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Per giocare a Perfect Dark ho sfidato il motion sickness

Per giocare a Perfect Dark ho sfidato il motion sickness

Avere come hobby giocare ai videogiochi e soffrire di motion sickness è un po' come fare il giardiniere di mestiere e avere il raffreddore da fieno. A causa di questo problema, ho dovuto molte volte rinunciare a giocare ai titoli in prima persona. Considerando che spesso e volentieri si tratta di sparatutto, genere che non mi ha mai fatto particolarmente impazzire, non è stata poi una grande privazione, ma se penso che da più di un anno ho Resident Evil 7, raccattato a due spicci nel mitologico “cestone delle offerte”, che spesso mi ha permesso di recuperare a bassissimo prezzo titoli che mi interessavano, e la paura di giocarci non deriva dalla famiglia Baker ma dalla certa sensazione di nausea che mi causerà la visuale in prima persona, mi rammarico parecchio.

Ma c’è un gioco per il quale, non troppo tempo fa, ho sfidato e poi superato il motion sickness: Perfect Dark.

L’anno è il 2000, stiamo parlando di ben ventiquattro anni fa. Praticamente una vita. La quinta generazione di console era entrata nella propria fase finale. Nonostante Nintendo guardasse ormai avanti – aveva già annunciato quella che sarebbe stata la sua prossima console, vale a dire GameCube – il supporto a Nintendo 64 continuava ad essere costante. Tutto questo anche grazie a Rare, che aveva regalato agli utenti Nintendo, sin dall’epoca delle console a 16 bit, perle come Donkey Kong Country e Killer Instinct. Per la sfortunata console a 64 bit, Rare aveva sviluppato titoli di assoluto valore quali Banjo-Kazooie, Diddy Kong Racing, Donkey Kong 64, Jet Force Gemini e GoldenEye 007. Proprio quest’ultimo, universalmente riconosciuto come uno dei migliori esponenti del genere, ebbe in Perfect Dark una sorta di erede spirituale.

Vidi Perfect Dark in azione per la prima volta proprio nell’estate del 2000, poco dopo la sua uscita. Quello era un periodo ancora molto lontano dalla realtà attuale, fatta di acquisti su piattaforme online o presso grosse catene. Era un periodo in cui proliferavano ancora i negozietti specializzati, gestiti da appassionati, in cui potevi tranquillamente passare del tempo senza comprare nulla, semplicemente curiosando fra le novità. Nonostante Perfect Dark non appartenesse esattamente al mio genere preferito, mi colpì immediatamente. Non si trattava di un banale clone di Doom e compagnia. Era qualcosa di diverso.

Certo, di base era uno sparatutto in prima persona, ma l’ambientazione sci-fi e il fatto che i livelli andassero affrontati con criterio per raggiungere determinati obiettivi, e non armi alla mano blastando qualunque cosa si muovesse, dava al titolo Rare un’impronta lievemente avventurosa. Provai giusto il primo livello in negozio, poi il motion sickness ebbe la meglio e dovetti interrompere. Nonostante il gioco mi avesse preso, il fatto che avesse la visuale in prima persona e l’esclusività su Nintendo 64, console che non possedevo, me lo fecero dimenticare presto, anche se le ottime recensioni dell’epoca confermarono le mie sensazioni sulla sua bontà.

Diciotto anni dopo, un po' per caso e un po' per fortuna, giocai finalmente a Perfect Dark.

Nel 2002 Rare venne acquisita da Microsoft, ma la casa di sviluppo dei fratelli Stamper sembrava aver perso lo smalto di qualche anno prima, non avendo più raggiunto la qualità dei titoli su Nintendo 64. Lo stesso Perfect Dark Zero, prequel di Perfect Dark e titolo di lancio di XBox 360, sembrava solo un normale sparatutto. Nel 2018 trovai, sempre nel famoso cestone delle offerte di cui sopra, Rare Replay, una raccolta dei più celebri giochi Rare, pubblicata quattro anni prima in occasione del trentesimo anniversario della software house britannica. Quale occasione migliore per giocare finalmente a Perfect Dark?

L’anno di ambientazione è il 2023, che nel mondo reale è appena passato. Una realtà fatta di grandi corporazioni, grattacieli futuristici e macchine volanti. Joanna Dark, agente segreto che lavora per il Carrington Institute, è chiamata a indagare sulla compagnia rivale, la DataDyne. Durante l’avventura, Joanna scoprirà di una guerra in corso fra due razze aliene: i Mayan, di base pacifici e bendisposti con la razza umana, e gli Skedar, che sembrano un mix fra velociraptor e xenomorfi, in combutta con la Datadyne.

Già dalle prime fasi di gioco, si percepiva immediatamente perché all’epoca Perfect Dark sembrasse così innovativo e diverso dagli altri esponenti dello stesso genere. Come sopra accennato, ogni livello (nove di base e quattro sbloccabili completando il gioco ad ogni livello di difficoltà) chiedeva al giocatore di completare determinati obiettivi, come salvare degli ostaggi, piazzare dei congegni o addirittura aiutare degli alieni. Gli stage sono abbastanza dispersivi, non tanto per una questione di ampiezza quanto perché spesso non era chiaro cosa fare e dove andare, d’altronde i giochi dell’epoca non erano certo guidati come quelli di adesso. Ma non ci si annoia mai, anche perché la tipologia di ambientazione era abbastanza varia: l’Area 51, l’aereo presidenziale Air Force One e l’astronave della razza Skendar, tanto per dirne alcuni. Tutti belli da esplorare a fondo. E poi c’era lei, Joanna Dark: una vera e propria eroina videoludica – ricordo che nel periodo di uscita del gioco originale era ormai diventata una consuetudine proporre protagoniste sexy e cool come Lara Croft di Tomb Raider o Jill Valentine di Resident Evil. Una spia capace di travestirsi da hostess per salvare il presidente, muoversi furtivamente per un intero livello danneggiano le fonti di luce per muoversi più agevolmente con il favore dell’oscurità e in quello successivo impugnare entrambe le pistole. E, a proposito di pistole, altro punto forte del gioco era l’arsenale di cui Joanna poteva disporre: si passava da semplici pistole con il silenziatore e normali fucili a pompa fino a veri e propri strumenti di distruzione come Dragon, arma laser ad alta potenza, e Slayer, arma di manifattura aliena.

Il lavoro di rimasterizzazione fatto da Rare riguarda per la maggior parte la veste grafica: l’utilizzo dell’alta definizione ha permesso di ammorbidire in maniera significativa texture e poligoni, donando un aspetto più moderno al gioco. Anche il framerate sembra più stabile, mentre i controlli non sono sempre precisissimi e anche l’IA dei nemici lascia abbastanza a desiderare, almeno a difficoltà normale.

Ma l’elemento che ho amato di più del gioco di Rare è la colonna sonora, tant’è che il pezzo utilizzato nel menù principale è stato la suoneria del mio smartphone per qualche tempo.

E il motion sickness? Beh, ho risolto giocando un livello alla volta e facendo spesso qualche pausa per riprendermi. L’esperienza di gioco ne ha risentito ma ne è valsa la pena, avendo comunque potuto godere fino ai titoli di coda di un gioco estremamente valido e che ricordo con grande piacere.

Insomma, un videogioco seminale, fortunatamente non caduto nell’oblio, anche se sono passati quasi quattro anni dall’annuncio del nuovo episodio sviluppato da The Iniatiative e ancora non si sa nulla di concreto.

Torna presto, Joanna!

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Doom, agli sparatutto e alle sparatorie, che potete trovare riassunta qua.

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