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Serial Experiments Lain, come mi ha convinto al suicidio

Serial Experiments Lain, come mi ha convinto al suicidio

Senza girarci troppo attorno, ovviamente il titolo di quest’articolo è pensato esplicitamente per generare clickbait. Non perché grazie a questo Maderna mi darà dei soldi derivanti dal boom di visite, ma perché è una pratica più che attinente al Wired, ossia la visione di Chiaki J. Konaka, nel 1998, di quello che oggi siamo abituati a chiamare col nome di Internet.

A differenza delle altre storie di cui avete potuto leggere all’interno dell’attuale Cover Story, ricche di robot, futuri distopici e quant’altro la fervida immaginazione giapponese possa tirar fuori in ambito di futuri dominati dalla tecnologia, in Serial Experiments Lain l’approccio è a tratti realistico e al limite dello scientifico. Serial Experiments Lain (che da ora in poi abbrevieremo con l’aiuto del copia e incolla, voi potete continuare a leggerlo per intero), sin dal suo inizio, sembra quasi non voler introdurre lo spettatore all’interno del mondo fantascientifico a cui l’autore ha pensato. Contrariamente a quel che ci si aspetterebbe da un’opera di questo genere, infatti, sembra più che altro voglia spiegarci passo passo quello che sarà il futuro dell’informatica, attraverso l’esperienza di un’innocua ragazzina delle scuole medie. Ricordiamoci che stiamo sempre parlando del 1998, anno in cui il governo russo mette in circolazione i nuovi rubli per frenare l'inflazione e aumentare la fiducia (avrei voluto inserire qui un interessante lista di fatti tecnologici, che vi avrebbe potuto dare una migliore visione dell’anno, ma la ricerca mi ha richiesto troppo tempo senza riscontri di valore, quindi ci accontenteremo del primo risultato nella pagina Wikipedia inerente l’anno 1998). Era un periodo in cui avevamo già internet, ma in uno stato tale per cui avrebbe potuto prendere qualunque direzione evolutiva; Konaka, invece, ci proietta immediatamente in un’internet del “futuro” (tra virgolette, perché dal 1998 sembra il futuro, ma vista dai giorni d’oggi è attualità) dove i giovani (ma non solo) si incontrano online per chiacchierare piuttosto che farlo nella vita reale, scambiando le proprie opinioni senza preoccuparsi del contesto e di come la società li veda, ma soprattutto si ritrovano a discutere con perfetti sconosciuti dai quali ricevono informazioni di vitale importanza, che vengono apprese senza verificarne l’effettiva veridicità. Il parallelismo più facile è quello con i forum (che Dio li abbia in gloria) e poi con i più attuali social network, dei quali ci piace parlare quotidianamente per argomenti come la pericolosità delle fake news, oppure della presenza di gruppi di persone con la stessa mentalità che, in alcuni casi, vanno oltre il semplice dibattito, fino ad intaccare la sfera personale altrui, il tutto con un velo di anonimato che rende le persone capaci di atti infattibili a volto scoperto. Senza troppi mezzi termini, in Serial Experiments Lain viene addirittura “previsto” l’avvento di Anonymous, come gruppo para-terroristico composto da persone che non conoscono l’identità reciproca né tanto meno l’effettiva leadership, che persegue l’assoluta libertà nel Wired e lo fa attravverso cyberattacchi (perché mi sentirei un po’ male a scrivere un intero articolo su un caposaldo della fantascienza e non scrivere neanche una volta “cyber” da qualche parte).

Da qui, poi, l’anime va ad espandere il concetto di internet futuro, passando per problemi psicomotori derivanti dall’uso eccessivo dei giochi in multiplayer, la possibilità di trovare e acquistare online qualsivoglia genere di prodotto (anche di dubbia legalità), per poi passare anche per quella che viene definita nell’anime con il termine “infornography”, ossia la ricerca spasmodica di informazioni apparentemente non necessarie (e uso “apparentemente” perché vorrei in parte giustificarmi, dato che questo problema mi affligge pesantemente). Tutti argomenti di cui, per certi versi, al giorno d’oggi possiamo sentirne parlare anche sui telegiornali o più in generale sui media tradizionali. Cose come i “drogati di Fortnite”, con le famiglie che non riescono a staccare i propri bambini dal mostro di Epic Games (nomi inseriti ovviamente per il solo scopo di fare SEO), oppure le storie di dubbia verità sul dark web, che d° accesso alle droge più disparante a chi ha il coraggio (e i soldi) di entrarci. Argomenti di un’attualità tale da porsi il dubbio se Konaka abbia avuto una visione incredibimente verosimile del futuro internet, oppure tutti noi abbiamo fatto evolvere quello che nel 1998 era solo un bambino in ciò che Serial Experiments Lain ci ha raccontato.

In entrambi i casi c’è comunque da preoccuparsi su quello che sarà internet da qui in avanti: Chiaki J. (dove, tra l’altro, J non ha significato, ma all’autore sembrava figo mettere una lettera puntata in mezzo al proprio nome) va oltre ed immagina un’interazione con internet di tipo “full body, full motion”, in cui il corpo e la mente dell’utente fanno di fatto parte della rete. Il tutto ad un livello tale che si finisce per avere il proprio se stesso della vita reale che differisce dal proprio se stesso nell’internet. Se quindi queste due entità differiscono, restano comunque la stessa persona? E se si può essere se stessi nell’internet senza correlazione diretta con la persona fisica, ha senso avere un corpo fisico? Partendo da questi presupposti, Serial Experiments Lain incita incessantemente lo spettatore al suicidio, ponendogli costantemente domande esistenziali sulla vita dopo la morte, camuffandole da un susseguirsi di scene senza un apparente senso. Parte raccontando la storia di una ragazza che, dopo essersi suicidata, invia e-mail alle compagne di classe e finisce per far diventare Lain (la studentessa protagonista di questa storia) la divinità di internet, dove è presente in ogni luogo e ha poteri illimitati, tanto da trascendere l’esistenza virtuale stessa nell’internet e sfociare nel mondo reale. Parole che ancora hanno poco senso anche per me che, a vent’anni di distanza, le sto scrivendo in modo pressoché randomico, dopo aver visto i tredici episodi di Serial Experiments Lain un numero difficilmente quantificabile di volte.

La famosa fascia oraria delle bermude.

Uscendo un po’ dalla sfera del fanboismo che cerca in ogni modo di trovare l’assurdo in storie che magari non lo prevedono, Serial Experiments Lain è uno di quegli anime scritti per impressionare e non per vendere; è pur sempre il finire degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, il momento migliore per buttare sul piatto le proprie idee, dopo che Neon Genesis Evangelion ha mescolato le carte qualche anno prima. Konaka, infatti, era e diventerà ancor più famoso per riuscire a tirare fuori dalla propria mente idee al limite del rivoluzionario, ma sicuramente molto al di fuori della zona di comfort dello spettatore medio. Specialmente nei lavori svolti in team con Yoshitoshi ABe (co-autore, e pure lui vuole la B maiuscola giusto perché fa figo) o Ryutaro Nakamura (regista), riesce a realizzare opere uniche, come Texhnolyze, che forse più si attiene all’ambito cyberpunk, parlando di innesti cibernetici e civiltà future oppresse (e accoglie lo spettatore con un primo episodio muto e in bianco e nero, che non spiega assolutamente nulla di quella che sarà la storia), oppure Haibane renmei, che non centra nulla con lo sci-fi e racconta una strana storia di angeli in una specie di purgatorio. Ad ogni modo, specialmente visto l’appiattimento degli ultimi anni del mondo degli anime che, come la società giapponese più in generale, non è più in grado di trovare delle novità e di lanciarsi nel rischio di creare qualcosa di innovativo, tornare indietro a rivisitare Serial Experiments Lain è più che consigliato. Basta farlo consapevoli di trovarsi davanti a un muro che ti prende a testate ogni volta credi di aver capito cosa stia succedendo. In Italia è pubblicato da Dynit in DVD facilmente reperibili su Amazon, con un più che ottimo doppiaggio in lingua nostrana. Fino a qualche tempo fa, era anche disponibile gratuitamente sulla piattaforma VVVVID, dalla quale attualmente sembra sparito, magari per tornare su Netflix più avanti.

P.S.
Dato che non l’ho visto dire da nessuno, ci terrei a riportare che Maccio Capatonda (Marcello Macchia), in Italiano Medio, fa una citazione esplicita a Serial Experiments Lain, come potete vedere in foto qua sotto.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ad Alita e alla fantascienza giapponese moderna, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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