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Racconti dall'ospizio #6 - Le avventure LucasArts

Racconti dall'ospizio #6 - Le avventure LucasArts

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti. E che oggi prende il posto di Old! perché a marzo ci sono stati cinque weekend e altrimenti si scombina tutto il giochino.

È stato difficile mantenere un certo distacco emotivo alla notizia della chiusura di LucasArts. Perché se da un lato i giochi storici, quelli a cui siamo tutti legati, rimarranno per sempre a nostra disposizione, dall'altro la notizia della chiusura è arrivata pesante, come una scure in mano ad un boia, portandoci via un pezzo d'infanzia e chiudendo un'epoca che, nonostante lo stato di coma in cui verteva LucasArts negli ultimi anni, stava lì, in un angolo tranquillo nel cuore di tutti.

Perché la cosa straordinaria dei titoli LucasArts è che, a prescindere dall'età dei giocatori, hanno cresciuto gran parte di chi, ancora oggi, non sa stare senza videogiochi. Paradossalmente anche molti che, come me, all'inizio della storia di Lucasfilm Games, al lancio di Rescue on Fractalus! e Ballblazer nel lontano marzo 1984, non erano neanche nati. Il primo vero successo arrivò nel 1986, con Labyrinth: The Computer Game, e, a dire il vero, non c'ero manco lì. Cavolo, anche solo Maniac Mansion ha due anni più di me. Come sono giovane.

Ad ogni modo, come dicevo, i miei primi ricordi da videogiocatore, a parte la parentesi GameBoy mattone con Tetris e Super Mario Land dell'indimenticato Gunpei Yokoi, sono proprio legati a un'avventura grafica targata Lucas. Forse non la migliore, ma certamente una delle mie preferite: The Curse of Monkey Island. Ignaro che fondamentalmente non avesse senso di esistere a causa del finale di Monkey Island 2, così come totalmente all'oscuro dell'esistenza di due certe persone chiamate Tim Schafer e Ron Gilbert, mi feci rapire completamente da The Curse of Monkey Island grazie alla sua comicità e ai suoi enigmi strampalati (lo sciroppo di ipecacuana!), per non parlare dei personaggi, il grog, la colonna sonora e gli indimenticabili combattimenti con le spade (ma anche col banjo).

Per non parlare della metareferenzialità.

Per non parlare della metareferenzialità.

Solo dopo avrei colto i riferimenti dal recente passato: il “chiedimi di Loom” della taverna in cui ricevetti il mandato per le tre prove, gli stessi combattimenti con la spada, il primo incontro con Vodoo Lady e, impossibile non menzionarlo, il glorioso e leggendario pollo di gomma con in mezzo una carrucola. Ma anche Wally, l'indimenticabile Stan, la scimmia a tre teste, il grog, X-segna-il-punto e tutto il resto. Insomma, sì, giocai Monkey Island e LeChuck's Revenge dopo il terzo capitolo della saga del temibile pirata Guybrush Threepwood, e tutto sommato non è stato un problema anche grazie alla natura atipica di The Curse of Monkey Island, che pur continuando a modo suo una trama già conclusa, nel mio modo bacato di vedere le cose alla fine è come se fosse un “best of”, un po' peggio degli album originali da cui sono tratti i pezzi, ma non per questo meno affascinante o funzionale.

Successivamente è stata la volta di Day of the Tentacle (sì, evidentemente da piccolo non riuscivo a cominciare dall'inizio), anche lui pazzoide, metareferenziale e ricolmo di enigmi da risolvere attraverso lo SCUMM, geniale linguaggio di programmazione partorito dalla mente illuminata di Ron Gilbert. La storia, se ci fosse bisogno di ricordarla, vede Bernard, Laverne e Hoagie ognuno in un'epoca diversa, impegnati nell'impresa di porre fine al terribile piano di conquista del mondo da parte del Tentacolo Viola, modificando la storia americana (e del mondo intero) grazie ad un gabinetto capace di piegare il continuum spaziotemporale. Ditemi voi se questo non è un plot che fa presa sulla gente.

Per non dilungarmi troppo con le innumerevoli produzioni LucasArts che sono passate negli anni, arrivo all'ultima grande avventura grafica uscita sotto l'etichetta dell'uomo con le camicie a quadri: Grim Fandango. Ancora a firma Schafer e primo titolo (su due totali) ad abbandonare lo storico SCUMM per il GrimE (ossia Grim Fandango Engine), l'avventura di Manny Cavalera e del demone gentile Glottis lungo la terra dei morti è rimasta indelebile nelle menti di tutti coloro che l'hanno giocata, anche grazie al suo particolarissimo design ricco di contaminazioni. L'ambientazione noir si mischia con elementi Art Deco e con la mitologia azteca, la colonna sonora unisce jazz e musica mariachi e la storia, assolutamente brillante, combina una trama matura ad alleggerimenti tipici di Tim Schafer, raccontandoci di un impiegato insoddisfatto della propria carriera (e della sua non-vita), che supera le ingiustizie di una società che, anche nella morte, non riesce a fare a meno dell'avidità.

Ma, come detto, da quel 1984, LucasFilm Games prima e LucasArts poi hanno sfornato una miriade di capolavori che hanno segnato un'epoca: da Labyrinth a Zak McKracken, passando per la storia visionaria di Loom e la minaccia nazista di Indiana Jones and the Fate of Atlantis, da molti considerato il vero quarto capitolo delle avventure del dr. Jones, fino ad arrivare alle investigazioni di Sam & Max e alla riqualificazione di Ben, protagonista on the road di Full Throttle. Li trovate tutti qui sotto, con in più Maniac Mansion e un piccolo pezzo della mia infanzia, tutto gentilmente offerto da YouTube. Preparate i fazzoletti.

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