulare aspettandomi il solito dream-team di vecchi veterani silurati in massa dalla fantastica “industria videoludica” riciclati in nuovo progetto più o meno indie.
E invece no, mi son trovato davanti questa paginetta striminzita composta da una trentina di facce o poco meno, tutte giovani e perlopiù indiscutibilmente francesi, nessuno che dimostri più della mia età. Quindi parte lo stalking pensando “vabbè ma chissà a quanta roba avranno lavorato”, cerchi i vari team lead su MobyGames, il database che ti dice chi ha lavorato a cosa nel mondo dei videogiochi, e scopri che il creative director dell’intero gioco ha due credits piccini in roba Ubisoft anni fa. Stessa storia per il technical director. L’intero team artistico, che ha realizzato una delle art direction più potenti degli ultimi anni, sembra spuntato letteralmente dal nulla con pochi sparuti credits nell’illustrazione di giochi da tavolo. Questi non sono veterani, sono persone al loro vero primo gioco! Come hanno fatto a creare una roba così? E il colpo di scena arriva lì, sotto quelle facce da piccolo team sperimentale: un piccolo paragrafo con i giochi preferiti di ognuno. Non curriculum, non award, solo le preferenze personali. Ed è lì che tutto inizia ad avere senso…
Il sogno bagnato dell’italiano medio.
I titoli riportati sono tanti e vari, ma tutti eccellenti. Da quello capisci, per esempio, che è inevitabile che l’art direction di Clair Obscur: Expedition 33 sia a base di un art déco corrotto, sciolto, dipinto, del tutto adatto a un mondo che poco a poco si sta spegnendo, se consideri che fra i giochi preferiti dell’art director figurano Dishonored, Bioshock e The Order: 1886. Allo stesso modo non si fa fatica ad inquadrare il sapiente mix di combattimento a turni, quick-time event, schivate e contrattacchi se consideri che fra i giochi preferiti del team di design ci sono pezzi del calibro di Persona, Demon’s Souls, Elden Ring, Kingdom Hearts II, Final Fantasy VIII e Yakuza.
E ancora, la melodrammatica storia e la malinconica ambientazione non potevano che venire da una persona che adora Hollow Knight ed Elden Ring. Così il superlativo accompagnamento musicale è figlio di qualcuno che ha amato alla follia Hollow Knight, Nier: Automata e Xenoblade Chronicles. Questa è chiaramente gente che i giochi li conosce e li ama e che ha portato avanti un progetto per passione, per amore, e per voglia di fare qualcosa di nuovo.
“Qualcosa di nuovo?”, direte voi, “Ma hai passato gli ultimi tre paragrafi a citare fonti, ispirazioni, roba da cui hanno rubacchiato…”. E invece no, ché questi sono stati talmente bravi da prendere tutte queste idee, distillarne l’essenza migliore e infilarla nel loro gioco, con le loro idee, facendo proprio tutto questo. Un mosaico di idee e trovate che non suona mai forzato, né messo lì solo per fare scena. Tutto trova un suo posto, tutto ha senso nell’insieme del gioco e pur riconoscendo tutti questi pezzetti provenienti da decine di altri giochi, nulla sembra forzato. Prendere sempre e solo il meglio e piazzarlo lì, come un pezzo di puzzle che si incastra alla perfezione col resto del dipinto.
Il cast principale del gioco. Da sinistra verso destra c’è: la maga che fa contento Tarantino, lo stereotipo di minorenne francese, Robert Pattinson coi baffi a manubrio di The Lighthouse e la vedova allegra che fa le carte.
Se non si fosse capito, Clair Obscur: Expedition 33 è un gioco della madonna che mi ha conquistato fin dall’inizio come pochi altri negli ultimi anni. Sulla storia meno vi racconto e meglio è, vi basti sapere che le premesse sono quelle di un mondo fantastico (che somiglia straordinariamente alla Parigi della belle epoque) in cui una misteriosa divinità chiamata La Pittrice disegna ogni anno un numero su un gigantesco monolito che si trova ai confini del mondo. Ogni anno il numero scende di un’unità e tutte le persone che sono più vecchie di quel numero si disintegrano in un mare di petali. E ogni anno inesorabilmente una spedizione di volontari, tra cui molte persone la cui data di scadenza si avvicina, parte per un viaggio disperato ai confini del mondo per cercare di fermare La Pittrice e spezzare il ciclo che sta lentamente uccidendo il mondo. Inutile dire che da questo viaggio non è mai tornato nessuno. La storia racconta la storia della “Spedizione 33” del titolo ed è un racconto potente, malinconico e speranzoso, colmo di tematiche profonde, intrecciate in un arazzo in cui “ce se capisce e nun ce se capisce” e che richiamano chiaramente molti dei titoli sopra citati. Trova brillantemente il suo spazio in una narrazione che centra l’equilibrio fra disperazione e speranza, mentre affronta temi legati all’elaborazione del lutto, a quanto le famiglie possano essere strumentali nella costruzione e nella distruzione dell’individuo e su quanto in vita si possa sacrificare per le generazioni future. La trama ha un ritmo serrato, senza filler, pieno di colpi di scena e svolte inaspettate e dipinge un mondo in maniera impressionistica senza troppi spiegoni. Commuove tanto, fa ridere il giusto, si prende anche in giro nel suo essere spudoratamente francese, emozionando e sorprendendo quasi tutto il tempo.
Il posto più normale che vedrete.
L’ambientazione è realizzata eccezionalmente; il mondo di Clair Obscur: Expedition 33 è un dipinto surreale fatto di foreste fantastiche, rocce sospese nel vuoto, inquietanti montagne incastonate di maschere, caverne buie ed escheriane, il tutto mantenendo una coerenza impeccabile con la chiara ispirazione art decò della sua direzione artistica. La musica è forse l’aspetto che mi ha colpito di più: irrimediabilmente francese nelle sue melodie dolci e struggenti a base di fisarmonica, piano e violino, a volte elettronica downtempo a tutto spiano, in altre eterea e soave nei suoi canti misteriosi dalle parti di Nier: Automata ma sa diventare anche un muro di suono e chitarre spianate quando serve. Il compositore? Reclutato in un forum di produzione musicale a caso senza alcuna esperienza professionale precedente. Geniale! C’è tanta musica eccezionale nel gioco, forse pure troppa, considerando che alcuni pezzi molto belli si sentono una manciata di volte e poi mai più. Mio brano preferito forse il tema di battaglia “speciale” con fisarmonichina sbarazzina, incursioni poetiche di chitarrino acustico e cassa dritta: così francese, così autoironico. Irresistibile.
Sta buono, cagnolino…
Tutto questo ben di dio sarebbe comunque inutile se alla base di tutto non ci fosse un gameplay solido. Le battaglie a turni, si sa, hanno fatto il loro tempo per molti dei fan dei JRPG, tant’è che perfino la serie storica dei Final Fantasy se ne sta allontanando progressivamente con risultati a volte buoni (Final Fantasy VII Remake) a volte meno (Final Fantasy XVI) mentre altre serie continuano imperterrite. Poche però sono riuscite a rendere le battaglie a turni interessanti e divertenti quanto in Clair Obscur: Expedition 33. Ancora una volta prende il meglio da chi è venuto prima. L’interfaccia appariscente mutuata dai Persona lascia sottintendere un sistema di combattimento simile e invece non potrebbe essere più diverso. Se vogliamo, la similitudine più vicina la si può fare con la serie di Mario & Luigi: a turni sì ma con molti elementi in cui reagire in tempo reale. Quasi ogni forma di attacco da parte dei personaggi richiede un quick-time event per funzionare a dovere. Ogni attacco ha un numero di pressioni di tasti e tempistiche del tutto diverse e in alcuni casi sbagliando queste pressioni possono esserci anche ritorsioni contro il personaggio stesso. Ma la parte più interessante sta nel sistema di parate e schivate. Non è concesso rilassarsi molto anche nelle battaglie più semplici, i nemici picchiano molto e il gruppo di eroi viene giù in relativamente pochi colpi se non si schiva e si para opportunamente gli attacchi dei nemici in tempo reale. Parate e schivate funzionano alla perfezione con un sistema di risk/reward davvero ottimo: la schivata offre un tempo di invulnerabilità più lungo ma l’unico vantaggio è quello di evitare i danni, mentre le parate offrono un frame temporale ridotto ma innescano un potente contrattacco se si riesce a parare tutti gli attacchi. Enfasi su quel “tutti” perché si inizia con semplici combo di uno o due colpi ma verso la fine del gioco la lunghezza e la tempistica degli attacchi diventa sempre più infame arrivando a richiedere una concentrazione non tanto lontana da quella di un boss di Sekiro.
A questo sistema si aggiunge il fatto che ogni singolo personaggio funziona con un sistema completamente diverso di abilità: Lune, la maga del gruppo, genera macchie elementali di colori sulla sua tavolozza che possono essere utilizzate per potenziare magie successive mentre Sciel, la “cavaliera oscura”, deve applicare particolari marchi ai nemici e alternare abilità solari e lunari per massimizzare i propri danni. C’è ancora molto altro in termini di sistema di combattimento ma sarebbe inutile parlarne qui, vi basti sapere che il tutto funziona molto bene e non c’è niente di meglio che concatenare attacchi sfruttando le sinergie dei personaggi per poi passare a contrattaccare con effetti visivi e sonori davvero soddisfacenti, di quelli che ti fanno urlare “BOOOM!” al televisore. Pur non contando su una grandissima varietà di nemici, i combattimenti non sono mai noiosi e richiedono sempre una buona dose di impegno per essere superati. Scordatevi di sonnecchiare tra un turno e l’altro di gioco, la natura “attiva” del sistema vi chiede di essere sempre sull’attenti anche di fronte a nemici non particolarmente forti.
Ogni contrattacco di Maelle è un’ottima occasione per urlare “AFAMMOCC!” o “SUCA” o altre varianti regionali dello stesso concetto.
Clair Obscur: Expedition 33 non è solo uno dei migliori JRPG degli ultimi anni. È uno dei migliori giochi in assoluto. Mangia in testa a buona parte dei JRPG più blasonati degli ultimi tempi con una genuinità che sembra impensabile in un mondo fatto di giochi le cui decisioni sono più frutto di logiche di mercato che di accorate scelte artistiche. Clair Obscur: Expedition 33 sembra un miracolo ma non lo è. È “solo” un’altra dimostrazione che non serve inventarsi l’impossibile; serve saper scegliere il meglio, plasmarlo, e crederci fino in fondo senza troppe ingerenze esterne. Nonostante le sue numerose influenze Clair Obscur: Expedition 33 è un gioco coerente e solido come il monolito che si staglia ai confini del suo mondo di gioco, Un’opera consapevole delle proprie influenze, che indossa con orgoglio e trasforma in identità, rimasticandole il giusto, facendole proprie e riconoscendo anche meta-narrativamente il fatto di poter esistere solo perché “nano sulle spalle dei giganti”. Sandfall non ha solo creato un gioco, ha tracciato una rotta. Sono loro la vera disperata spedizione lanciata ai confini del mondo, che riesce a usare sapientemente quanto lasciato da chi è venuto prima di loro e allo stesso modo a fare qualcosa di completamente nuovo. Una spedizione che parte senza sapere se tornerà e che invece trova qualcosa di nuovo e di vero.
Mi risuona nella testa il motto delle spedizioni nel mondo di Clair Obscur: Expedition 33 che in quest’ottica sembra una raffinata operazione di metanarrativa sulla creazione stessa del gioco: “Per quelli che verranno dopo. Noi continuiamo!”.