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ASTRO BOT Rescue Mission è bello, ma stiamo calmi

ASTRO BOT Rescue Mission è bello, ma stiamo calmi

Uscito all’inizio dello scorso ottobre dalle officine di ASOBI!, team interno a Japan Studio, ASTRO BOT Rescue Mission nasce sulla scorta di Robot Rescue, un platform appartenente alla raccolta THE PLAYROOM VR. Dal prototipo in questione, ripesca alcune tra le meccaniche di base assieme al protagonista, Astro, mascotte wannabe di PlayStation VR, disegnata a metà tra la EVE di WALL•E e quei così di plastica che si trovano nei centri commerciali. Ne viene fuori un platform in terza persona che fa il verso ai successi Nintendo, in particolare ai due Super Mario Galaxy, con cui condivide la faccenda dell’astronave-hub, i pianeti e i livelli squisitamente sconnessi tra loro sul piano tematico. Ah, sì, pure un protagonista impegnato a cercare i suoi comprimari sparsi dappertutto.

Ma non è solo la struttura di gioco, a mimare Nintendo: andando a spasso per gli oltre ventisei livelli, è facile imbattersi in dozzine di citazioni mariesche e notare un sistema di segni praticamente analogo a quello che definisce il Regno dei Funghi. Tuttavia, e senza entrare in meriti qualitativi, la differenza più grossa che passa tra il gioco sviluppato da ASOBI! e i suoi riferimenti è la realtà virtuale; realtà virtuale che per estetica, movimenti e senso del meraviglioso non è mai stata così in forma.

Leviamoci subito il dente, va’: ASTRO BOT Rescue Mission rappresenta a oggi l’applicazione più spettacolare tra quelle che girano sul visore di Sony (e forse tra tutti i visori, ma vai a sapere). Siamo di fronte a un viaggio strepitoso, che vale completamente il prezzo del biglietto. Bassissimo, tra l’altro, visto che, tra catene e negozi online, il gioco circola sottocosto praticamente dal day one.

Ciascun livello rappresenta un’esperienza spaziale e visiva straordinaria, di quelle che riempiono occhi e orecchie ma senza lasciarti in bocca quel sapore di vomitino da motion sickness. Il livello di dettaglio degli ambienti è eccellente, così come eccellenti sono la fisica dei fluidi e la gestione della luce. Per fare un esempio, c’è uno stage a tema marittimo che lascia senza fiato, sia che lo si percorra sopra, che sotto il livello dell’acqua. Oppure, un campetto da calcio appiccicato su una spiaggia al tramonto che pare uscito da una canzone di De Gregori, guarda.

A chiudere ciascun ciclo di livelli ci sono gli immancabili boss, giganteschi e ispirati, che regalano alcuni tra i momenti migliori dell’esperienza, e volendo, c’è persino un gioco della gru, in cui è possibile pescare diorama che non farebbero brutta figura in un Toy Story a caso.

In effetti, si potrebbe serenamente pensare ad ASTRO BOT Rescue Mission come a un vero e proprio Luna Park virtuale, che fonde l’estetica Pixar con quella Nintendo. Cosa che da un lato rappresenta il suo principale pregio (oltre che, evidentemente, l’obiettivo perseguito da ASOBI!), ma dall’altro il suo più grosso limite.

Pixar e Nintendo si incrociano spesso, nei riferimenti di ASTRO BOT Rescue Mission.

Sì, perché se lo chiedete a me - e liberissimi di non farlo, ‘stavolta più che mai – se sul piano della spettacolarità siamo a livelli altissimi, nella pratica ASTRO BOT Rescue Mission, più che la rielaborazione in VR di un platform classico, ne rappresenta semmai una simulazione, con tutti i limiti del caso. Volendo metterla già a fette, il titolo di ASOBI! sta ai giochi di piattaforme quanto i walking simulator stanno alle avventure grafiche propriamente dette, se solo non ci fosse di mezzo un problema di bilanciamento.

Cerco di spiegarmi meglio: il gameplay, qui, è talmente convenzionale da rappresentare quasi un complemento d’arredo per le scelte estetiche. L’esperienza, per tutta la sua breve durata, procede quasi senza rischi, senza brividi che non siano stati ben fissati da apposite cinture di sicurezza. Il giocatore viene accompagnato a manina da mille checkpoint e milleuno didascalie, mentre il livello di difficoltà subisce pochissime variazioni dall’inizio alla fine, con qualche botta giusto in presenza dei boss.

La spettacolarità dei boss è quasi spiazzante.

Anche il sistema di controllo del robottino è estremamente docile, con una giravolta à la Link che spazza via tutto e un meccanismo di planata a prova di caduta che - già che c’è - brucia pure i nemici sottostanti. Ah, nemici per modo di dire, dati il loro altissimo tasso di mortalità e la scarsa resistenza che offrono, e poco importa se siano piccoli quanto un sasso o grossi come una mongolfiera: un colpo o due e vanno giù.

Insomma, razzolando per questi pianeti in VR, è difficili sentirsi veramente in pericolo; semmai invincibili, un po’ come i visitatori di Westworld prima che spuntino fuori i casini.

Chiaro, volendo accumulare proprio tutti gli otto robottini a giro, l’asticella della sfida si alza un pochettino, ma non sensibilmente. E se la mancanza di game over non rappresenta da anni un problema per il genere, perlomeno si sarebbe potuto evitare di “assegnare il punto” anche quando si libera un omino gettandosi nel vuoto, ché tanto poi si rinasce.

Lo ribadisco: la sensazione è quella di essere immersi in una gigantesca ma innocua attrazione turistica, e del resto la natura posticcia dei mondi di gioco viene continuamente sottolineata, quasi a ribadire la precisa intenzionalità della cosa. Così, anche senza la VR di mezzo, certi svarioni di traiettoria in un Mario a caso offrono brividi più ben concreti rispetto agli analoghi di ASTRO BOT Rescue Mission.

Le abilità di base a disposizione di Astro sono divertenti ma facilitano un po' troppo la vita dei giocatori.

Di tanto in tanto, saltano fuori dei gimmick in stile Wiimote, che si divertono a mescolare le carte tra avatar e giocatore, e alcuni, come le stellette ninja o i rampini, sono davvero creativi. Anche la scelta di sfruttare il sound design per indirizzare la ricerca dei piccoli cosmonauti non è male. Eppure, se quelle che ho elencato restano delle buone idee, quasi sempre vengono lasciate in balia di sé stesse o impicciate da un contesto che impedisce loro di esprimersi con tutti i crismi.

È più che evidente come i designer del gioco abbiano puntato tutto sull’esperienza spaziale e sulla comodità. Tolto lo stupore della VR, a livello di ingaggio resta ben poco: un platform semplice, breve e banalotto. E grazie al cazzo, direte voi. E lo direi pure io, che non sono nemmeno un fan della difficoltà a tutti costi, se non fosse che proprio non ho potuto evitare di notare la dissonanza tra uno spazio ludico tanto leggibile ed efficiente e il suo scarso impiego.

Gli shuriken, oltre che come armi, possono essere sfruttati per creare piattaforme ad hoc.

Ludicamente parlando, le parti più riuscite sono quelle dove gli ambienti virtuali intersecano il linguaggio del genere da prospettive inedite. In quei momenti, ti ritrovi col naso all’insù o all’ingiù - ma sempre a bocca aperta - a manovrare e ammirare il robottino lungo qualche traiettoria particolarmente ispirata o insolita. Sezioni che, giuro, sono davvero una bomba ma, nella loro rarità, finiscono solo per svergognare tutto il potenziale à la Mario Galaxy sacrificato sull’altare della prudenza.

È evidente che la realtà virtuale, a livello di applicazioni, non riesce ancora a scrollarsi di dosso la convinzione che le esperienze debbano essere prima di tutto comode e confortevoli. Magari anche brevi, ma lì non so quanto c’entri il rischio d’impresa vs. la base installata, boh.

Ad ogni modo, nonostante tutte le mie osservazioni, i rincrescimenti e le piazzate, ripeto: se avete in casa un visore Sony che vi balla, procuratevi assolutamente ASTRO BOT Rescue Mission, perché resta pur sempre un viaggio spettacolare, che vale la pena di essere affrontato. Però, ecco, da lì a considerarlo un punto di arrivo, ne passa; semmai è un bel punto di partenza, su cui cominciare a costruire roba.

Ho giocato ad ASTRO BOT Rescue Mission su PlayStation 4 Pro con un visore di prima generazione che non dovrebbe essere troppo diverso da quelli più recenti, ma tant’è. Mi ci sono dedicato, boh, credo una decina di ore, prendendomela stra-comoda e passandomi qualche sfida. Non so se ci rigiocherò ma sicuramente lo mostrerò agli amici per fare il ganassa. Come al solito, se acquistate il gioco su Amazon passando dai nostri link, ci fate ricevere una piccola percentuale di quanto spendete, senza sovrapprezzi per voi. Potete farlo su Amazon Italia a questo indirizzo qui o su Amazon UK a quest'altro indirizzo qua.

Old! #281 – Novembre 1998

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Racconti dall'ospizio #185: L’estate di Pokémon Argento

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