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 A Way Out: come sono scappato di galera con il mio amico Claudio | Spoiler Zone

A Way Out: come sono scappato di galera con il mio amico Claudio | Spoiler Zone

Una rubrica in cui parliamo di giochi, film, libri, la qualunque, a posteriori, senza farci alcun problema di spoiler, in questo caso riguardo al videogioco del 2018 A Way Out. Se non avete ancora "consumato" ciò di cui si parla, statene alla larga, perché qui potremmo svelarvi ciò che non volete sapere!

Giocare ai videogame al tempo del Coronavirus, per me, vuol dire due cose. Prima di tutto, ridurre l’abnorme e sempre crescente lista di giochi in backlog. In secondo luogo, rimpiazzare la socialità persa nel rimanere a chiuso in casa settimane riproponendomi di giocare in multiplayer. Visto che in generale il multiplayer non mi fa impazzire, specie se prevede un gioco in cui ci vogliono riflessi fulminei da dodicenne, che poi perdo e mi deprimo, ho spulciato la mia lista di backlog a caccia di titoli co-op. Finalmente, sono quindi riuscito a giocare a un titolo che tenevo da parte da un bel pezzo: A Way Out.

La trama è semplice: due galeotti vogliono evadere dal carcere per riuscire a recuperare un bottino di un certo calibro e uno dei due è animato anche dal fuoco sacro della vendetta. Ho reclutato il mio amico Claudio e, per mezza settimana abbondante, abbiamo giocato a A Way Out dalle 18:00 alle 20:00, orario in cui le #figliepaglianti reclamano la cena.

A Way Out è stato una bella sorpresa, in diversi sensi. Come esperienza co-op, è unico: il gioco *deve* essere completato in cooperativa, non si può giocare con un bot. Al contrario di quanto accade in giochi come Portal 2, non c’è nemmeno l’ombra di una parte single player: o trovi un amico o non ci giochi.

Esperimento quindi molto coraggioso, peraltro da parte di un megaeditore come Electronic Arts, che spesso viene accusato di seguire le mode a colpi di Battle Royale (almeno, in questo periodo) e di seguiti (FIFA, NHL e compagnia sportiva). I primi due terzi di A Way Out sono in pratica un’avventura, in cui i due giocatori devono collaborare per scappare dal carcere e prepararsi al “colpo” per recuperare il bottino. Per esempio, devono scalare un pozzo appoggiandosi schiena contro schiena e spingendo con le gambe contro il muro. Dubito sia realmente possibile farlo e non credo che in questa vita ci proverò, ma in A Way Out è spassoso. “Claudio, tocca a te!”, “Ma no, Paglianti, hai mollato all’ultimo step, dobbiamo rifare tutto”. Consiglio vivamente di giocare con Discord in background e cuffie + microfono.

Solo nei videogiochi.

Il gioco, di per sé, è molto basic, ma proprio per questo, se giocate con un amico “vero”, del mondo reale, sorgono spontanei sia lo sberleffo che la chiacchiera. “Ehi, Claudio, ma lo sai che quel completino da vaccaro che hai preso per sostituire la divisa da ergastolano ti sta proprio bene?”. Oppure, mentre stiamo percorrendo due chilometri nel bosco, “Paglianti, hai visto che GamesWorkshop ha fatto uscire una nuova miniatura degli Elfi che è troppo figa?”.

In alcuni punti, c’è anche da scegliere cosa fare. Arrivati davanti a una fattoria sperduta nei campi tra il carcere e la salvezza, dovete scegliere se creare un diversivo ed entrare nella casa evitando gli anziani proprietari o irrompere con il revolver in mano. Qua c’è un tocco di gioco di ruolo – assumendo che chi ci legga e i suoi amici non abbiano mai tentato una rapina vera. Ci si cala nei due personaggi, che hanno atteggiamenti diversi, e bisogna convincere l’altro a fare a modo proprio. Non c’è un timer che scatta, non c’è un arbitro: se non vi mettete d’accordo, rimanete fermi. Altro sistema molto peculiare e coraggioso.

L’ultimo terzo del gioco diventa uno sparatutto in terza persona, che fa la sua porca figura. Non è Call of Duty ma ci si può riparare dietro gli ostacoli e, giocando in due, è tutto un “Io li tengo inchiodati con il mitragliatore e tu vai sul fianco con il fucile e li fai a gruviera”. Molto carino.

Uno fra i momenti più tesi.

La fine dell’avventura mi è parsa un po’ tirata per le lunghe e ripetitiva. Se A Way Out fosse un gioco single player, l’avventura la giudicheremmo come mediocre, considerando che è molto semplice ed elementare. Se qualcuno rimanesse bloccato in un gioco del genere, dovrebbe essere rimandato a settembre e prendere ripetizioni di Monkey Island e di tutti i titoli TellTale. Diventa divertente solo perché si collabora in due. Invece, la parte sparatutto mi è piaciuta assai, e devo dire che ripeterei l’intera sezione tra qualche tempo.

Oltretutto, A Way Out è un gioco coraggioso perché va fino in fondo e all’ultimo c’è un plot twist di portata molto rara, in un videogame. Mi capita spesso di sottolineare che come “genere” i videogiochi siano meno maturi di film, serie TV e romanzi proprio perché seguono dei canoni lineari. Ci sono videogame caciaroni come The Expendables, ma è molto difficile trovare videogame alla Mystic River o Il sesto senso, per intenderci, con colpi di scena coinvolgenti. A Way Out lo fa e vi obbliga ad essere attori attivi del plot twist. Non c’è un finale positivo (se cercate su Internet, scoprirete che i giocatori sono andati a caccia di un esito “perfetto” che salvasse capra e cavoli, ma non esiste proprio).

Ultima bella notizia: A Way Out, su PC, fa parte di Origin Access Premium, quindi potete giocarci spendendo 15 euro (a testa) per l’abbonamento mensile, invece dei 29,99 richiesti per l’acquisto del gioco. Visto che si finisce in un pomeriggio, potete dedicare il resto del mese a provare gli altri titoli, tra cui figurano – come consiglio personale – un Crysis 3 che si porta benissimo i suoi anni e uno sfiziosissimo FrostPunk.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’escapismo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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