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Riflessioni sferiche su spiagge apocalittiche

Riflessioni sferiche su spiagge apocalittiche

Ero su una spiaggia brulla battuta dal vento: Sam Porter Bridges (mannaggia Kojima e i nomi) barcollava sotto il peso dei pacchi e io pensavo a tutt’altro. Non per demerito del gioco, sia chiaro, Death Stranding 2 mi sta piacendo molto, ma le lunghe passeggiate scevre da accadimenti ispirano pensieri contemplativi, tipo “come siamo arrivati a dare per scontato certi sistemi di crescita nei giochi?”. Mentre aprivo il menu di potenziamento di Sam qualche momento prima, una griglia di nodi collegati da linee, la mia mente era corsa alla Sferografia di Final Fantasy X. Quell’enorme tabellone di nodi del 2001, insieme a tutti i suoi vari figli e figliastri, è ormai talmente familiare a qualsiasi videogiocatore da non risultare una sorpresa. Anzi ormai è quasi un cliché, ma c’è stato un tempo in cui un sistema di avanzamento così era avanguardia pura.

Cosa sono i miglioramenti APAS se non una sferografia più triste?

A quanto pare la Sferografia nasce dall'amore di Yoshinori Kitase (director di Final Fantasy X) per i giochi da tavolo e dalla voglia di Tsuchida Toshiro (battle director) di far “muovere delle pedine” dentro ad un JRPG: un percorso visibile e tattile, quasi da conto alla rovescia per l’essere sovralivellati. Da lì l’idea ha messo radici ovunque: la License Board di Final Fantasy XII, il Revelation Flow di Rogue Galaxy e più o meno quasi ogni altro sistema di progressione a nodi degli ultimi anni, particolarmente nei giochi open world tripla A. Ognuno ha preso il concetto di camminare su un grafico e lo ha piegato alle proprie esigenze. 

Va là che bello, pare un foglio Excel inutilmente complicato.

Durante quella camminata sulla spiaggia in Death Stranding 2, mi è tornato in mente che la novità assoluta non è l’unico motore della creatività. Spesso il passo avanti è combinare pezzi esistenti: un po’ di Sferografia, un accenno di Materia, una spruzzata di soulslike. È lo stesso processo con cui il jazz ha rimescolato soul, blues e musica europea o con cui io rimescolo le idee che mi sono venute scrivendo il pezzo su Clair Obscur: Expedition 33 per poter scrivere questo articolo. E questa cosa, nei videogiochi, succede sempre. Ogni sistema che oggi vediamo come “standard” è nato da un tentativo, una sperimentazione o un copia-incolla particolarmente ispirato. Non c’è nulla di male in questo: anzi, è proprio qui che si riconosce l’artigianato fondamentale per lo sviluppo di videogiochi. Un gioco funziona non perché tutto è originale, ma perché ciò che è stato ereditato è stato messo al posto giusto, nel momento giusto.

Ed è anche per questo che le fan-wars mi annoiano a morte.

Davvero: c’è qualcosa di tragicamente comico nel vedere persone litigare su quale gioco o serie copi o superi un altro, quando tutti i giochi, come tutti i sistemi complessi, sono fatti di frammenti e di idee che rimbalzano da un progetto all’altro, anche tra diretti concorrenti. È come litigare su quale pane abbia inventato la mollica (e chissà, magari se vado sul subreddit giusto trovo anche questo). Ogni volta che leggo thread infiniti su chi “ha innovato di più” o “ha copiato meno” mi viene da ridere e poi da stendere un velo pietoso sull’ironia: il tutto mentre magari un designer di una serie tripla A sta prendendo appunti da un indie uscito ieri.

La Sferografia ha comunque codificato una sensazione: far crescere il personaggio mentre lo si vede avanzare su un percorso a bivi. Si dice spesso che un gioco è una serie di scelte interessanti e in questo senso un sistema di progressione a nodi costituisce una sorta di minigioco nel gioco. Tanti altri ne hanno fatto variazioni sul tema, più o meno azzeccate, dimostrando che copiare bene è spesso più utile che inventare male. E ciò mi fa riflettere anche sul fatto che ogni volta che un sistema ci sembra “normale”, qualcuno in passato ha dovuto spiegare perché fosse una buona idea, e che magari un determinato sistema non ha avuto il successo meritato al primo giro. Come quando il sistema di controllo ormai standard per gli FPS su controller fu odiato da tutti quando venne introdotto da un modesto gioco tie-in di Alien sulla prima PlayStation. E quindi no, non serve difendere il proprio gioco preferito come se fosse un brevetto: tanto anche lui ha preso spunto da qualcun altro.

Quindi questi pensieri (chissà, forse ovvi per tanti) mi hanno fatto compagnia tra una spiaggia e l’altra di Death Stranding 2, con la colonna sonora pop nostalgica sparata in cassa. Sarà anche vero che i giochi rubano idee qua e là, ma è un furto consapevole, quasi affettuoso. E la cosa migliore che possiamo fare è lasciarci rubare ancora, che poi, tanto lo facciamo anche noi, ogni volta che parliamo di videogiochi come se fossero nostri.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle spiagge, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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