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Dieci anni fa, io e l'alpha di Minecraft | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Mi ricordo come se fosse oggi la sera in cui Babich si è presentato a casa mia con una chiavetta USB con sopra l’alpha di Minecraft.

“Hai giocato a Minecraft? No? Provalo. Devi.”

Non avevo voglia di installarlo, forse perché tutti ne parlavano e volevo fare l’alternativo, ma dopo una ricca cena, ho ceduto. E vediamocelo, questo Minecraft.

Avvio la mia primissima partita e vengo catapultato in questo mondo cubettoso verde, solo come un cane, senza spiegazioni. Wow, un gioco che non mi tratta come uno scemo! Ricordiamo che nel 2009 i tutorial erano al loro momento di massimo schifo storico. Duravano ore, rovinavano il piacere della scoperta e davano la sensazione di andare su un triciclo. Un gioco che ti abbandonava a te stesso dal secondo zero era una boccata d’aria fresca.

Prendo a pugni un albero ed esce del legno. Apro l’inventario e vedo che posso combinare gli elementi con un sistema di crafting rudimentale. Abbatto un altro albero. Salto, vado in giro, guardo il panorama. Bah, carino, dai, ma non capisco tutta questa isteria collettiva. Nel mentre, Babich ridacchia alle mie spalle, sezionando il mio primo impatto con Minecraft con il suo sguardo clinico da game designer. Inizia a farsi buio. La risatina di Babich inizia a farsi più malvagia.

Arriva il buio. La dimora che sto costruendo non è finita e non ho nessuna fonte di luce. Inizio a sentire dei versi mostruosi. Senza distogliere lo sguardo dallo schermo chiedo a Babich:

“Ma ci sono i mostri?”

“Sì. Di notte arrivano i mostri. Se muori, perdi tutto quello che hai addosso.”

I mostri mi inseguono e ho solo una patetica piccozza di legno per difendermi. Scappo verso il mare, per poi scavare un minuscolo buco negli scogli, grande a malapena quanto il mio personaggio, per poi murarmi vivo.

“Così non mi vedono e non mi prendono.”

“Sì, però così muori soffocato.”

Allora apro una finestrella grande quando un blocco e vedo gli zombi che mi aspettano lì fuori, pregustando il mio cervello quadrato. Ho passato quella notte digitale rannicchiato in posizione fetale nel mio loculo, ma quando è sorto il sole, sono riemerso e posto le basi del mio impero solitario. Ho costruito una casa, ho trovato il carbone, ho costruito un’arma per proteggermi. Babich ha visto la scintilla di follia nei miei occhi, ha capito che il suo lavoro si era concluso ed è tornato a casa a un orario umano. Io, invece, quella notte sono andato a letto alle sei e mi sono addormentato sognando blocchetti. A oggi, Minecraft è l’unico gioco, oltre a Tetris, che sia riuscito a penetrare nei miei sogni in modo così pervasivo.

Ho passato i tre mesi successivi a vivere e respirare Minecraft, anche perché ai tempi Notch seguiva personalmente lo sviluppo, aggiungeva nuove funzioni tutti i giorni e non era ancora diventato un pezzo di merda. Capitava di loggarsi per scoprire che un parametro era cambiato, e che ora i mostri potevano spawnare anche nella sicurezza della tua miniera. Era questo il bello dell’era Alpha: Minecraft era un grande mondo ignoto, in costante divenire, che aveva il coraggio di fare tutto ciò che i giochi dell’epoca avevano dimenticato: spiazzare, emozionare, all’occorrenza frustrare.

Non dimenticherò mai la notte in cui, scavando nella mia organizzatissima miniera sotto casa, ho rotto un blocco e ho scoperto una stanza. Una grotta? Un dungeon? E che ne so, questa è la Alpha di Minecraft, qui spunta roba a caso da un giorno all’altro. Che roba è? Boh, aspetta che vado a prendere le torce e le spade e mi metto a esplorare. Ero da solo a casa, in piena notte, d’estate, con una scorta di birre fresche in frigo e il bioritmo depravato dei freelance. Mai un videogioco mi ha dato il brivido avventuroso che ho provato esplorando quella grotta misteriosa. Nemmeno Zelda, perché qui sapevo che era tutto generato proceduralmente, senza la mano sapiente e clemente di un level designer. Potevo morire, perdere tutto il mio inventario, ma soprattutto perdere tutto ciò che avevo costruito. Ai tempi, non c’erano i letti per respawnare: se morivi, ripartivi nel punto esatto in cui eri spawnato la prima volta, e io avevo camminato per giorni a caso, costruendo persino una barca, per trovare un luogo che facesse al caso mio. La posta in gioco era altissima.

Ho esplorato quella grotta progressivamente, stabilendo via via dei punti di ristoro e tornando in superficie per recuperare risorse. Ho trovato pozzi di lava (ottimi per fare l’ossidiana!), saloni da fare impallidire i nani di Moria, mostri nell’oscurità. Non ho mai avuto così paura davanti a un computer. L’esperienza di quella notte non me la potrà mai togliere nessuno. La alpha di Minecraft era una frontiera del gameplay senza preservativo. Sono felice di aver vissuto il gioco nel suo momento più selvaggio, prima del meritatissimo successo planetario.

Ah, ma sono già passati dieci anni? Mannaggia, come passa il tempo, quando si videogioca.